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L’ingrata ossessione della conoscenza. L’occasione di Juan José Saer

È possibile conoscere davvero una persona, spingendosi oltre gli strati più superficiali del suo involucro corporale per accedere al nucleo magmatico che ne irradia e sorregge l’intera fisionomia? Quanto ci si può fidare della persona a noi più vicina? Cosa resta di inesplicabile e sfuggente nei comportamenti, nelle scelte, negli atteggiamenti di un essere umano che crediamo illusoriamente di poter leggere come un libro aperto? L’occasione, romanzo dello scrittore argentino Juan José Saer pubblicato per la prima volta nel 1987 e meritatamente riproposto da La Nuova Frontiera, gravita intorno a domande essenziali, proiettandosi nell’ombra di interrogativi votati fatalmente a rimanere senza risposta.
Bianco, il protagonista della storia narrata, è un mentalista dalle ambigue origini che, costretto a scappar via da Parigi dopo aver subito una cocente umiliazione ordita da quella che lui definisce la “cospirazione dei positivisti”, lascia l’Europa per riparare in Argentina, dove prende dimora tra le pianure assolate, silenziose e immobili della pampa. Il suo obiettivo è studiare un piano per tornare a Parigi e vendicarsi di coloro che lo hanno sbeffeggiato e irriso, dimostrando finalmente a tutti gli scettici che la realtà vera delle cose non si trova nella materia, di cui l’uomo si sente tuttavia schiavo da secoli, ma nella forza del pensiero, che è invece in grado di governarne le forme, il peso e la posizione. Per Bianco la resistenza della materia non può nulla contro il volere dello spirito, così come i dettami della scienza, proprio nel secolo che ha fatto della scienza il proprio culto, sono destinati ad arrendersi ai suoi poteri cerebrali e alle sue pratiche occultiste. Eppure, mentre cerca di elaborare la sua rivincita assorto nella desolazione della pianura argentina – non solo topos geografico, ma anche teatro metaforicamente privilegiato per inscenare il puro pensiero immateriale –, Bianco assiste a una scena che da quel momento in poi stravolgerà il suo presente e il suo futuro. 
Di ritorno da un periodo di meditazione nel suo rancho, sorprende sua moglie Gina e il suo migliore amico Garay López che discutono amabilmente nel salotto di casa e gli sembra di scorgere nel volto e nelle movenze di entrambi i segnali di una strana e pericolosa affinità, sospesa tra l’ambiguità delle loro espressioni e un enigmatico alone di piacere da poco consumato. Bianco crede di aver capito immediatamente cosa nasconde l’atteggiamento confidenziale dei due, ma non avendo il coraggio di esplicitare chiaramente i suoi dubbi né a Gina né a Garay López, è costretto a convivere quotidianamente con il tarlo di un dubbio corrosivo e dilagante, che lentamente ne divora le ore e i pensieri, germinando sul terreno delle incertezze e della paura sino a sprofondarlo in un delirio di gelosia febbrile e annichilente.
A partire da questa scena apicale L’occasione diviene progressivamente un romanzo sull’ossessione di conoscere, sul bisogno demoniaco di arrivare ad una verità che forse nemmeno esiste. Bianco s’impantana a poco a poco in un vortice di disperazione, rabbia, sconforto, in equilibrio precario e altalenante tra l’assoluta convinzione della propria interpretazione del reale – Gina e Garay López sono amanti – e il timore malevolo di aver giustapposto alla realtà innocente di un incontro informale una sua sublimazione mentale e trasfigurante, che rischia di accecare il suo giudizio e il suo buonsenso.

Saer

Con una prosa sinuosa e raccolta, capace di plasmare un’atmosfera narrativa intima e avvolgente che invita il lettore a entrare nel testo e a fare da vicino la conoscenza dei personaggi che lo popolano, Saer tesse una trama romanzesca che gioca contemporaneamente sul dubbio mastodontico del suo protagonista e sulla stessa incertezza narrativa del proprio racconto, predestinato a girare circolarmente intorno al dilemma irrisolvibile senza speranze di rivelazione o di agnizione, nemmeno nello scioglimento conclusivo. La tragedia di Bianco è allora la tragedia dell’astrattezza, ossia dell’impossibilità di chiarire una volta per tutte i moti dell’anima altrui senza però annebbiare i propri, confondendo i dati del reale con suggestioni ingannevoli e impressioni offuscanti. La crociata che Bianco porta avanti contro la materia, le sue apparentemente ferree leggi e i positivisti che ne cantano le lodi, è una crociata anche contro l’illeggibilità costitutiva del corpo umano e le sue infinite maschere, capaci di mistificare, truffare, sviare i sospetti senza mai tradirsi. L’amore si tramuta in un sentimento asfissiante, corrotto dai silenzi e dalle incomprensioni, perpetrato da una diffidenza serpeggiante e da presentimenti nefasti, che si accumulano al termine delle giornate come nembi scuri sull’orizzonte di una futura vita insieme. Bianco indaga, esplora, si sofferma sui minimi dettagli, si isola dal mondo, rinuncia persino ai suoi propositi di vendetta, pur di rivelare definitivamente il segreto innominabile che aleggia sulla sua esistenza, paralizzandone l’andamento e gli sviluppi, ma sbatte costantemente contro un muro invisibile e impenetrabile. L’interiorità di Gina gli è negata, la sua conoscenza reale si trasforma in miraggio ondulante sul terreno arido della pampa.

Parimenti ai tentativi insoddisfatti compiuti da Bianco, il racconto di Saer si costruisce per tappe graduali, accostamenti repentini, disvelamenti retrospettivi, all’interno di una più ampia struttura romanzesca ondivaga, che innesta piani temporali differenti nel tessuto principale della narrazione. La storia che ci viene narrata, sostenuta da una lingua ricca di immaginie simboli, caratterizzata da una forte connotazione visuale e da un fraseggio ritmato e a tratti concitato, si delinea allora come una storia potenzialmente tutta mentale, che si è originata nella testa di Bianco a partire da una sua fraudolenta sovrainterpretazione di un’esperienza tutto sommato banale, ma al lettore non viene concesso alcun indizio per aggrapparsi con sicumera a questa supposizione. Sebbene il delirio che gradualmente avvinghia il protagonista sino allo scioglimento finale faccia propendere l’esegesi verso tale prospettiva, è pur vero che Saer, a prescindere dalla risoluzione del “giallo” – il tradimento c’è stato o no? Il figlio che Gina partorisce è di Bianco o di López? – sembra molto più interessato a narrare le tappe del progressivo accecamento interiore di un uomo non più capace di comandare il proprio pensiero, nonostante sia diventato famoso proprio per avere in più occasioni dimostrato di possedere questo incredibile dono. La scrittura visionaria e onirica di Saer rende perfettamente le elucubrazioni cerebrali di Bianco, indugiando sulle sue conseguenti acrobazie psicologiche, sui dettagli apparentemente insignificanti che invece dischiudono frammenti di senso altrimenti perduto, senza mai appesantire eccessivamente la fluidità della prosa, anzi elevandone nei passaggi cruciali il grado di figuralità.
Incapace di conoscere Gina, incapace di capire se c’è davvero qualcosa da captare oltre i gesti rituali e le parole abitudinarie di sua moglie, Bianco finisce per non riconoscere neanche più se stesso. Esitante e sfiduciato, Bianco proietta la propria instabilità sulla figura di Gina, rivestendola di un’enigmaticità esistenziale che la avvicina alle pose ermetiche di una sfinge sensuale e ombrosa. Nella dialettica interna che si espande sotterranea e impercettibile al di sotto delle piaghe di una realtà quotidiana sempre simile a se stessa, incorniciata dalle regole secolari imposte dalla pianura, le emozioni vengono via via represse, celate, camuffate per paura di esporsi eccessivamente e per calcolo strategico. Il seme del dubbio si innesta nello spazio interstiziale che separa Bianco da Gina, la verità del reale dalla menzogna dell’immaginazione, e germoglia incontrastato, condizionando alla base i comportamenti degli attori in gioco, in special modo di Bianco, talmente sedotto e alterato dalla sua stessa paura da sperare, in un momento di lucida follia, che la sua supposizione si riveli alla fine fondata. Il motivo che inaugura oracolarmente il processo di latente delirio – il supposto tradimento di Gina – tende così a sparire, giorno dopo giorno, tra le coltri nebbiose provocate dallo stato di costante e irrefrenabile ossessione che incombe sulle giornate di Bianco, delineando un perimetro di paralisi e di relativo affossamento in cui è annullata la capacità di risalire alla fonte del proprio male e di discernere ancora la realtà dei fatti dalle fantasie torride che la pampa inocula nel suo ripetersi maniacale e opprimente. Ormai nemico di se stesso, estraneo a se stesso come alla vita che fino a poco tempo prima aveva gestito con grande sicurezza, Bianco arriva a supporre che tutti gli ultimi anni della sua esistenza– il trasferimento in Argentina, la pianura, il rancho, il bestiame, Gina, López – siano frutto di un sogno parigino, concepito dopo una notte di intensi bagordi.

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Assottigliati i confini tra realtà e finzione, fattesi labili le differenze tra verità e sogno, l’identità dell’uomo si scinde e si disperde, i segni non coincidono più con i loro antichi referenti. Sperduti nella pianura desolata e muta, ogni dubbio è destinato a rimanere tale, non c’è spazio per alcuna epifania, ma solo per il desiderio frustrato e disperante di interpretare con successo le potenzialità dell’alterità circostante. Viene dunque da chiedersi: vale la pena conoscere davvero a fondo un’altra persona, anche la più cara? Qual è il prezzo da pagare per tale atto di onnipotenza? Rendere la persona amata oggetto di scavo approfondito e sistematico, alimentato da un furore cieco e instancabile, rischia paradossalmente, assecondando un movimento antitetico, di rendere quella persona una completa estranea, di allontanarla in quanto materia di un’indagine che richiede necessariamente distacco e massima oggettività, di farne una chimera. Al contempo, lo sforzo da sostenere nel tentativo infruttuoso di possesso è così gravoso da minacciare gradualmente ogni castello di convinzioni che si è costruito negli anni nella speranza di potervi abitare comodamente, al riparo da titubanze e ripensamenti. Comunque la si pensi, a prescindere dalle proprie convinzioni, a prescindere dalle possibilità più o meno negate di salvaguardare quest’ultime dal vento iroso e improvviso del dubbio e del sospetto, la realtà – così come la pianura de L’occasione – non si desta mai, rimane inintelligibile insieme alle sue propaggini future. Imperscrutabile è il volto dell’oggi, imperscrutabile è il volto del domani.

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