La montagna è da rispettare e coltivare, per vivere meglio. La semplice lezione, quanto mai attuale, di Mario Rigoni Stern richiede una riflessione, sapendo che abitare in montagna è difficile e presuppone una forte volontà. Pur in presenza di un contesto ambientale di qualità, la vita nei piccoli paesi è resa problematica da mancanza di servizi e occasioni che ostacolano la permanenza dei giovani e determinano l’invecchiamento della popolazione e fenomeni di abbandono, particolarmente acuti nelle aree meno ‘pregiate’ dal punto di vista dell’immagine e dell’immaginario. La montagna italiana è infatti costituita da alcune ‘eccellenze’ ambientali e turistiche e da molti luoghi sostanzialmente anonimi. Le eccezioni riconosciute dal marketing sono autopromosse dai processi economici che ne sfruttano bellezza e potenzialità, risultato di logiche cittadine applicate che considerano lo spettacolo della natura e il divertimento sportivo prodotti di consumo. I molti luoghi meno identificati invece subiscono un lento declino, poiché scarsamente dotati di qualità commercializzabili, di infrastrutture e ricettività, quindi di ‘valore’. Ai processi di degrado delle medie quote corrisponde inoltre una crescita disorganica dei fondovalle, quasi ovunque urbanizzati senza criterio.
Queste e altre diseguaglianze territoriali frenano l’emancipazione della montagna dal ruolo subordinato che le ha imposto la modernità. Per non cedere a queste dinamiche e tornare a coltivarla come un bene comune, trattandola con cura e rispetto, è necessario individuare altre modalità – contemporanee – dell’abitare. Prendendo innanzitutto le distanze sia dal modello consumistico-turistico (subordinato all’ideologia del playground sportivo) che dallo stereotipo folkloristico del pittoresco alpino (arricchito dal mito dell’immaginario scenografico). Per poter rimuovere i fattori sfavorevoli presenti in entrambi è necessario ripartire da valori altri, dalle specificità locali e da quella cultura ambientale che sempre è stata tratto distintivo della civilizzazione alpina e montana, fondata sulla conoscenza consapevole dei molteplici dislivelli presenti nel paesaggio vissuto e in quello interiorizzato.
Riferimento polare è la montagna quale sede di un’ecostoria di pratiche ambientali e stili di vita sostenibili, con abitanti costruttori di un paesaggio culturale integrato all’ambiente naturale ed esteticamente espressivo di un delicato equilibrio tra vita della natura e vita dell’uomo. Se la compatibilità fra sviluppo e gestione delle risorse è riconosciuta come vantaggio competitivo, anche il patrimonio edilizio diviene tangibile opportunità: risorsa, entro certi limiti rinnovabile, va trattato con attenzione e cura per non disperderne il valore di testimonianza e per utilizzarlo come un bene culturale attivo da reintegrare con coerenza nelle forme dell’abitare odierno.
Per affrontare il tema in modo ampio e condiviso, interpretando correttamente i limiti e le opportunità strutturali del territorio e dell’ambiente montani, a Vione, in alta Valle Camonica, è stato avviato un percorso laboratoriale e collaborativo di studio e valorizzazione di un patrimonio architettonico storico, sottoutilizzato ma recuperabile. La via di ricerca intrapresa muove dagli antichi edifici ma intende affrontare in modo più ampio il tema dell’abitare contemporaneo. Generatrice di riflessioni sulle caratteristiche e il significato attualizzato del patrimonio storico, immobiliare e immateriale, ha lo scopo di guidare la riappropriazione consapevole del senso dei luoghi da parte degli abitanti e di aggiornare gli operatori del settore edilizio, fattori essenziali per costruire progettualità condivise e tornare a ri-abitare il paese.
Come molte aree interne, Vione è in netta decrescita demografica e conserva un certo numero di edifici rurali, testimonianza tangibile di quella civiltà contadina ben documentata nel locale Museo etnografico. Il suo tessuto urbano, di matrice medievale, conserva tipologie edilizie tradizionali in pietra e legno, in prevalenza miste rurali e abitative, a cui gli abitanti sono molto legati. Il loro incerto futuro, minacciato dai crescenti interessi speculativi delle vicine stazioni turistiche, rende urgente una riflessione e la definizione di credibili proposte di rigenerazione urbana.
Abbiamo per questo istituito un laboratoriopermanente (sostenuto dall’Amministrazione comunale e dal Distretto Culturale della Comunità Montana di Valle Camonica, con la collaborazione di ArCA architetti camuni e del museo ‘Lzuf) che intende elaborare modelli d’intervento e azioni mirate a conservare la qualità del patrimonio edilizio in una prospettiva di sviluppo. Primo passo di tale processo è stato l’allestimento della mostra Abitare. un paese, in montagna, indirizzata principalmente alla comunità residente, ma non solo, e costruita a misura di Vione. L’esposizione propone ventitré progetti architettonici di recupero realizzati nell’intero arco alpino, esempi di metodo e intervento nei piccoli borghi. Esemplari per tipologia d’intervento, funzioni, committenza e qualità architettonica, i progetti che ho selezionato sono modelli anche per capacità d’innescare processi di rilancio sociale. Ciascuno rappresenta un caso-tipo per l’avvio di riqualificazioni estetiche, ambientali, sociali e funzionali che hanno creato nuove situazioni produttive e relazionali e aumentato la qualità di vita.
Abitare. un paese, in montagna è composta da grandi manifesti, pannelli e steli. I manifesti, appesi sull’esterno di edifici con cui dialogano, illustrano ogni progetto con una gigantografia commentata da parole-chiave che ne evidenziano una finalità: riabitare, rispecchiare, conservare, rivivere, socializzare, fare comunità, recuperare, innestare, riabilitare, rivitalizzare, dialogare, riqualificare. Le steli in legno collocate lungo le vie e nelle piazzette del paese e i pannelli esposti entro due tabià descrivono con fotografie e brevi commenti il carattere di ogni architettura, anche in questo caso in relazione con case e fienili per suggerire possibili modalità d’intervento. Tale dialogo intende da un lato proporre agli abitanti esempi concreti e virtuosi, dall’altro invitare i visitatori alla scoperta del paese e a cercare tra i vicoli dialoghi e connessioni.
Una sezione dell’esposizione è dedicata a progetti dello studio Ruch & Partner, che in modo esemplare per qualità, rigore metodologico e sensibilità estetica ha recuperato alcune antiche case in Engadina. Gli altri interventi, localizzati nell’intero arco alpino, sono opera di progettisti accomunati da intelligenza interpretativa ed eleganza nelle soluzioni adottate. La qualità e il senso di responsabilità che emerge dai lavori trovano sintesi in due esperienze forti: l’intervento pubblico decennale a Ostana, coordinato con visione strategica da Antonio De Rossi, e il sapiente impegno di Armando Ruinelli, che utilizza la competenza artigiana come prezioso fondamento degli inserimenti moderni. Sono esposte architetture di: Hans-Jörg Ruch & Partner. Ruinelli Associati, Antonio De Rossi, Massimo Crotti, Marie-Pierre Forsans, Luisella Dutto, Daniele Regis, Valeria Cottino, Dario Castellino, Giovanni Barberis, Weber+Winterle (Lorenzo Weber, Alberto Winterle), Officina82 (Fabio Revetria, Lara Sappa), Enrico Scaramellini, Federico Mentil, Viviana Ferrario e Andrea Turato, Collettivo Camposaz, Sergio Ghirardelli, Riccardo Faustinelli e Marianna Rossi, Luca Sajeva. La mostra, molto visitata e apprezzata per modalità e qualità, resterà aperta sino all’estate.
Parallelamente è in corso un ciclo di incontri, in presenza e online, aperti tutti e patrocinati da diversi Ordini professionali, con alcuni tra i protagonisti della mostra e in confronto con Università, Soprintendenza e settori dell’edilizia di qualità. La sintesi e il confronto di riflessioni ed esperienze permetterà di scrivere insieme la Carta di Vione: agile manuale illustrato con idee e buone pratiche per il recupero operativo del patrimonio edilizio. Strumento utile per accompagnare il processo di sensibilizzazione dei proprietari di immobili e le proposte progettuali, il documento potrà diventare un riferimento anche per altri piccoli paesi alpini. Il coinvolgimento attivo dei residenti nel percorso di rigenerazione potrà consolidarsi nelle prossime azioni, tra cui workshop di progettazione partecipata e autocostruzione per riattivare spazi abbandonati, occasione per iniziare ad utilizzare, verificandoli, i contenuti della Carta.
Muovendoci tra gli opposti della stretta conservazione patrimoniale e il lassez faire del libero uso delle strutture edilizie, stiamo dunque avviando un percorso di rigenerazione a base culturale e sociale che inneschi trasformazioni compatibili. In questo quadro è auspicabile che possa costituirsi, nel tempo anche a Vione, una moderna green community che, attivando filiere produttive locali, riprenda un dialogo territoriale sulla scia dell’opera di cura e manutenzione del paesaggio svolta dagli antichi abitanti. Le competenze multidisciplinari del montanaro storico possono infatti rappresentare un utile riferimento e, se aggiornate, tradursi in flessibilità del fare, produrre e abitare, rinnovando le attività plurali che, oramai, pochi abitanti di Vione sanno praticare. La montagna e i suoi paesi non possono essere luogo della specializzazione; recenti successi di microattività sostenibili raccontano approcci multidisciplinari e ibridazioni professionali, spesso evoluzione di pratiche antiche: nuovi negozi di prossimità (dalle botteghe multiprodotto di paese), l’albergo diffuso (dalla villeggiatura estiva in case private), assistenza tecnica e servizi (dai tuttofare multimestieri), formazione professionale (dalla scuola-bottega), multiworking e coworking (dalla solidarietà parentale o per affinità), nuovi biocontadini (dall’economia mista del contadino-allevatore), agriturismo esperienziale (dalla vita d’alpeggio). Con il sostegno di reti connettive e tecnologie avanzate di risparmio energetico è inoltre ipotizzabile (e da costruire) un microsistema di nuove attività e funzioni, senza rinunciare alle opportunità di residenzialità periferica possibili con lo smart working.
Come rispondere ai nati e cresciuti in montagna che vogliono continuare a restarci sia per un senso (anche affettivo) di appartenenza che per un progetto permanente di vita, lavoro e significato? L’antico montanaro centomestieri può forse rinnovarsi nell’artigiano connesso e, insieme ad altre figure e in un contesto comunitario dotato di servizi, divenireprotagonista di una stagione sperimentale fondata sull’intersezione dei saperi e nella relazione tra percezione emotiva e spazio costruito. In questa prospettiva i luoghi abitati possono ri-caratterizzarsi come realtà multidimensionali e polisemiche, aperte e flessibili, polifunzionali e ri-trasformabili, come gli spazi degli antichi edifici che, per semplicità di concezione, si adattavano alle mutevoli funzioni di un’economia circolare.
Per giungere a risultati apprezzabili bisogna attivare capacità creative ed elaborare soluzioni non temporanee, utilizzando tutte le opportunità di cui le montagne dispongono: saperi, strutture abitative, microtrame urbane ma anche legami con l’ambiente circostante, mondo vitale e teatro attivo delle scelte e della vita. Su queste basi, l’assunzione di una responsabilità condivisa di abitanti e istituzioni è premessa per attivare un processo di crescita e patrimonializzazione integrata, ritrovando in forme rinnovate quella intelligenza ecologica e paesaggistica che ha caratterizzato l’abitare montano.
Poiché è proprio nelle forme pratiche e simboliche dell’abitare che si plasmano le menti e si formano persone, «curo i prati come il pavimento della mia casa» (Roberta Dapunt) può essere un modo, e un atteggiamento simbolico, perconsiderare il contesto montano uno spazio aperto, nei suoi molteplici significati.