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The Ferragnez. Res gestae di Chiara Ferragni in un mondo in fase di evaporazione



Dopo aver guardato le prime puntate della serie Amazon Prime The Ferragnez, Chiara Ferragni mi è comparsa in sogno. La sua apparenza era integra, fedelissima a quella che sottopone quotidianamente ai suoi milioni di follower: il glam brillantato, la voce da frivola confessione impegnata che si strascica al valico dell’ultima sillaba di ogni parola (rimarco di un atteggiamento neghittoso ma leziosamente sincero), il look fluo di eterna bambina wannabe, il temperamento perennemente allegro e un po’ su di giri. Nella cornice onirica, dominio indiscusso del simbolo in cui tutto è possibile e ogni rapporto, temporale, consequenziale, logico che sia, appare rovesciato, Chiara Ferragni è rimasta incolume, avvinghiata graniticamente all’immagine di se stessa.
Al risveglio non mi sono tanto stupita dell’insolita visita che ha fatto capolino nel mio mondo notturno quanto dell’immutabilità del suo personaggio, dubbio al quale ho trovato una sola, semplice e chiara risposta. Chiara Ferragni non esiste.

A differenza di quello che ci vuole far credere, l’inesistenza della “Leo and Vitto’s mama and digital entrepreneur” è provata da una cospicua quantità di motivazioni che abbiamo sotto gli occhi ogni volta che apriamo il nostro Instagram e guardiamo ipnotizzati la giornata in pillole della famiglia più onestamente finta d’Italia, tra un “Hi, guys”, “patatone”, “look of the day”, “team fantastico”, eccetera eccetera. La serie The Ferragnez è arrivata non per sporcare la patinatura dell’incantesimo (occasione mancata come lo è stato per il docufilm Chiara Ferragni – Unposted di Elisa Amoruso) ma per lucidarlo ancora di più, sfregando compulsivamente il vetro della sfera di cristallo che protegge e ovatta i coniugi Ferragnez.

Lo schermo, il cui significato letterale è protezione, è per Ferragni un prezioso scudo dietro al quale mostrarsi celandosi quotidianamente. Nella serie tale scudo si fa addirittura doppio quando vediamo il medesimo istante catturato contemporaneamente sia dallo smartphone di Ferragni sia dalla cinepresa, in una scatola cinese di dimensioni potenzialmente infinite. Da questi schermi prende forma una donna che potremmo battezzare, più che “Boss baby”, una Regina Mida. Come il mitico re della Frigia che con il suo famigerato tocco riduce ogni cosa a materiale prezioso, così Ferragni sembra esercitare un potere endemico verso tutto ciò che di animato e inanimato la circonda. C’è da chiedersi dove si nascondano le sue orecchie d’asino.
“Fammi una dedica dolce!”, chiede, o meglio pretende, Chiara a suo marito come chiusa all’ultima puntata della serie. Landscape: notte magica e silenziosa, duomo illuminato, piazza deserta e il tanfo onnipresente di detersivo alla lavanda profumo intenso. Ferragni continua a esigere per costruire la realtà a sua immagine e somiglianza: “Fammi più complimenti”, “Dimmi che sono bella”, “Ditemi che state guardando The Ferragnez”, eliminando alla radice la possibilità di alternativa. Non esiste scarto in un mondo che è frutto di una perenne domanda che non ammette risposta negativa. In questo Chiara Ferragni incarna l’emblema della self made woman, artefice di se stessa, del proprio successo, della propria vita. Ci lancia un messaggio chiaro: se il presente non è “all’altezza dei tuoi sogni”, imponi la tua volontà e deformalo. Allora anche “una dedica dolce” o la neve finta sparata dal balcone di un resort di lusso in alta montagna saranno esperienze per cui vale la pena piangere e commuoversi.
Nel reame di Ferragni in cui la realtà smette di essere sussistente e si fa propaggine concreta di una volontà astratta non c’è più spazio per il processo creativo inteso come insieme di tappe che portano a un risultato ma si materializza sulla scena direttamente il prodotto finito. L’indefinitezza che caratterizza ogni momento in fieri viene spazzata via. L’albero di Natale compare in soggiorno già addobbato, il trucco sul viso è perfetto di prima mattina, i giochi per i bambini sono rigorosamente prodotti finiti e pronti per l’uso. Pure la gravidanza, percorso e atto di creazione supremo, ai nostri occhi appare una condizione svuotata dai suoi caratteri più autentici. Messi da parte i dubbi, le insicurezze, le crisi, gli unici dolori contemplati sono quelli fisici, paradossalmente gli unici tangibili. Ma anche il dolore del corpo, che è una delle più abusate conferme dell’esser desti, si riduce a un’esperienza falsificabile, replicabile su desiderio e volontà di Regina Mida, la quale, nella quarta puntata della serie In Your Shoes, porta Fedez all’interno di una clinica per fargli provare, attraverso una particolare apparecchiatura, i dolori del parto.
La gravidanza, una volta conclusa, trova compimento nella generazione del figlio come ennesimo prodotto da aggiungere alla folla che già abita la casa. Tra gli elementi che subiscono questo processo di finitezza quello che più impressiona, più dei figli stessi che ancora infanti si prestano facilmente a quella “fantocizzazione” da cui siamo tutti tentati, è il cibo. Sui nostri schermi il cibo ha smesso di essere tale, cioè ciò che si mangia. Nelle storie di Chiara Ferragni gli alimenti sono immangiabili, al punto che, nelle storie #adv, Chiara si fa fotografare mentre si appresta ad addentare (ripeto addentare, mai mangiare) una fetta di pizza che tiene in mano mentre sul suo piatto è immortalata la pizza ancora integra. Questi scatti inquietanti hanno molto divertito il web, per cui è nato il trend “Il miracolo della Rigenerazione delle Pizze”, che investe Ferragni di poteri miracolosi e la avvicina alla santità. D’altronde, in quanto Santa, Ferragni non può masticare, deglutire, digerire. Mangiare non è più cool e guardare le storie con protagonisti i suoi pasti fa passare ogni appetito.

Ferragni

«Mangiare una pizza condividendola sui social non è più sfamarsi semplicemente con qualcosa di buono, diventa un’attività più complessa e significativa sul piano sociale. E non ha niente a che vedere con il piacere di ingerire buon cibo: postare una pizza margherita vuole dire anche preoccuparsi dell’immagine che vogliamo dare di noi stessi, dell’opinione degli altri, comunicare la nostra semplicità, oppure manifestare il nostro stato d’animo, il #moodoftheday che fa convergere il privato e il personale con il pubblico e il sociale.»
(Paolo Landi, Instagram al tramonto, La nave di Teseo)

Un’altra prova di inesistenza dell’influencer più celebre è la coincidenza tra soggetto e oggetto che in Ferragni si è fatta assoluta: «Chiara Ferragni, d’altronde, non sponsorizza un brand. È il brand. La marca è tutt’uno con il corpo, non c’è alcuna distinzione, si realizza il transfer perfetto di un corpo-marcato», scrive Lucrezia Ercoli in Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer (il melangolo). L’esistenza di Ferragni trova fondamento nella dissoluzione della stessa che si realizza in questa coincidenza tra identità e merce. Così canta la musicista e cantante SOPHIE nel brano Faceshopping in cui la compenetrazione tra corpo e merce si manifesta nell’iterazione ipnotica di tre parole chiave, myfaceshop «My face is the front of shop\ My face is the real shop front \ My shop is the face I front» per culminare nella dichiarazione finale «I’m real when I shop my face». Ma questa attestazione, tanto più assimilata quanto più diabolica, non è applicabile per Chiara Ferragni, e con lei per tutti gli altri influencer, dal momento che l’affermazione dell’esistenza fisica passa sempre e solo attraverso la proiezione e l’immagine. Così si smaterializza la realtà oggettuale perché la nostra realtà si è ridotta a essere tale solo nella sua rappresentazione. E Ferragni è la regina di un reame in fase di evaporazione.
Questo paradosso è uno dei tanti ingredienti che ci porta a seguire quotidianamente le storie dei Ferragnez. Siamo attratti da ciò che luccica ma sfugge, e Ferragni ci appare sempre a una passo da noi ma ogni volta che ci sporgiamo per afferrarla lei svanisce. Si smaterializza, per l’appunto, annullando ogni forma di tridimensionalità. La mono-dimensionalità si propaga, riduce qualsiasi elemento più o meno animato ripreso dalla camera dello smartphone e genera un effetto di negazione totale: la casa dei Ferragnez è un non-luogo, il tempo è un non-tempo (un eterno e fluido presente) e loro altro che non-umani. In Chiara Ferragni è lampante il processo di de-umanizzazione che si sta lentamente attuando in tutti o noi.

Ferragni

Un’altra spinta che ci porta a seguire ipnotizzati le res gestae dell’influencer da 26 milioni di follower (aggiornato al 16 gennaio 2022, ndr) è la protezione dalle problematiche del mondo che ci conferisce con la sua ovvietà. A partire dal suo nome, primo tassello della mitologia Ferragni, Chiara rappresenta la semplicità nel suo lato più banale e tautologico: “sono felice perché lo voglio”, “noi donne possiamo fare tutto”, “io sono sicura di quello che sono”. Appare scontato che non ci sia, né si ricerchi spazio per la complessità nella narrazione in pillole di una giornata, ma stupisce come questo spazio venga eliminato anche in narrazioni più estese, come il documentario Chiara Unposted e la serie The Ferragnez. Quando in queste due prove si intravede l’occasione per gettare la maschera e affondare un piede nella complessità, come nelle sedute di psicoterapia o le lunghe e intime interviste one-to-one, Ferragni, priva della protezione dello schermo, erge a scudo un elenco di parole pregne e inoppugnabili come “valori”, “famiglia”, “amore”, “felicità”, “libertà”, spesso condite e rafforzate da qualche lacrima, e le svuota, depotenziando il linguaggio. In una vita sottratta alla complessità anche il lessico polisemico è ricondotto al piano di un univoco significato. Parole dalle mille facce vengono appiattite e banalizzate. Tutto è cliché, e perciò dozzinale, mai particolare. In questa fiera dell’ordinario, ognuno si può riconoscere, trovando un rifugio rassicurante distante dai peccati del mondo. Conclusa l’epoca in cui gli idoli erano per definizione scorretti, dissoluti e irregolari – basti pensare tra le altre alle coppie maledette Jane Birkin e Serge Gainsbourg, Kate Moss e Pete Doherty, Angelina Jolie e Billy Bob Torthon – «la vita di Chiara Ferragni e di Fedez è iscritta nel paradigma narrativo della normalità. Nessun eccesso, nessuna perversione, nessuna dipendenza, nessuno scandalo. Né alcol né droghe. L’antitesi della vita spericolata»[1].

Se assumiamo quindi che tutto ciò che c’è su Instagram non esiste, allora possiamo tirare un sospiro di sollievo perché ci sarà sempre una parte della nostra vita che non approda sullo schermo e per questo, seppur parzialmente e con benemerita viltà, continuiamo a esistere (e con noi la maggioranza degli influencer). Questo però vacilla per la Regina dell’Instagram che ha accettato – secondo sua stessa ammissione –  di porre la sua vita senza veli su una piattaforma e depredare così i suoi passi dell’ombra.
Ma allora chi è Chiara Ferragni se non esiste?




[1] Lucrezia Ercoli, Chiara Ferragni. Filosofia di una influncer (il melangolo)

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