Comma 22

Esistenze immaginarie. Il riflesso del passato di Dan Chaon



Un romanzo familiare in cui l’idea di famiglia viene messa in dubbio e ne esce a pezzi si direbbe un libro riuscitissimo nel suo genere. A dimostrarlo è l’autore Dan Chaon che con il suo thriller Il riflesso del passato, edito da NNEditore nella traduzione di Silvia Castoldi, si immerge nella frantumazione di legami affettivi che non resistono né alla forza del tempo né alle debolezze dell’uomo. È la storia di due famiglie, che in realtà sono una sola, disfunzionali. C’è l’inceppo originale, una madre, Nora, affetta da disturbi mentali – una follia lirica in cui tutto è similitudine  e il mondo «una sorta di puzzle crudele» – da cui si generano, secondo una perfida discendenza, le propagazioni difettose. Sopravvivono i superstiti, figli irrimediabilmente soli e feriti e destinati ad errare: Jonah, il secondo figlio di Nora, che vive dall’infanzia fino alla prima età adulta a stretto contatto con la malattia della madre e in un ambiente domestico altamente tossico; Troy, il primo figlio di Nora abbandonato appena neonato; Loomis, figlio di Troy e Carla, un bambino dall’aria seriosa sul quale ricadono tutte le colpe dei grandi. Un triangolo posto al centro della storia in cui ciascun personaggio è mosso dall’assenza – vero motore narrativo dell’intero romanzo – in un continuo e cieco tentativo di riempimento, ossessionato dal rinsaldare un legame di sangue tanto più ideale quanto concreto. Nora rivede in ogni bambino lo spettro del suo primo figlio abbandonato, Jonah ricerca con ogni mezzo il fratellastro mai conosciuto, e Troy non si distacca mai dal pensiero di Carla, la moglie tossicodipendente di cui ha perso le tracce.

Dan Chaon

Le ricerche dei personaggi del Il riflesso del passato si muovono all’interno di una certa America, di cui Dan Chaon offre un ritratto crudo nei suoi dettagli più realistici, rappresentando quel Nuovo Mondo che abbiamo già imparato a conoscere grazie alla grande narrazione cinematografica che svela le contraddizioni e la vacuità dell’american dream – tra gli altri, i recenti American Honey, Un sogno chiamato Florida e Honey Boy. La vita nelle roulotte in cui adolescenti passano giornate a farsi bong, la descolarizzazione, le ombre sedute al bancone di un bar in attesa dell’eterna prossima birra. Insomma, una certa provincia sui confini del nulla che ammazza i sogni e lega le caviglie alla terra senza speranze in cui è sempre troppo «tardi per diventare una persona diversa».
La narrazione si svolge per un lasso di tempo molto esteso, a partire dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, creando una trama ad incastri che attraverso continue sovrapposizioni temporali fonde le barriere del tempo e rende lo scorrere dei giorni un unico magma incandescente. Nel romanzo di Dan Chaon si percepisce un forte senso del tempo, in particolare del passato poiché striscia come un serpente insidioso dentro a ogni epoca e porta con sé lo strascico delle cose che sono successe, annidandosi nella mente di ogni personaggio che subisce arrendevolmente il peso del prima. Il portatore assoluto di questo fardello è il personaggio di Jonah nel quale il riflesso del passato ha assunto forma manifesta: un viso tumefatto, fatto a fette per il lungo da cicatrici e sfregi indelebili.

Il romanzo di Dan Chaon è un’opera massiccia, la cui grandezza non è ascrivibile soltanto a termini oggettivi ma piuttosto all’importante e complessa riflessione che questo libro pone a livello meta-narrativo. Due nuclei fanno da matrice all’intero libro: il primo racchiuso nelle infinite possibilità, e quindi alternative, che può prendere una storia; l’altro indaga il senso primo del narrare: l’invenzione.
Il personaggio portante del romanzo che innesca le suddette riflessioni è Jonah, il quale avvia un meccanismo di innesti trapiantando una storia nella storia. Al narratore con focalizzazione esterna si affianca Jonah, un doppio narratore con focalizzazione interna che ci racconta la sua versione dei fatti in modo schizofrenico. La sua voce è un continuo sdoppiamento, alla sua realtà contrappone quella possibile altrui: come sono andate le cose secondo gli occhi degli altri? Il procedere narrativo rimpalla così in un costante e intrecciato gioco di specchi, riflessi per l’appunto, che ribaltano continuamente la narrazione e la sua angolatura.
È da questo dedalo di letture che si genera l’embrione delle infinite possibilità del narrare che corrispondono all’ «immensa casualità dell’esistenza». Dan Chaon sembra interrogarsi su ciò che si può essere e che alla fine non si è: perché scegliere di raccontare proprio quella storia? E come raccontarla?

«Come fai a vivere quando ogni scelta che compi spezza il mondo in migliaia di filamenti, ogni passo sconsiderato si dirama in lunghi affluenti di vite alternative, che vibrano verso l’esterno, sempre più lontani, come lampi che si sprigionano dietro una nuvola».

Jonah lungo tutto il romanzo continua a ridefinire se stesso: diventa una somma di riscritture, correzioni e innesti. Ricercando – forse solo apparentemente – la verità, Jonah si riepiloga soltanto nel mondo dell’immaginazione, in cui inventare diventa l’unico modo per esistere. Se l’evidenza agli occhi degli altri è la nostra garanzia di esistenza, in questo Jonah è un personaggio che assume caratteri paradossali. Pur portando sulla pelle la sua storia, attraverso la vistosa cicatrice che lo rende oggetto di osservazione, i suoi racconti sono sempre ingarbugliati, distorti mai onesti, come se dietro quella cicatrice vi fosse il vuoto, oppure il peso del passato fosse troppo opprimente e Jonah fosse costretto a diventare ogni volta narratore di se stesso, inanellando bugie rigorosamente luttuose. Quando alla fine Jonah rivela a Troy la tela delle sue falsificazioni ammette la sua impossibilità di essere altrimenti: «Non sono la persona che… non sono niente».
In questo modo Dan Chaon trasla in un personaggio il processo di creazione proprio del narratore, dal quale non dobbiamo aspettarci né attendibilità, né onestà e neppure conferme, ma soltanto storie possibili e interrogativi. Spogliato dall’immaginazione e dall’invenzione, all’uomo nudo rimarrà solo l’impossibilità crudele della realtà e del peso del passato.





Immagine copertina: Enrico Salvadori