Camera Obscura

Laura Betti. Una Marlene tragica, una vera Garbo


«Nacque ad un certo punto e comunque, sia chiaro, nacque e visse al di fuori della storia.»
Così, nel 1964, Laura Betti comincia la sua sintetica, surreale, autobiografia. Grande attrice, cantante meravigliosa, di una bellezza particolare, era anche maestra d’ironia: «Cantava un blues in inglese dal titolo Black Coffee. Cantava splendidamente, ma non lo sapeva e non le interessava per niente il problema» (da I saltimbanchi).
Viene alla mente un film, il Mondo nuovo di Ettore Scola, con Marcello Mastroianni che impersona Casanova vecchio, stanco, in fuga dalla Parigi della Rivoluzione Francese. E c’era la cortigiana Hanna Schygulla. E poi c’era lei, la Betti, nella parte di una cantante lirica, un po’ sopra le righe, faccia indecifrabile che ogni tanto si illuminava e sovrastava tutti con un acuto. Momenti visionari, in cui la caratterista si faceva spazio da primattrice, con un talento indiscutibile.
E questa è stata sempre qualità di Laura Trombetti, in arte Laura Betti, nata a Casalecchio di Reno il primo maggio 1927. Figlia di un avvocato iscritto al Partito d’Azione, Ettore Trombetti, e nipote del glottologo Alfredo Trombetti. Comincia con il jazz. Poi il cabaret, insieme a Walter Chiari. E finalmente il teatro, dalla porta principale, regia di Luchino Visconti: con quella pazzesca voce roca, recita ne Il crogiolo di Arthur Miller.

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Frame da Il mondo nuovo di Ettore Scola

Alla fine degli anni Cinquanta se ne va a Roma, trova casa in via del Babuino, ne fa un salotto intellettuale, e lì c’è l’incontro più importante, conosce Pasolini. Amicizia intensa, profonda, lui bonariamente la chiamava “la pazza”, mentre per diversi registi era “la giaguara”, carattere forte, a volte insostenibile, ma quale grande artista non ha questo carattere indomabile. Nel ‘68 l’amico Pier Paolo le affida la parte della domestica in Teorema e Laura vince la Coppa Volpi al festival di Venezia. Nel cinema debutta in Noi siamo le colonne (1956), diretto da Luigi Filippo D’Amico e, dopo Era notte a Roma di Rossellini, eccola ne La dolce vita di Fellini.

Siamo nel 1960. E Laura Betti realizza un recital di canzoni, coinvolgendo un gran numero di talenti letterari: tra cui Pasolini, Moravia, Camilla Cederna, Bassani, Flaiano, Arbasino, Parise. Grande successo del tour italiano e poi a Parigi con i complimenti di André Breton. E ancora La ballata del pover’uomo, coppia d’assi con Paolo Poli, due cantastorie d’eccezione in uno sceneggiato di Eros Macchi.
Oltre che in Teorema, Pasolini la diresse anche ne La ricotta, episodio di Ro.Go.Pa.G (Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti), dove Orson Welles, che interpreta un regista, dice a un giornalista: «Lei è un uomo medio. Ma lei non sa cos’è un uomo medio. È un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista.»

Sempre con Pasolini, la Betti interpreta l’opera teatrale Orgia e I racconti di Canterbury. Due film con Marco Bellocchio: Nel nome del padre e Sbatti il mostro in prima pagina; Allosanfàn, diretta dai fratelli Taviani; Viaggio con Anita di Mario Monicelli; Un eroe borghese di Michele Placido; La felicità non conta niente di Mimmo Calopresti. E naturalmente Novecento di Bernardo Bertolucci, dove interpreta la parte della fascista insieme a Donald Sutherland. In una registrazione, lei così definisce il suo personaggio: «Sono una porca, sono una gran porca, una delinquente»: Betti e Sutherland, due grandi attori, che nelle loro azioni, nei loro volti, condensano i crimini del fascismo.

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Dalla mostra Non mi lascio commuovere dalle fotografie (Palazzo Ducale di Genova, 2022)

E venne il 1975. Pasolini viene ucciso, massacrato sulla spiaggia di Ostia, e la sua morte è ancora un mistero. Un dolore profondo per l’Italia, sembra di sentire ancora Moravia: «Hanno ammazzato un poeta». E ricorda la canzone di Violeta Parra per la morte di Garcia Lorca: Verguenza para la Espana de aver matado un poeta nacido de sus entranas.
Per Pasolini, Laura Betti «era una tragica Marlene, una vera Garbo con sopra al volto una maschera inalterabile di pupattola bionda». Dal 1983 è stata ideatrice e direttrice del Fondo Pier Paolo Pasolini, che per più di vent’anni ha avuto sede a Roma in Piazza Cavour. Nel 2003 crea, presso la biblioteca della Cineteca di Bologna, il Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini, nel quale trasferisce più di mille volumi e altro materiale che riguarda l’opera dello scrittore.

Dice la Betti – poco più di un mese e mezzo prima che morisse – in un’intervista a Roberto Chiesi:

«Ero affascinata e attirata dal canto più che dalla prosa. Mi attirava il fatto che, secondo me, la canzone fosse più difficoltosa del teatro, i recital erano molto impegnativi, molto difficili. Visconti era durissimo, ed era un attore straordinario, riusciva ad interpretare in maniera sublime tutti i ruoli, tutti i personaggi. Ma soffriva molto in quel periodo per suoi problemi sentimentali ed era sempre ubriaco. Mi trattò malissimo, cosa che non gli perdonai, ma, al tempo stesso, rimanemmo molto amici. Mi consigliò di cambiare il mio cognome da “Trombetti” in “Betti” e lo feci. Facemmo un disco con Bruno Maderna dai Sette vizi capitali di Weill/Brecht. Lui creò gli arrangiamenti, bellissimi. Mi affascinava molto il cabaret berlinese e poi le canzoni erano belle, belle. Kurt Weill era un grande musicista. Vittorio De Sica collaborò a Tango Balade. Il rapporto con Bruno era meraviglioso. Eravamo molto amici ed era anche diventato amico di Pier Paolo. Fu un’idea mia quella di cantare testi degli scrittori che amavo. Cominciai a chiedere loro i testi e a pensare a questo spettacolo insieme a Filippo Crivelli. È stato il putiferio perché tutti gli scrittori volevano partecipare. Moravia non capiva nulla di metrica. Io gli avevo anche regalato un pallottoliere, niente, non gli veniva. Pier Paolo invece era bravissimo. Le difficoltà con la metrica di Moravia determinarono il coinvolgimento di musicisti contemporanei perché, se no, non se ne sarebbe venuti a capo. Andai alla biennale di Venezia e incontrai Strawinski che mi regalò alcune pagine di battute musicali. Io non avevo capito quanto fossero importanti e credo addirittura di averle perse.»

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Moravia, Pasolini e Betti (Archivio Luce)

«David? Sono Sergio Citti. Tanto lo sai che sono sordo e non ti sento, ma ti devo dare una notizia terribile. È morta Laura Betti. – Così comincia l’articolo di David Grieco, giornalista e regista, alla morte dell’amica Laura – Questa è proprio una brutta botta. È morta la pazza, come la chiamava Pier Paolo. Laura era l’unica che faceva ridere Pier Paolo. Era una donna straordinaria, Laura. Pensa che l’ho chiamata proprio ieri sera, chissà che mi dice il cervello, l’ho chiamata tre volte di seguito. Come faccio con te, io parlavo e lei ascoltava. Non l’ho trovata. Ho cominciato a preoccuparmi. Allora ho chiamato te. Ma non ho trovato neanche te. Mi senti, David? Mi piacerebbe fare qualcosa, dire qualcosa. Vorrei venire al funerale, ma mica posso venire in ambulanza. Scrivi qualcosa, David. Scrivi qualcosa anche per me. Scrivi su l’Unità, che mi ha salvato la vita, e che voleva bene a Laura come gli volevamo bene io e te. Fallo, ti prego…».

Laura Betti è morta a Roma il 31 luglio 2004. Riposa al cimitero della Certosa di Bologna, nella tomba di famiglia.