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Le stelle si spengono all’alba. La memoria storica di Wagamese


Il centro di Le stelle si spengono all’alba (Richard Wagamese, La Nuova Frontiera, 2021; traduzione di Nazzareno Mataldi) è l’amara vicenda di Eldon Starlight, indiano Ojibwe canadese, incapace di vivere in seguito al trauma di perdere i genitori e di crescere in un territorio in cui, a causa dei suoi tratti indiani, si sente straniero; questo sentimento lo porta ad affogare nell’alcool tutte le occasioni che la vita gli concede fino a consumare ogni affetto attorno a sé.
Eldon Starlight è un alter ego dello scrittore Richard Wagamese – anche lui indiano Ojibway a cui è stato perpetrato il medesimo trauma. Wagamese è figlio di un padre e una madre a loro volta sottratti ai propri genitori indiani per essere assimilati alla cultura canadese attraverso le terribili e spesso omicide “Residential Schools”; in un secondo momento Wagamese verrà abbandonato dai genitori, preso in carico da una rigida famiglia presbiteriana fino a quando, passando per la strada, la prigione e l’alcolismo, riuscirà a raggiungere la propria indipendenza e a rielaborare la propria ferita grazie alla letteratura.

Wagamese

Il romanzo è la storia di un viaggio: Eldon Starlight chiede a suo figlio Frank – il quale lo conosce a malapena – di essere portato a morire in un luogo amato della sua gioventù, l’unico luogo in cui abbia mai trovato «una certa pace», sulle alture in cui gli indiani Ojibway vivevano.
La storia si dipana così nei racconti che Eldon – in fin di vita e distrutto dall’alcolismo – fa durante il viaggio al figlio, ormai il solo in grado di prendersi cura di lui. Non sarà un viaggio facile: alla bellezza della natura fa da controcanto la storia di una relazione difficile e piena di risentimenti. Da una parte Eldon deve raccontare come davvero sono andate le cose nella sua vita al figlio; dall’altra Frank compie un viaggio di formazione alla scoperta della propria identità. Frank è cresciuto, in quanto indiano, stigmatizzato a scuola e nel suo contesto sociale: l’abbandono del padre lo ha reso duro e scontroso, in grado di trovare conforto solo nel lavoro della fattoria e negli aperti spazi sulle montagne di cui è diventato esperto grazie alla saggezza del vecchio uomo che lo ha cresciuto e con cui ha un rapporto di condivisione pari a quello tra padre e figlio.

«”Voglio che mi porti lì”
“Perché vorresti andare lì, nelle tue condizioni?”
“Perché voglio che mi seppellisci lì”.
Il ragazzo, seduto con la tazza di caffè a mezz’aria, sentì il bisogno di ridere e alzarsi e uscire e tornare subito alla vecchia fattoria. Ma il padre lo guardava serio e nei suoi occhi poteva leggere sofferenza e qualcosa di più sottile, forse rammarico, rimpianto o qualche altra vaga pena resa irriconoscibile dagli anni.»

Man a mano che i due viaggiano insieme sulle montagne, davanti a un fuoco, con le ultime forze rimaste, Eldon dipana i fili della sua vita in una serie di digressioni che rendono nota la sua storia tanto a Frank quanto a noi lettori. È un racconto che tiene desti, di una voce in fin di vita che si scrolla di dosso le ultime parole, che non ha più nulla da celare; una messa a nudo lucida e consapevole di ciò che ha vissuto. Attraverso le sue parole, anche il lettore, così come Frank nel finale, prova un sentimento di pietà per un uomo che è, a conti fatti, un perdente, un antieroe umanissimo e disperato, troppo debole per sopravvivere alla violenza e ai maltrattamenti subiti.

La sua storia è un doloroso resoconto di abbandoni. Prima quello del padre partito per la Seconda guerra mondiale in Europa, poi quello della madre e, in seguito, quello del grande amico Jimmy, unico vero compagno di strada anche lui indiano. Durante l’estate del 1948 Eldon e sua madre rimasti soli, conosciuto Jimmy, si spostano nella valle del fiume Nechako per lavorare alla fluitazione dei tronchi fino alla segheria a valle; sono giovani e forti, due duri lavoratori, che sbarcano il lunario con il sudore e la fatica.

«Amavano il fiume. Il suo sinuoso nastro argentato. L’odore. Amavano l’atmosfera degli spazi aperti intorno a loro, gli alberi, le rocce, le linee dei dirupi vertiginosi e delle vette che circondavano la valle del fiume. E sopra questo scenario si stagliava un cielo carico di promesse, e le giornate erano  colme dell’energia del lavoro e dei brividi della fluitazione.»

Le promesse girano loro le spalle: la madre di Eldon rimane con il violento datore di lavoro con cui Eldon e Jimmy hanno avuto una zuffa; rimasti soli partono insieme per la guerra di Corea del ’51: Eldon ne fa ritorno da solo, con il vuoto della morte dell’amico.

Eldon Starlight rappresenta il capro espiatorio di un trauma, quello personale di Wagamese e quello collettivo delle popolazioni indiane canadesi. È il personaggio della tragedia: in filigrana c’è il dolore per lo sradicamento e l’emarginazione delle popolazioni indigene canadesi in seguito alla rimozione della loro cultura. Quello dell’autore è un discorso politico, capace di esplorare i segni di un dolore collettivo. L’alcolismo di Eldon Starlight è una sineddoche di questa riflessione politica che presenta una ferita storica ancora da rimarginare nella storia culturale del Canada. Tutta l’opera di Wagamese non prescinde da questo discorso: l’autore riflette sulla violenza che il potere della maggioranza bianca canadese ha perpetrato nei confronti delle minoranze indiane, ne esplora i drammatici strascichi, fatti di emarginazione, povertà, anaffettività e alcolismo, tutti aspetti che il personaggio di Eldon Starlight porta su di sé come croci dall’inizio fino alla fine del romanzo.

Wagamese
Richard Wagamese

Altro grande protagonista di Le stelle si spengono all’alba è lo spazio selvaggio, aperto, silenzioso e sconfinato – la wilderness, archetipo delle narrazioni nordamericane.
Forse anche Frank Starlight un giorno si sarebbe lasciato tutto alle spalle per vivere da solo come cacciatore di pelli nella natura selvaggia delle montagne, al pari di Jeremiah Johnson (Corvo rosso non avrai il mio scalpo!), l’eroe dello straordinario film omonimo di Sydney Pollack del 1972. Anche lui, come Johnson, si lascia alle spalle la città e gli uomini per vivere nella e della natura. Frank sa vivere di caccia, di pelli, di pesca ed è in grado di sopravvivere giorni da solo. Ma soprattutto, anche Frank, come Johnson, impara, dalla solitudine della montagna, il valore degli affetti e il sentimento dei legami tra gli uomini. Nel romanzo, durante il viaggio con il padre morente, è lui che provvede a nutrirlo, aiutarlo a passare la notte, riscaldarlo; e sono tra le parti più belle del romanzo i racconti di come Frank, grazie ai saggi insegnamenti del vecchio uomo che lo ha cresciuto – che è un altro straordinario personaggio del romanzo, nonché un vero secondo padre che incarna tutte le virtù di una vita essenziale e onesta e la cui identità si risolverà solo nel finale – impara a seguire una traccia, a cacciare alci, orsi e coyote e quindi a vivere la natura con un senso quasi religioso di rispetto e devozione, con lavoro, fatica, e senza facili illusioni.

«Poi imparò a leggere i segni. Le tracce erano una storia. Così la pensava il vecchio. Ogni movimento lasciava la storia del passaggio di una creatura, se imparavi a leggerla. Il bambino aveva passato ore carponi a toccare con un dito i bordi dell’impronta delle zampe[…]. Aveva imparato a riconoscerne l’odore. Dall’ampiezza di un’impronta poteva stabilire con precisione come si stava muovendo l’animale. Riconosceva un trotto, una falcata, una camminata, lo strisciare e l’avanzare lento di un predatore a caccia, così come la posa rannicchiata di una preda nell’ombra.»

La natura è così declinata come forza che dà vita e conforto, antico legame con le origini indiane degli Starlight, spesso lontano dai fraintendimenti delle relazioni umane, spazio di solitudine e riflessione: Frank è riuscito, grazie agli insegnamenti del vecchio, a viverci e a non disperderne l’equilibrio  – «Vengo qui ogni volta che la testa mi si riempie di troppi pensieri» – al contrario del padre che, non avendone mai avuto la possibilità, ha fatto esperienza di un sentimento di totale sradicamento.

«Fece un cenno alla sigaretta e il ragazzo gliela diede. La fumò fino all’estremo mozzicone, pizzicandola tra due dita, e dopo l’ultima profonda tirata la fece volare nel fuoco. «Io non mi sono mai trovato da nessuna parte, Frank. Da nessuna parte e con nessuno» disse. Fissava il fuoco come  se sprigionassero da lì le sue parole e la forza per dirle.»

Il libro di Wagamese può far venire in mente certi grandi film western della New Hollywood anni Settanta: un viaggio attraverso un territorio selvaggio, con un antieroe che racconta la sua vita. La storia crepuscolare di un incontro mancato, e al contempo la ricerca dell’identità del figlio nei racconti del padre. Un continuo gioco di specchi tra due uomini che si cercano uno nell’altro e, sullo sfondo, una natura immensa, fatta sì di durezza e asperità ma capace soprattutto di accogliere e lenire il dolore degli uomini.

L’ultima parte delle digressioni di Eldon riguarda l’incontro con Angie, dove Wagamese accorda la sua lingua essenziale e scarna a dialoghi di forza e profondità: Angie è l’ultima possibilità di Eldon Starlight, colei che sarà in grado di riaccendere la sua speranza.

«Ricordo che una mattina presto stavo sulla veranda con una tazzina di caffè, guardando il lago, e di botto ebbi per la prima volta la sensazione che potevo sopportare questa vita. Potevo trovare pace. Ogni volta che la lasciavo all’accampamento scoprivo che non vedevo l’ora di andare a riprenderla. Era strano. Io che volevo sempre tornare. Io che avevo passato tutta la vita a scappare da qualcosa, non a correre verso qualcosa. Era stata lei ad aver scatenato questo dentro di me, Frank.»

Anche lei, come la madre,  racconta storie tutte le sere, incantando a lungo chi l’ascolta. È convinta che raccontare permetta di guarire, mentre Eldon non riesce a raccontare nulla, è prigioniero di una afasia che non gli permette di affrontare i traumi passati. Il titolo originale del romanzo è Medicine Walk, ovvero cammino di medicamento: ed Eldon Starlight, riuscendo infine a raccontare tutto al figlio, compie il suo cammino finale di guarigione, simile a una catarsi, ritrova tutto ciò che aveva perduto e una possibilità di pace. Ma non è il solo: anche Frank riannoda i fili delle sue origini, finalmente conosce la sua storia, comprende il suo dolore e la sua identità. Anche il suo cammino di guarigione ha termine.

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