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Fisionomia delle ragazze perbene nel romanzo di Olga Campofreda



Quando si prendono in prestito le parole dei libri che più abbiamo amato per dare voce, espressione ai propri non detti, è una questione di immedesimazione o, meglio, un bisogno di rappresentazione. Quando allora ho letto «In realtà, se ci penso, a me Caserta non manca mai. A mancarmi spesso è quel senso di attesa, quella consapevolezza che anche se te ne vai la città ti aspetta e quando torni ti accoglie sempre uguale, congelata, se non te la prendi troppo per certi ristoranti che compaiono e scompaiono all’improvviso» ho avuto il segno evidente, a pagina 19 di Ragazze perbene di Olga Campofreda, di avere tra le mani un romanzo che mi rappresentasse al massimo. Olga Campofreda è la prima scrittrice italiana a figurare nella collana le Fuggitive di NN editore, al fianco di nomi come Megan Nolan, Johanne Lykke Holm e Lacy M. Johnson. Non sorprende la scelta dell’editore milanese di includervela, perché Ragazze perbene è, al pari dei romanzi delle altre autrici, una storia di «donne in fuga, alla ricerca di libertà e di una rifondazione della propria esistenza». Clara, la protagonista, è una donna giovane che si è lasciata alle spalle Caserta per trasferirsi a Londra, dove si arrabatta tra incontri (poco) galanti su app online e lezioni di italiano impartite a ricchi expat. Ha scelto di non aderire al modello, pur consapevole di andare incontro a nuovi confini, nuove norme sociali. Fino a quando non è costretta a tornare in Italia per il matrimonio di Rossella, la cugina e amica dell’infanzia con cui è cresciuta ma con cui ormai ogni rapporto pare essersi dissolto a causa del tempo, della distanza e di una generale incompatibilità di stili di vita. Se Clara se n’è andata, Rossella è rimasta; se Clara è alle prese con relazioni anaffettive e discontinue, Rossella sta per sposarsi con lo stesso ragazzo che frequentava a scuola. Ha seguito, a tutti gli effetti, il percorso lineare che attorno a lei e a quelle come lei era stato tracciato.

ragazze perbene

«Le donne della mia famiglia sono boccioli di rose selvatiche a cui è stato imposto di fare i gerani. È stato così anche per me e per Rossella. Come gerani siamo state esposte sui balconi di casa, sotto lo sguardo dei vicini, a esaltare il buon nome dei nostri padri.»

Prima da bambine, poi da adolescenti, infine da donne, le femmine sono addomesticate all’obbedienza, a coltivare l’arte della gentilezza e della cordialità, a evitare situazioni sconvenienti che potrebbero ledere l’immagine pubblica. In un contesto di tale assuefazione che parte dalla primissima infanzia, è fondamentale che la formula sia replicata a ogni costo, attraverso i tradizionali schemi che hanno pure mostrato la loro efficacia: è così che le famiglie continuano a formarsi come Cristo comanda, anche se quando la sposa percorre la navata ci sarà sempre qualche bisbiglio ad accompagnarla.

Ma il vero snodo avviene quando si realizza che la tensione maggiore, nel racconto, sta nel movimento di stasi apparente (di Rossella) più che nel moto (di Clara). È la decostruzione del comportamento sistemico di divisione delle persone – delle donne – in due categorie, la pecora nera da un lato, la brava ragazza dall’altro. È l’ammissione che la natura umana è troppo complessa, multiforme, torbida – sì, anche torbida – perché la si possa semplicemente classificare in un modo o in un altro; respingere un dualismo di stampo religioso che da secoli incastra socialmente e culturalmente le donne in un ruolo sovrascritto è il primo passo per maturare nuove e più risolutive consapevolezze ma anche per ridare linfa a tutta una letteratura che pretende di essere portavoce di un malessere condiviso. Oltre i confini delle ragazze perbene e delle ragazzacce, al di là dei confini tracciati dagli altri, c’è la storia personale di ogni donna: le verità celate da Rossella, a sé stessa e al microcosmo di provincia in cui è immersa da sempre, serviranno anche a Clara a decostruire la propria immagine e a domandarsi: «Quante persone siamo stati dall’ultima volta che abbiamo provato a essere noi stessi?»

Campofreda interrompe finalmente la tendenza a romanticizzare i cosiddetti expat e crea di fatto un precedente tra i suoi contemporanei. Se fino ad ora quelle dei giovani italiani all’estero serbano quasi sempre una patina simil-rivoluzionaria legata a un’imprecisata realizzazione dei propri sogni, con Ragazze perbene si illumina la zona d’ombra spesso tralasciata dal discorso pubblico: non c’è necessariamente redenzione o miglioramento nell’andarsene e il cambiamento agognato è spesso effimero o deludente. Alla grande attenzione riservata all’argomento – e la vittoria di Mario Desiati al premio Strega nel 2022 lo conferma – deve seguire un cambio di direzione: non è più sufficiente ammettere che esiste da anni un fenomeno e domandarsene le ragioni, è indispensabile, anche in letteratura, osservare il dopo: cosa è successo dopo essere andati via, a cosa siamo andati incontro. Campofreda ha offerto allora, con il suo romanzo, la prospettiva di cui avevamo bisogno senza saperlo.


In copertina, scatto di Karim Manjra su Unsplash

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