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Gli aerostati, le nuove origini di Amélie Nothomb



L’ampissima fronte in marmorino incrina, all’abbaglio d’un sole fané: deve restare concentrata, e pallida, Amélie Nothomb. Deve scrivere, scrivere, scrivere, scavalcando primavere ed estati: un intonso inverno di fogli, le serve.
Questa donna-bucaneve nel suo bulbo corvino pubblica (sempre) quando la luce forte si scansa, quando ferragosto è bruciato intero; la pandemia non ha corrotto la biro circadiana e allora ecco, adesso, Gli aerostati (Voland Edizioni, traduzione di Federica Di Lella).
Si tratta di un ritorno alle nuove origini, dopo l’interludio d’arsura mistica di Soif. «La sete è… trovare dio nel deserto: tenetevela, prima di soddisfarla», profetava là dove la cultura ingolosisce più del ca(l)cio: alla tivù francese; centro di una pala d’altare i cui ladroni (Monica Sabolo, Julia Deck) sospiravano con liceità, Nothomb sfrisava le proprie colonne d’Ercole.

aerostati

Tornata a casa – su uno zeppelin, sì –, ha scritto quella che pare la costola progestinica di Colpisci il tuo cuore: un libro domestico, una famiglia non addomesticabile. Nel 2017 madre-e-figlia, nel 2021 padre-e-figlio: mancava l’avverbio masculo, entro la tenzone patologica tra demiurgo e creato. L’autrice l’ha coniato, cruentemente.
Ange – 19 anni, studentessa di Filologia, disincantata «giovane Atena» –, dà lezioni di letteratura al dislessico Pie – 16 anni, pazzo di archibugi, aritmetica, aerostati. Inizia un rapporto a colpi di classici fino al colpo di scena finale e forbiciato.
Il quadro è Bruxelles, odi et amo squillato – tra assenza di concupiscenza e luminosità trafiggente. Però, tolti il Museo dell’Aria e la foresta di Soignes, la vita svolge dietro serratura.
La dimora, la rappresentatività dello spazio abitato sono uno tra i livelli significanti della pluri-stratificata prosa nothombiana.

«A casa di Donate avevo uno stanza tutta per me. Virginia Woolf ha perfettamente ragione, non c’è niente di più importante», ci rivela Ange, «tornavo in camera mia. Più che un rifugio in cui ritirarmi, la mia camera era il luogo dove tutto era possibile. Mi piaceva l’idea di non sapere dove stessi andando».

Casa e caserma di Pie, per contro, gli sono scollegati, forse a causa di quel che la co-protagonista chiama «deficit di realtà» e che noi osiamo tradurre in deficienza autoanalitica: il ragazzo si ignora, complice la (terribile) famiglia patriarcale.
La professorina, che mangia pane e cioccolato, che all’occorrenza beve «come i russi» («Lo spirito dello champagne è dentro di me. Sono allegra e leggera»), riesce a ravvivare i sensi del discepolo. Portandolo dall’ottundimento alla crisi profonda, gli cammina al fianco durante giornate d’adolescenzite acuta; «capivo il suo malessere. Avere sedici anni è un incubo», medita, «la pubertà era un po’ come essere mandati al fronte, una forma di darwinismo estremo. Magari era un errore evolutivo, proprio come l’infiammabilità dell’appendice». O una metamorfica carneficina kafkiana.
I luoghi. Le età.
Dopo, tocca agli amori.

Nothomb abilita la curiosità a sentimento. Forgia un’eroina disinvolta entro passioni distaccate, riempitive, limitate dall’accontentarsi. Forse, più che altro, smontate dalla prova empirica.
«Non posso insegnarti il desiderio»: così rintuzza, mentendo, Pie. Il quale, all’angolo della sua fisiologica incipiente foia, sa ribattere: «Sento che c’è un vecchio nella sua vita».
Tutto molto normale, cinico quanto basta.
Ad essere fuori norma è la famiglia.

«Avevo otto anni quando ho capito che (mia madre, ndr) era una mentecatta. Ne avevo dodici quando mi sono reso conto che mio padre era un verme».

I Roussaire, mimetici parvenus, vorrebbero adoperare il figlio a mo’ di fazzoletto da taschino. Lui recalcitra («Io non sono frequentabile. Non mi comporto come si deve. Sono sarcastico. Dico la verità») sul fondo d’una prison de velours. Anche portandolo tra i comuni mortali, dove aleggia fiero l’«odore di fritto e di aliti pesanti», Pie non si libera. Preferisce i miti, gli dèi.
D’altro canto, li ha appena scoperti grazie a lei.
Si è alla cucitura delle «pieghe baciate» de Les aérostats: la letteratura: una salvazione fascinosa, un’espiazione.
Agie sottopone a Pie l’apogeo della cultura, i suoi kolossal cartacei, e gli originali rimandi del ragazzo le fanno ridere il midollo, per arguzia, per spietatezza. L’Iliade si salva grazie a Ettore, al suo disgusto «asmatico». L’Odissea interessa unicamente per la metrica: «Ogni avventura dura un certo numero di versi, il tempo giusto per portare l’azione al culmine. Dopodiché la tensione cala. Il pubblico può andare al cesso». Il Rosso e il Nero? «Letteratura per ragazze». E avanti così. Tuttavia, alla chiosa, è Madame Littérature a mandare le guance in fiamme, a spostare il destino, senz’altro movente che quello di riabilitarsi da una cattiva, bovaristica fama. Le ci si avvicini, bien sûr, ma a proprio rischio e pericolo.



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