Comma 22

Essere lupo, ovvero le tracce che non si ripetono mai



Lo dico subito. E poi facciamo qualche ragionamento che parte dalla lettura per tuffarsi nella percezione del mondo. Tale è l’effetto di questo libro, Essere Lupo di Kerstin Ekman (Iperborea, per la traduzione fluente di Carmen Giorgetti Cima), un romanzo maestoso e di orizzonti umani immersi nella nostra relazione con il mondo, con la natura di cui siamo parte. Credo che Letteratura significa essere letti dal libro che stai leggendo. E credo nella narrazione esperienziale che solo una persona avanti negli anni, come la quasi novantenne scrittrice svedese Kerstin Ekman, potrebbe scrivere parlando di cose che appartengono a tutti, ma nella cui fibra si avverte tutta la forza del flusso profondo. Sono le storie di un’intera vita, traslate, proiettate, impresse dalle vicende umane e dallo sguardo sul mondo. Accade quando il mondo è colto e restituito con interezza, ovvero ricordandoci quale è il nostro posto in questo mondo. Per noi che dedichiamo il nostro viaggiare il mondo e la pagina da scrivere, parlare della relazione tra territori geografici fisici e geografie profonde interiori, è evidente che usare il vocabolo Lupo significa mettere in moto una potenza profonda della vita sulla Terra. E spesso, in letteratura, affidarsi a una metafora, al lupo immaginario di cui racconta Riccardo Rao nel suo imperdibile Il tempo dei lupi (UTET) piuttosto che alla pietra miliare Lupi e uomini di Barry Lopez (Piemme) fino al notevole Le conseguenze del ritorno di Luca Giunti (Alegre). Dici Lupo e leggi Selvatico. Selvatico che sta in noi.

La storia tessuta dalla Ekman si ispira anche a persone reali e a lei vicine ma soprattutto, io credo, arriva diretta a tutti quell’essenza nordica di milioni di persone sparse sull’immensa penisola scandinava e alla loro quotidiana relazione diretta con il territorio e i suoi cicli: regole evolutive delle migliaia di anni da quando la nostra specie ha iniziato, sempre irrequieta, a diffondersi sul pianeta. Ce lo fa notare il protagonista Ulf Norstig in Essere Lupo, quanto le visioni distorte dalla gestione volte a favorire noi umani, ormai dominante da secoli, è un errore madornale: come se fossimo beneficiari di un diritto divino di sovranità all’interno della Comunità della Terra. Questo è un valore imprescindibile, soprattutto oggi in questo orizzonte cupo, accompagnati da paure ataviche e concrete. Ulf ci fa capire che la sicurezza è una chimera e nella sua trasformazione intravediamo la voglia di tornare a essere parte di: a essere Lupo. E qui esce la forza della parola. Lupo è immenso contenitore di significati, vaso di verità senza fondo, lo sa bene chi è in cammino da lungo tempo con questa percezione e idea di rapporto con la natura madre. L’ho personalmente sperimentato nella mia ricerca letteraria che nasce dall’esplorazione dei territori fisici, quando di recente insieme a Lorenzo Pavolini abbiamo realizzato il podcast Nelle tracce del lupo (RaiPlay Sound). Sento la Ekman dentro quelle tracce: la scrittrice e donna che racconta una storia edificante. Con la differenza che questa evoluzione metamorfica avviene in un uomo alla soglia dei settant’anni. Oggi a settant’anni non si è più “vecchi”, ma si è tuttavia “anziani” e la società in qualche modo ti dice che ora sei su un altro binario dove devi arrangiarti a scrivere il tuo futuro. Si è ancora attivi, si hanno passioni e interessi, si viaggia, si tiene allenata la vita che si ha dentro. Ulf lo sa ma sa anche che i suoi problemi cardiaci arrivano dopo il ritiro dal lavoro di forestale e che questo incontro con il Lupo, suo malgrado, innesca un cambiamento epocale che lo spinge attraverso il collo di bottiglia di un infarto per uscirne sotto il cielo nuovo della prossima fase, come individuo e come marito della saggia moglie Inge.  

Essere Lupo

Raccontare gli eventi di un romanzo come Essere Lupo sarebbe irrispettoso: dal dipanarsi degli eventi che si intrecciano con la metamorfosi psicologica di Ulf riverbera l’essenza sfuggente, elusiva, inafferrabile, spesso magica – chi ha avuto a che fare con canis lupus sa che è così – che l’animale scova e porta alla luce in ognuno di noi. Ce lo dice subito il protagonista, che ci sono «molte domande, nessuna risposta» quando per la prima volta vede quello che lui chiamerà Zampalunga, caratterizzandolo per noi lettori. Ma il lupo, avvistato da lontano, si infila nella foresta di abeti e Ulf trattiene il fiato: è come se dovesse iniziare a trovare un nuovo ritmo al proprio respiro di uomo dei boschi. Tra i diversi e numerosi significati che la vicenda del romanzo assumerà pagina dopo pagina, i segnali selvatici a volte impercettibili e incomprensibili ai più (talmente intimi e profondi da diventare inesprimibili), diventano le tracce del lupo. Le tracce di un essere vivente che riflette l’uomo e il suo cambiamento, proprio come riflette tutto ciò che vive nell’ecosistema. E sarà il Lupo – la sua stessa idea – a guidare la metamorfosi di Ulf che ad essa, infine, si lascia andare: «Adesso si ridesta in lui la nostalgia, l’attrazione per quell’altra vita. Andare tutti insieme contro qualcuno che è troppo grande per affrontarlo da solo», pensa immaginandone le prossime mosse Ulf. Ma sono parole che prefigurano anche gli eventi che lo attendono all’interno della sua stessa comunità, in cui da anni è il capocaccia. La Ekman riesce a trasmetterci la visione di queste forze primordiali e invisibili in azione con un’immagine-tributo pescata da Il richiamo della foresta di Jack London: l’idea di un doppio che diventa specchio e che infine si va a fondere con il compimento della personalità rinnovata del protagonista è l’idea stessa della giustezza di trovarti sul sentiero più adatto per te, nel seguito della vita.

Ulf si racconta a noi confidenzialmente. Da subito ci dice che qualcosa in lui è cambiato. Usa molte immagini, come quella di «un orologio che funzionava male» – un orologio che egli non sembra voler regolare ai ritmi di prima, quando la vita prima di quell’incontro era irregimentata da orari e tabelle, regole e fissazioni istituzionali. La vita sociale che nel caso di Ulf e del suo lavoro di forestale, spesso idealizzato, proietta sul mondo inafferrabile e selvatico, sul mistero stesso del mistero della vita, l’irrealtà di tutto ciò che è fin troppo razionale. Comprendendo questo, egli arriverà a cogliere il senso del tutto che da sempre albergava in lui, davvero profondamente legato al territorio. Ekman ci regala una magnifica immagine capace di evocare l’unione simbiotica tra lupo, uomo e spirito naturale, una metafora proteiforme sull’elusività (del lupo) e l’immaginazione (dell’essere umano) che si incontrano in quello che è linguaggio, non parole, ovvero l’attimo fuggente della presa di coscienza più profonda: «Sto seduto a guardare le nuvole che passano, mentre lo aspetto. Appartengo a una specie che sa riconoscere una forma che non si ripete mai».




In copertina: dettaglio illustrazione dall’edizione Iperborea, 2022