Camera Obscura

Del rito iniziatico. In riferimento costante a “Povere creature”


Dobbiamo sperimentare ogni cosa. Non solo il bene, ma anche il degrado, la tristezza… così possiamo conoscere il mondo. E quando conosciamo il mondo, allora il mondo è nostro.

Potrebbe essere riassunto in questa citazione il nocciolo speculativo del nuovo film di Yorgos Lanthimos, Povere creature. Riadattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1992 dello scozzese Alasdair Gray, dà corpo ad un grandioso rito iniziatico, in tutta la sua katabasis e anabasis, mette in scena un’immensa accumulazione di esperienze, che porteranno la protagonista alla scoperta speculare di sé stessa e del mondo.

Bella Baxter, interpretata da Emma Stone, è una giovane donna il cui cervello di bambina è stato trapiantato nel corpo della madre, Victoria, dopo essersi questa, incinta, buttata da un ponte. La figlia sopravvive, la madre muore. Lo scienziato Godwin compie il trapianto, e diventerà, novello dottor Frankenstein, la figura paterna/divina (il regista esplicita immediatamente il gioco di parole con God/win, non lasciando spazio al dubbio) che permetterà a Bella di compiere – letteralmente – i primi passi nel mondo. Già dai primi fotogrammi della pellicola – la donna che si butta dal ponte e si immerge nelle fredde acque di una Londra vittoriana – si capisce come il film rappresenti l’inabissarsi della donna bambina nelle acque della vita, nel mondo degli inferi, per poter rinascere – come in ogni fenomeno iniziatico – alla vita adulta. E l’acqua è l’elemento indifferenziato per eccellenza, soglia di passaggio tra l’essere e il nulla, la vita e la morte, come già sosteneva l’antico linguaggio vedico:

«Né il non-essere né l’essere allora esistevano / Né l’aria né il
firmamento lassù esistevano. / Che cosa si stava muovendo con tale forza? Dove? A causa di chi? / Era l’acqua profonda e impenetrabile?» (Ṛgveda 10,121,1)

Già a partire dalla scelta dell’acqua, soglia di indistinzione tra l’essere e il non-essere in funzione del divenire, tra la superficie e il profondo, il presente e il passato, il regista ci introduce all’inabissamento e al discorso iniziatico. Tradizionalmente, i riti iniziatici si sviluppano sia in una serie di prove e di perdite, che di rivelazioni di ordine magico e tecnico, e il passaggio di Bella dall’infanzia all’età adulta – paradossalmente già contenuto in lei, in quanto figlia e madre allo stesso tempo, potenzialità infante nella sua attualità adulta – seguirà puntualmente questo percorso accidentato, questa katabasis e anabasis, questo inabissarsi nel profondo e nella morte, per risalire alla superficie perfettamente cristallina della vita. Se tra le prove iniziatiche Bella deve allontanarsi dal “proprio”, dalla sua casa e affetti, e scoprire – gioiosamente e dolorosamente a un tempo – il mondo – e solo scoprendo il mondo potrà scoprire sé stessa – tra le perdite annovera i suoi affetti e la sua innocenza, venendo a esperire la sofferenza e il dolore, la gelosia e il possesso, il godimento e la morte: «Mi sono avventurata e non ho trovato altro che zucchero e violenza.», sintetizzerà la protagonista. «Ma ciò che è proprio deve essere imparato bene quanto ciò che è estraneo. Perciò i Greci ci sono indispensabili. Solo che noi appunto in ciò che ci è proprio, nazionale, non staremo al passo con loro perché, come ho detto, il libero uso di ciò che è proprio è la cosa più difficile»: così scriveva Hölderlin in una lettera ad un amico nel 1801, e questo sarà il “più difficile” percorso che dovrà compiere Bella. Estraniarsi nel mondo, nel passato e nella morte, compiere uno sprofondare, una katabasis, e solo in questo modo, arrivare a poter finalmente e liberamente usare del proprio, di ciò che le è più intimo e vicino, sia questi il suo corpo o la sua intelligenza. E il greco Lanthimos è cosciente che per appropriarci del nostro intimo, «i Greci ci sono indispensabili», sia per quanto riguarda la categoria di sacrificio, inscenato ne Il sacrificio del cervo sacro del 2017 che si richiama direttamente all’ Ifigenia in Aulide di Euripide, che per quella del rito iniziatico. Inoltre, se le rivelazioni magiche nei riti iniziatici afferiscono alla sfera sessuale, mentre quelle tecniche rimandano all’attività della caccia e dell’agricoltura, alle tradizioni tribali quali la danza, il canto e le regole esogamiche, così Bella attraverserà la sessualità e il godimento (ma gli verrà frenata puntualmente la sessualità endogamica verso la figura paterna, il dottor Godwin), imparerà autonomamente a “procacciarsi” di che vivere, e, in una scena importante, imparerà a ballare, attività di passaggio per eccellenza, soglia tra la natura e la cultura, movimento spontaneo riflesso del ritmo che si va ad articolare in linguaggi corporei storicamente mediati. Mentre, fuggita in crociera per il mondo con l’avvocato Duncan, nello stesso momento in cui sperimenta il libero arbitrio e l’avventura, ne viene immediatamente spossessata dalla gelosia di questi, arriva anche contemporaneamente a conoscenza della filosofia da una parte, e dello sfruttamento e sofferenza umana dall’altra, in un curioso pathei mathos – conoscenza tramite la sofferenza – che richiama il noto verso dell’ Agamennone di Eschilo: «Le vie della saggezza aprì Zeus ai mortali, facendo valere la legge che sapere è soffrire» (vv. 175-176). Questa conoscenza coincidente con la scoperta della sofferenza umana, evolverà nel suo percorso iniziatico nel momento in cui, giunta a Parigi, inizierà a lavorare in un bordello e incontrerà il pensiero e la pratica socialista. Ed è interessante che proprio nel momento della prostituzione, si avvicinerà al socialismo. Se Walter Benjamin, delineando uno dei nodi fondamentali del suo pensiero, l’immagine dialettica, ci parla della figura della prostituta come ad un tempo “venditrice e merce”, “nella prostituta, come loro sintesi, forma e contenuto divengono una cosa sola”, così Bella Baxter affermerà in maniera puntuale riguardo alla sua attività, «Noi siamo i nostri mezzi di produzione.» Esperisce, dunque, a fondo, le politiche e le economie che si applicano al corpo, le scissioni di soggetto e oggetto, di forma e contenuto, e le fa proprie. E, parodisticamente, le disattiva. Il percorso iniziatico di Bella si compie, cioè, anche nell’attraversamento delle stesse divaricazioni del pensiero occidentale. Inoltre, se nei riti di passaggio gli iniziati vengono segregati per un certo periodo in una foresta o in un edificio ai margini dello spazio profano, e solo dopo questo periodo al di fuori del mondo umano fanno ritorno nella comunità come rinati e acquisiscono un nuovo nome, così Bella, nel momento in cui incontrerà Alfie Blessington, il marito di sua madre Victoria che, credendola quest’ultima, pretende di riportarla nella casa originaria – che si raggiunge dopo un lungo viaggio in carrozza, venendo sottolineata la distanza dalla comunità umana – in questo momento accetterà di venire segregata nel palazzo dell’ex marito, quasi consapevole di dover affrontare l’ultima prova dell’iniziazione. Ed effettivamente, solo dopo essersi tuffata nell’abisso del suo/di sua madre passato, assumendo il nome di sua madre, potrà completamente rinascere alla vita adulta. Citando testualmente e traslando al film le parole di Furio Jesi – importante storico torinese delle religioni e scienziato della mitologia – nel momento in cui commenta il Ciclo di Giuseppe di Thomas Mann, possiamo dire che questo film racconta di una

«…vicenda mitica narrata con il distacco della parodia. Perché la vicenda del dio o del semidio sulla terra diviene l’itinerario iniziatico dell’uomo verso sé stesso, dunque anche la storia dell’anima umana, una vicenda di morte e risurrezione, di calate nella fossa e di innalzamenti» .

Lanthimos

Ed esattamente questo fa Lanthimos nella sua ultima pellicola: racconta magistralmente una vicenda mitica riattivata dal rito – quello dell’iniziazione – un “eterno presente” mitico che viene riattivato nel fluire storico, comune a tutta l’umanità, del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. E lo fa con la maestria della parodia, «con il distacco della parodia», direbbe Jesi. Non c’è nulla di tragico nella riscoperta di Bella di essere Victoria, sua madre, cioè nello scoprire chi è e chi era, la propria origine. Perché Bella ripete. E nella ripetizione, devia, modifica, disattiva. Se la vita della madre Victoria termina intenzionalmente in un suicidio, la figlia/madre, Bella, è parodia, riesce a cantare accanto a sé stessa, come da etimologia greca, a disattivare un destino tragico e a portarlo a commedia. L’origine che ha da riscoprire, il suo appartenere al corpo della madre, non è un presupposto precedente alla sua storia, a cui nostalgicamente tendere o ritualmente riattingere, bensì continua ad operare come un vortice e si dispiega nella vicenda umana troppo umana della protagonista. E, inoltre, continuando a seguire la citazione jesiana, l’itinerario iniziatico che Bella compie ha anche valore di storia paradigmatica dell’anima umana, dell’essere vivente umano che si rapporta con il mondo esterno e con quello interno, con l’attimo presente così come con la storia e i linguaggi che la articolano. E paradigma, sempre da etimologia greca, è “ciò che si mostra accanto” – uno dei termini con cui Platone denomina l’idea – così come la storia di Bella è un racconto universale, seppur profondamente suo, personale e intimo. Nella sua particolarità assurge ad universale, disattivando divaricazioni fondanti del pensiero occidentale. Bella è, cioè, un’idea. Come suggerisce Giorgio Agamben in Pinocchio. Le avventure di un burattino doppiamente commentate e tre volte illustrate, l’errore che si cela nel carattere esoterico di ogni rito iniziatico non è nei suoi archetipi, come quello della morte e della rinascita, bensì

«Nel considerare l’iniziazione come una dottrina segreta, che viene rivelata ad alcuni – gli iniziati – e nascosta ai profani. L’esoterismo è accettabile, solo se si comprende che l’esoterico è il quotidiano e il quotidiano l’esoterico».

Ed è proprio questo che fa Lanthimos, mette in scena un grande percorso iniziatico, disattivandone il momento del segreto che lo porterebbe all’errore esoterico, cioè a separare dalla vita una sfera di extra vita e, proprio così, a presupporre qualcosa di extra umano e mitico alla stessa storia perfettamente umana di Bella Baxter. Avviene qui un dissolversi del mito nella fiaba, dell’extrastorico nel contingente, senza però ridursi positivisticamente a questo. L’iniziazione che lei si trova ad affrontare è, “semplicemente”, il dispiegarsi della sua stessa vita, perfettamente esposta e cristallina, senza alcun esoterico segreto presupposto. E, come il principio della filosofia si può ritrovare nel thaumazein, nello stupirsi che il mondo sia, che si dia un mondo, così delineerà Bella con profonda leggerezza riguardo all’avventura rappresentata dalla sua stessa vita: «È davvero molto interessante quello che mi succede».