Comma 22

Gli alberi amano gli scrittori di poche parole. L’editoria gentile di Pulcinoelefante



In occasione della diciannovesima edizione della Rassegna della Microeditoria di Chiari (25-28 giugno), in cui sarà presente anche Limina domenica 27 in un dialogo con Annalisa Cuzzocrea, la rivista ha incontrato Alberto Casiraghy, il grande ideatore delle Edizioni Pulcinoelefante, rarità studiata in tutto il mondo, ospite della Microeditoria sin dalla prima edizione e simbolo di libertà editoriale e di passione verso il mondo del libro e della poesia.

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Da quasi quarant’anni, nella piccola Osnago, in provincia di Lecco, un’antiquata macchina tipografica stampa senza sosta attraverso il suo raffinato complesso di pistoni, leve e caratteri mobili.
La cornice di questa produzione, lontana dal mercato e dall’industria, è la casa di Alberto Casiraghy, classe 1952, che dal 1982 con le sue Edizioni Pulcinoelefante pubblica piccoli libretti che sono dei pezzi unici, oggetti artistici costruiti con aforismi e illustrazioni. Da Alda Merini, incontro che gli cambia la vita, fino a Allen Ginsberg, passando per Fernanda Pivano, Maurizio Cattelan, Bruno Munari, Enrico Baj, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, Sebastiano Vassalli, Franco Loi, Vivian Lamarque, Dario Bellezza: è lunga la lista di autori che hanno pubblicato per Casiraghy, che ad oggi può vantare un archivio di oltre 10.000 volumi, un vero patrimonio che si fa simbolo di un’editoria appassionata e dal volto umano, distante anni luce dalla catena di montaggio e dalle grandi tirature.
Decido di incontrarlo per ripercorrere insieme a lui questa straordinaria avventura, nella riaffermazione del libro come snodo, come crocevia sul quale si affacciano un editore e un autore sotto il segno propiziatorio della parola.

L’arte per lei è stata un destino, qualcosa che non si sceglie ma forse che si impone, sin dai primi anni di vita.
Sin da piccolissimo ho avuto la sensibilità della musica. Così ho iniziato a costruire liuti e vielle. La liuteria classica la fanno in tantissimi al nord, soprattutto a Cremona, ma a me interessava ricercare qualcosa di diverso. Poi la passione per la musica mi ha portato all’amore per la poesia, e di lì il passaggio all’amore per la stampa è stato breve. Deve sapere che a Osnago all’epoca c’era un’enorme tradizione tipografica, pensi che Adelphi stampava proprio lì i suoi libri. Finita la terza media ho abbandonato gli studi, come la maggior parte dei miei coetanei, bisognava lavorare. Così mi sono proposto in tipografia e ho subito iniziato, scoprendo in fretta che mi piaceva moltissimo comporre a mano i testi.

Nel 1982, sulla scorta di questa abilità manuale, nasce Pulcinoelefante. Come arrivò alla missione editoriale?
Facendo il tipografo, conoscevo bene il mestiere e me la cavavo con i caratteri mobili. Ho iniziato stampando alcune mie poesie. È andata avanti così per dieci anni, venivano amici a chiedermi di stampare le loro cose e io lo facevo con piacere, anche quando ho iniziato a fare lo scenografo e potevo stampare soltanto nel week end.

Poi un giorno incrocia sul suo passo una signora chiamata Alda Merini.
Mi ricordo bene quel momento. Mi trovavo al Castello di Belgioioso per una rassegna letteraria, c’erano tanti editori, piccoli ma vivaci. Per la prima volta ho visto un incontro tenuto da Alda: ho intuito subito che c’era qualcosa che mi legava a quella donna. Giorni dopo sono andato a trovarla casa sua, era appena uscita dal manicomio, viveva una vita appartata, affaticata. Le chiesi di stampare una sua poesia: il risultato le piacque talmente tanto che nacque tra noi un sodalizio non solo professionale, ma anche umano.
Incontrare Alda è come incontrare Mozart, una mente incredibile che è stata molto amata ma anche molto odiata, soprattutto da chi non ha capito la sua essenza. Aveva una grande vitalità, mi dettava al telefono anche 50 poesie in un pomeriggio, mi chiamava anche settanta volte al giorno. Su cinquanta poesie declamate, bisognava selezionare con cura. Alda era come un fiume, che porta tesori incredibili ma anche ciottoli da scartare. Poeti come Zanzotto limano i propri versi con cura, ci pensano mille volte, centellinano. Alda non curava queste cose, dettava come fosse un corso d’acqua, incontenibile.

Cosa le ha insegnato?
A casa sua, ho incontrato gente meravigliosa. Ricordo bene il giorno in cui arrivò Lucio Dalla. Erano tutti incontri pieni di meraviglia, mossi dalla gentilezza. Le cose migliori si fanno insieme. Quando si lascia aperta la porta, nascono cose bellissime. Io non la lascio mai chiusa, come faceva lei. All’inizio non le piacevano gli aforismi, poi l’ho convinta ad affrontare quel tipo di forma breve. Magari pizzicavo il cuore di una sua poesia, un frammento fulminante. Roba che faceva tremare i polsi. Sono nate anche raccolte che abbiamo pensato insieme, anche per editori più grandi. Insieme abbiamo stampato più di 1500 libricini in vent’anni di amicizia. Siamo stati un vulcano di cose, Alda è sempre dentro di me.

Casiraghy
Alda Merini e Alberto Casiraghy

Nel frattempo Pulcinoelefante cresceva, diventava un passaparola che attirava sempre più curiosi.
Stampavo tirature di trenta, massimo quaranta copie, un microcosmo editoriale che attirava attenzione. Gli incontri hanno iniziato a moltiplicarsi, e così i viaggi. Mi sento da sempre un camaleonte, che sa adattarsi ai tempi e alle situazioni che vive. Con la mia valigetta, che conteneva cento libricini, sono stato invitato un po’ ovunque, da New York a Berlino, passando per il Giappone. Ad oggi, ho stampato più di 10.800 titoli, un piccolo monumento dell’editoria che ho donato alla Casa Museo Boschi Di Stefano, su iniziativa del Comune di Milano. Non avendo un erede, era importante garantire una vita a queste pubblicazioni, abbiamo trasferito 250 scatoloni pieni di libricini, la mia vita.

Un monumento che, rifiutando la serialità, mette al centro l’unico, in un dialogo tra testo e immagine.
Mi interessa un’editoria legata alla tipografia, alla carta, ai caratteri, alla composizione. Con questo approccio, ogni edizione è totalmente diversa dalle altre, sono tutti pezzi unici, a se stanti. Non c’è un’apparente coerenza dei singoli pezzi, anche se superati i diecimila titoli si intravede un progetto, una visione. Lavoro su una Nebiolo degli anni Settanta, un piccolo capolavoro dell’ingegno umano. Si apre in due, si mette l’inchiostro. E non si rompe mai. L’ho fatta aggiustare solo una volta in vita mia. La tengo in casa, stampo tutto qui. Ricordo il giorno che l’ho portata qui, ho dovuto abbattere la porta di casa per farla entrare. Mia madre corse a chiamare il prete per farmi dare una benedizione.

C’è un segreto, in questa sua passione?
Faccio questo mestiere da oltre cinquant’anni, e continua a darmi grandi gioie. La fortuna dei libri che stampo è l’incontro. Non costa nulla fare un libro come questo, l’ho sempre fatto gioiosamente, senza pensare al costo. La centralità è l’incontro tra me e gli autori, la condivisione di un’estetica, lo scambio di idee. «Ti piace questo Bodoni 25? O preferisci un 26?».

Casiraghy

Questa sua capacità di dialogo, direi quasi di ascolto attraverso le parole impresse sulla carta, l’ha portata a pubblicare centinaia di autori, alcuni dei quali importantissimi. Oltre alla Merini, hanno pubblicato con lei personalità come Allen Ginsberg, Maurizio Cattelan, Bruno Munari, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, Franco Loi, Vivian Lamarque, Fernanda Pivano, Dario Bellezza, Emilio Tadini, Ugo Nespolo. Chi ricorda con maggiore affetto?
Con Fernanda Pivano, per tutti “Nanda”, c’era un rapporto speciale, abbiamo fatto insieme una ventina di libretti. Quando l’ho incontrata, le ho stampato un libricino e lei era molto sorpresa. «Quanto ti devo?» mi chiese. Le dissi che non volevo niente, era stupìta. Da allora, mi facevo invitare da lei di tanto in tanto a Milano, per un boccone insieme. Mi raccontava aneddoti bellissimi, insieme a Enzo Eric Toccaceli, fotografo amico suo e dei beat. Un altro incontro speciale fu quello con Sebastiano Vassalli. Per ventidue anni, ogni 15 di agosto veniva a casa mia a stampare. Quando gli chiesi perché avesse scelto proprio quella data, mi disse: «Perché a Ferragosto non c’è traffico in autostrada». Passavamo la giornata insieme, stampavamo il libro, lui lo correggeva, poi mangiavamo un risotto e se ne tornava a casa.

Trasmette una pace interiore che altri autori non avevano. Con Allen Ginsberg come andò?
Fu un incontro bellissimo. Io non conosco l’inglese, ma un amico mi disse che Allen era a Milano e lui l’avrebbe seguito per scattargli delle foto. Così ci sono andato anche io, portando i miei inseparabili libricini. Finito il reading, siamo andati nel backstage per conoscerlo. Quando vide i libri, fu felicissimo, gli piacquero molto. Ha iniziato a dettarmi delle poesie che poi ho stampato. Credo mi avesse preso in simpatia, lo ha compito questo mio piccolo mondo di carta.

Ancora una volta, ecco la sua grande capacità di far accadere l’incontro, di creare un legame attorno alle parole stampate.
È la caratteristica principale di Pulcinoelefante, la sua forza. Pensi che a 108 anni Gillo Dorfles venne a trovarmi a casa. È rimasto tutto il giorno in piedi a guardare i quadri e le stampe alle pareti, le analizzava. Dopo la stampata, ha corretto la bozza con grande attenzione. Ha corretto dei colori, che io non avrei messo ma che per lui erano fondamentali. Prima di riaccompagnarlo a casa, mi ha dettato un aforisma: «Il potere del colore tornerà». Aveva una grande voglia di creare, di vedere, di gustare tutto. Una lezione di vita che non posso dimenticarmi.

Casiraghy

Eppure in questo ultimo anno gli incontri ci sono stati negati, e quella voglia di creare è stata messa a dura prova. Come ha vissuto il lockdown?
Come un camaleonte, adattandomi molto bene. Nella prima fase non veniva più nessuno a trovarmi, in Brianza abbiamo avuto molta paura del virus e i numeri sono stati gravi. Così ho pensato bene di applicarmi alla creazione, firmando 300 nuovi disegni. Le mie creazioni mi facevamo andare a letto felice. Quei materiali nei prossimi mesi diventeranno una mostra, grazie all’interessamento di due galleriste. I mesi sono passati in fretta: abito in una piccola casetta, ho le galline che fanno le uova tutti i giorni, curo un piccolo orto. È molto importante la misura d’uomo, e in questi mesi lo è stato ancora di più. Il pomeriggio suonavo il violino, la musica mi ha sempre accompagnato. Non posso dire di essere stato male, e credo che, nonostante le difficoltà, chi lavora con la creatività se la caverà sempre.

Lei ha tutta l’aria di una persona che vede il futuro come qualcosa di luminoso. È così?
Vivo gioiosamente il mio progetto editoriale, che è anche un progetto di vita. Il mio futuro deve essere sempre poetico. Le confesso che ho avuto momenti in cui ho avuto la tentazione di fermarmi, ma le persone che avevo attorno mi hanno convinto ad andare avanti. Mi sarebbe piaciuto stampare solo per le donne, perché hanno meno occasioni nella società nella quale viviamo. E poi le donne sono di gran lunga superiori nella poesia, oggi. Di sicuro nell’editoria avverranno dei cambiamenti: spero sapremo andare di più sulla qualità, senza cadute. Stampare un brutto libro in 5.000 copie significa tagliare tanti, troppi alberi. Il mio augurio è che si inizino a fare soltanto le cose che valgono la pena di essere fatte. Così risparmieremo tempo e carta, perché «gli alberi amano gli scrittori di poche parole».