24.06.2025

La memoria della Resistenza. Donne che resistono di Michela Ponzani

Vedove, madri e figlie della Resistenza: la forza femminile dietro il massacro delle Fosse ardeatine

Il titolo del nuovo libro di Michela Ponzani, Donne che resistono (Einaudi) gioca sull’ambivalenza del verbo che contiene. Vi si racconta di donne che hanno partecipato in vario modo alla Resistenza e di donne che mantengono la memoria di quei tempi di Resistenza per una contiguità affettiva e parentale con gli uomini che hanno sacrificato la vita al Resistere all’oppressione nazi-fascista. Il libro si presta a un ragionamento non peregrino sull’andamento della storiografia resistenziale che negli ultimi anni sembra aver intrapreso un percorso volto a mantenere alta la parola dei testimoni quanto più prossimi agli eventi bellici ma quasi mai protagonisti diretti. Gli 80 anni che ci separano dalla fine della Seconda guerra mondiale hanno falcidiato i combattenti quasi quanto le armi da fuoco. Lavorando su questi argomenti 30 anni fa ho ancora avuto la sorte di conoscere e intervistare comandanti partigiani, gappisti, semplici testimoni. Ora tutti quelli che potevano aggiungere testimonianze nuove avrebbero più di cent’anni. Qualcuno ha raggiunto quell’età ma certamente la maggior parte ha smesso di testimoniare.

Direi che negli ultimi anni, da L’ordine è già stato eseguito di Portelli, per proseguire coi lavori di Avagliano si è passati a raccontare la persistenza delle Fosse ardeatine nelle memorie individuali o meglio, nella somma delle piccole memorie, quelle familiari; quelle che cercano di mantenere il ricordo degli affetti. Forse il libro che più collega l’esperienza resistenziale con la vita quotidiana è Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (Einaudi), curato da Giovanni Pirelli dove il rapporto con la famiglia è dilaniante perché testimoniato dalle ultime parole dei condannati e dove i ricordi familiari si mischiano alle azioni di ribellione.

Quest’esigenza paradossalmente non era stata colta nei testi pubblicati a ridosso della fine della guerra, nei lavori di donne che avevano vissuto da vicino quell’esperienza scrivendo anche libri prossimi al capolavoro. Penso a Fulvia Ripa di Meana, cugina di Montezemolo, che in Roma prigioniera racconta dello sgomento dei quartieri altolocati, dei salotti lussuosi in alti ufficiali del Regio Esercito alle prese con la Resistenza; di somme di denaro contrabbandate e destinate a sovvenzionare la resistenza; altrettanto testimoniano i libri Jo di Benigno o di Aileen Lee-Selwyn Armellini. Uno sguardo diverso lo offre la figlia di Felice Chilanti, l’adolescente Gloria tra riunioni di partigiani orecchiate tra le mura di casa e frequentazioni del mercato della borsa nera a Campo Marzio. Le vedove di partigiani meno istruiti non hanno lasciato testimonianze così articolate. A volte sono giunti i loro lamenti, gridati, impastati di lacrime. Forse la testimonianza femminile più forte e più attinente alle realtà di quegli anni la offrono Anna Magnani e Renzo Rossellini in Roma città aperta una vicenda di fantasia che si intreccia alla vita vissuta in maniera così vivida che, racconta il regista, durante le riprese le comparse svizzere tedesche che indossavano le divise naziste venivano fatte oggetto di insulti da parte della popolazione sbigottita che l’orrendo passato potesse ripresentarsi a così pochi mesi dalla sua scomparsa.

Scena tratta da Roma città aperta

La Ponzani si è applicata a conservare le testimonianze delle donne, mogli e fidanzate e figlie delle vittime della strage delle Fosse ardeatine, accentuando il tono affettivo che è tuttavia sempre presente anche negli storici più equilibrati quando ci si trova a raccontare di quelle vite spezzate in maniera così brutale. Ne viene fuori un ritratto non tanto della Roma occupata dai nazisti, quanto della città sopravvissuta alla guerra e che attraversa gli anni della ricostruzione con l’occhio e la memoria sempre rivolti agli anni bui. Sono racconti frammentari, spesso infarciti di disperazione per il futuro negato, per le difficoltà di una vita che è proseguita con poco aiuto da parte delle istituzioni e il peso di una famiglia da crescere. Perché l’altro elemento che domina il libro è quello del rapporto tra Resistenza e adolescenza. Non per nulla il libro si apre con la presenza di un adolescente, Francesco, il figlio dell’autrice che visita con la madre il Mausoleo delle Fosse Ardeatine e si chiude con la descrizione del disegno di una bambina di 8 anni che interpreta a suo modo quei mesi di devastazione. Del resto, anch’io, appena mio figlio ha avuto quell’età l’ho portato in visita a via Tasso e alle Fosse Ardeatine. Gli ho raccontato le storie del tempo di guerra che mi raccontava mia madre, gli ho detto del suo professore di filosofia al liceo Cavour, Gioacchino Gesmundo, che non si peritava di dimostrarsi antifascista – «lo sapevano tutti a scuola» mi raccontava; delle liste dei fucilati alle fosse che cominciarono a circolare il giorno successivo della mattanza; del mio collega antiquario Di Nepi, il cui padre morì alle fosse; dei due fratelli Carola, zii della pianista che mi ha accompagnato in tante presentazioni di libri; del carabiniere Pozzi, fucilato il 30 dicembre 1943, c’era cugino del carissimo amico Amedeo e che ogni volta che facevo presente quanto nella vita di tutti i giorni fosse vivido il ricordo di quei morti, mi guardava sbigottito, incredulo che il passato fosse così incancellabile; l’ho portato a Porta San Paolo, gli ho indicato da dove avanzavano i paracadutisti tedeschi e dove si difendevano i civili, i granatieri di Sardegna, gli allievi carabinieri, i lancieri di Montebello; l’ho portato a visitare palazzo Altemps, dove la moglie di Raffaele Persichetti tenne per anni una stagione di teatro in lingua inglese che seguivo più per mantenere la memoria del professor Persichetti che per la qualità degli spettacoli; gli ho raccontato di quel che mi diceva un nipote di Aladino Govoni che per anni, per volere della madre, ebbe apparecchiato il posto a tavola, in attesa di un impossibile ritorno. Su quegli eventi io ci ho scritto un libro e credo che se ne dovranno scrivere sempre, in futuro, con la maggior precisione possibile, senza mai rinunciare alla tenerezza.

In copertina: foto di donne partigiane

categorie
menu