Camera Obscura

Voir, vedere la critica cinematografica



Una raccolta di video-saggi alla ricerca del grande pubblico Netflix



Un tempo si chiamavano crito-film, secondo la definizione dello storico e critico Ragghianti, ovvero dei film che facevano critica d’arte e più avanti cinematografica usando le immagini e il montaggio, gli elementi stessi del cinema più che le parole, superando il tabù (come poi teorizzerà Adriano Aprà) di una critica che non può usare i mezzi dell’arte che sta criticando. L’immagine serve ad aprire e indagare un’altra immagine.
Oggi, o meglio da quando il montaggio, la ripresa e i materiali sono a disposizione di tutti, si chiamano invece video-saggi, hanno fatto la fortuna di Vimeo e sono diventati uno dei modi più di tendenza di fare critica, arrivati anche a una loro considerazione accademica e istituzionale. L’operazione quindi che David Fincher come produttore ha portato avanti attraverso Netflix, che distribuisce, ha il valore di un ulteriore passo avanti: portare il video-saggio al grande pubblico attraverso la piattaforma streaming generalista di maggior successo al mondo. Il risultato è Voir (che significa ‘vedere’ in francese, la lingua convenzionale della cinefilia), una raccolta di 6 video-saggi della durata media inferiore ai 20 minuti che sembrano pensati per spiegare questa forma di critica a chi non la conosce.

A comporre e narrare i segmenti ci sono critici multimediali affiancati in qualche caso da registi e montatori professionisti e ognuno di questi si concentra su un film o su un preciso elemento della visione e realizzazione cinematografica: per esempio, anche a sottolineare il carattere divulgativo della miniserie, ad aprire la breve antologia c’è un video della blogger Sasha Stone in cui racconta la sua esperienza  auto-biografica nel vedere Lo squalo all’età di dieci anni, confrontando il film con la propria crescita emotiva e personale, definendo il proprio status anche in base al proprio rapporto con la sala. Non è tecnicamente un video-saggio, è più un cortometraggio con elementi di riflessione cinematografica, in cui il regista David Prior mette in scena elementi di ricostruzione e rappresentazione, con “attori” che reinterpretano (la pratica cosiddetta di reenactement), ma che sembra proprio parlare a coloro che uno vero non l’hanno mai visto, che devono ancora prendere confidenza con l’essenza di questa forma di espressione.

voir fincher

I successivi cinque filmati invece sono invece più affini agli standard del video-essay, seppure usano le parole in modo molto più presente rispetto ai migliori esemplari del genere, perché appunto il pubblico di riferimento è un altro, ma in ogni caso usano le immagini e il montaggio, o meglio il ri-montaggio dei film in senso intellettuale, per mostrare e spiegare cose che sarebbe impossibile spiegare senza quelle immagini, oppure per evidenziare elementi che le parole non colgono a pieno, come le dinamiche storiche, politiche e culturali alla base di 48 ore, il film di Walter Hill al centro del conclusivo La profondità dell’irriverenza; non a caso, tre dei sei brani sono realizzati da veri pionieri del genere, Taylor Ramos e Tony Zhou, che nel 2014 realizzarono un vero precedente a Voir, ossia Every Frame a Painting, che spopolò su YouTube e su Vimeo, e che fece fare – assieme al successo di Kogonada, il più celebre video-saggista che ora è anche regista di film “tradizionali” – al genere un salto di qualità e di popolarità, tanto da ispirare anche Mark Cousins per il suo epocale The Story of Film. In questi tre video – L’etica della vendettaLa dualità dell’attrattiva Film contro televisione –, sono le immagini e il loro raffronto, la costante dinamica tra analogie e differenze a spiegare il senso dei discorsi che gli autori portano avanti, è il modo in cui le immagini vengono scomposte e ricomposte davanti agli occhi dello spettatore ad avere il valore saggistico: il terzo di questi è in questo senso praticamente perfetto, perché attraverso l’analisi dell’inquadratura spiega meglio di molte parole la differenza specifica tra cos’è un’immagine televisiva e una cinematografica, arrivando così a poter spiegare meglio perché a cavallo tra i secoli avvenne quella rivoluzione che porta oggi molti a equiparare linguisticamente il film e la serie tv, usando come caso di studio I Soprano.

Particolarmente affascinante è anche La dualità dell’attrattiva, perché usa elementi più vicini al documentario d’arte – interviste ad animatori, riprese originali – per raccontare il processo creativo e percettivo che ci porta ad apprezzare i personaggi animati, a cosa si deve la loro riuscita nel disegno e nell’animazione, un lavoro che, con tutte le possibili differenze e proporzioni del caso, ricorda vagamente Il mistero Picasso, un bellissimo film di Henri-Georges Clouzot che nel 1956 mostrava il maestro all’opera, cercando di catturare attraverso le specifiche del mezzo cinematografico l’essenza del genio e del suo processo creativo, una pietra miliare del crito-film.

A vederli tutti ravvicinati, sperimentando il binge watching per qualcosa che non è stato pensato a dato scopo, emerge poi un sentimento che richiama vagamente la nostalgia, magari spinto ai margini dalla forma tecnologia, ma che le immagini richiamano, ovvero l’epoca del grande schermo, del cinema in maiuscolo non solo per la qualità ma per le dimensioni, quel rapporto insieme collettivo e intimo con la sala e quindi anche con ciò che vi si proiettava che lo streaming, il computer e la tv non possono replicare. Molti dei segmenti hanno sequenze evocative in cui i film di cui trattano sono proiettati su un grande schermo in un teatro d’altri tempi, il già citato L’estate dello squalo, ma anche altri brani come Film contro televisione e Ma non mi piace sembrano sottolineare la centralità della visione al cinema, almeno in termini emotivi e di formazione per l’occhio dello spettatore.

Così oltre a far conoscere un modo più contemporaneo e tecnologico di riflettere sul cinema, Voir fa anche un’operazione sottilmente (involontariamente?) propagandistica contro un certo tipo di fruizione dell’opera filmica, proprio quel tipo di fruizione che Netflix e le piattaforme che ospitano di solito i video-saggi incoraggiano. Un gesto che in questi tempi di paura degli spazi chiusi e di cinema sempre più vuoti sembra quasi una rivolta contro lo status quo.