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Vita oscura e luminosa di Dino Campana, poeta. Un libro nuovo con un cuore antico

La storia del mio libro, Vita oscura e luminosa di Dino Campana, poeta, è una storia molto lunga. Voglio sottolineare subito che si tratta di un libro largamente nuovo, che non va confuso con le precedenti edizioni, il cui titolo era sempre stato Dino Campana, biografia di un poeta. In sintesi: la prima edizione uscì con la doppia sigla Marcos y Marcos – Imagommage, e mi fu commissionata da Marco Zapparoli, fondatore di Marcos y Marcos, e da Marco Sansoni. Zapparoli stava progettando di pubblicare una biografia di Campana, con un ricco apparato fotografico, a mo’ di libro d’arte, in occasione del centenario della nascita, nel 1985. Ci incontrammo così alla fine del 1983, e cominciai subito a lavorare al libro, forte degli studi fatti, per un anno e mezzo, per scrivere la mia tesi di laurea sui Canti Orfici, di cui fu relatore il mio grande Maestro, Vittorio Spinazzola, mancato il 5 febbraio di quest’anno.
Il progetto prevedeva, oltre alle foto di repertorio, anche foto artistiche dei luoghi campaniani, realizzate da Maurizio Montefiori, valente fotografo di Casola Valsenio, località vicinissima a Marradi. Potete immaginare la mia gioia e il mio entusiasmo: nel 1983 avevo solo venticinque anni, e c’era un editore che mi proponeva nientemeno che un contratto per pubblicare un libro sul poeta che amavo appassionatamente fin dall’adolescenza.

Uscito nel maggio 1985, Dino Campana, biografia di un poeta, in quanto libro d’arte, era senza note. Visto il buon esito di pubblico e di critica, decidemmo di farne una nuova edizione, con un sobrio apparato di note, uscita per la sola Marcos y Marcos nel 1990. Una decina di anni lo ripresi di nuovo in mano, pubblicandone nel 2003 per Feltrinelli una nuova versione, aggiornata e arricchita, con alcuni cambiamenti nella struttura narrativa. Ma quando lo riproposi a Bompiani, poco meno di tre anni fa, volevo fare appunto un libro molto diverso. Riscrivere un libro è un lavoro strano e difficile. Per me è stato sia un gran tormento, sia una grande gioia: non lo dico per eccesso di empatia, per parlare dei tratti “oscuri e luminosi” anche della mia esperienza. Ma certo, oltre alle integrazioni e alle rimodulazioni che spiegherò qui di seguito, ha significato confrontarmi, oltre che con Campana, con diversi momenti di me stesso, con vari strati dell’esistenza di qualcuno che un po’ sono io, un po’ non sono più io. Je est un autre, una volta di più. Dovevo essere, paradossalmente, fedele sia al mio io di allora (di vari allora…), sia al mio di ora. Non è un calembour: ma è stato invece un concretissimo, duro corpo a corpo, che si è andato intrecciando al corpo a corpo con lo stesso Campana.

Campana

Rispetto alla precedente edizione, il libro è praticamente raddoppiato: da 240 a 460 pagine. Non si tratta di un mero incremento quantitativo, ma dell’esito di un atteggiamento molto mutato, dettato dall’esigenza sia di raccogliere una documentazione d’archivio il più possibile esaustiva, sia di rendere conto dell’ampio e intenso lavoro di ricerca di molti altri studiosi, che negli ultimi anni hanno portato molti risultati importanti alla conoscenza di Campana. Volevo poi rendere più robusto e articolato anche il quadro metodologico, anzitutto in relazione alla questione del genere biografia, che è sia narrazione, sia storiografia. Ho lasciato poi maggiore spazio al contesto, per collocare più appropriatamente la complessità delle vicende, le dinamiche che hanno generato lo squilibrio di Campana, le circostanze familiari, storiche, personali, che hanno prodotto quegli effetti: che non sono fatali, ma storicamente determinati, e che chiamano in causa le contraddizioni e i conflitti della società del tempo, dove le figure di intellettuali sradicati, emarginati, nevrotici o psicotici si vanno non a caso moltiplicando.
Nella raccolta dei dati, ho dato poi un peso molto maggiore alle testimonianze di chi ha conosciuto Campana. Le testimonianze pongono considerevoli problemi di affidabilità, che in qualche caso ho reso esplicite: ma era a mio avviso molto importante dare maggiore spessore a Campana uomo, visto nella sua quotidianità e anche nella sua complessità psicologica, tutt’altro che misticamente ineffabile e inafferrabile, come troppe volte è stato detto. Ne è emerso un Campana vitalissimo, capace anche di godersi la vita, molto di più di quanto non si sia detto di solito, anche per alimentare il mito del poeta fatalmente e unilateralmente infelice. Abbiamo invece bisogno di ritrovare Campana in tutta la sua umanità, controversa, spesso straziante, ma vitale, affermativa, continuamente segnata dalla percezione estatica della bellezza del mondo, sia della natura, sia delle opere dell’uomo.

Campana

Era poi fondamentale ridare a Campana lo spessore di scrittore vero, di artigiano tenace, lucido e determinato della scrittura: a lungo la critica è caduta nella tentazione di confondere la sua ossessione variantistica con un effetto del suo squilibrio psichico, della sua instabilità, sovrapponendo in modo metodologicamente ingiustificabile la normale complessità del processo redazionale alle vicende psichiche. Ma deve essere invece ben chiaro, spero definitivamente, che Campana correggeva continuamente, ossessivamente, continuava a scrivere e riscrivere come fanno tutti gli scrittori veri, non certo perché pazzo… E non sfioro neanche qui la vicenda scandalosa dello smarrimento del cosiddetto manoscritto originario, Il più lungo giorno, per colpa di Ardengo Soffici. Chi ha frequentato le carte degli scrittori sa bene che tutti o quasi costellano i loro testi di correzioni, che sovrappongono diversi strati di scrittura, che sono sempre scontenti, che continuano a intervenire sui testi persino quando sono in bozze. Personalmente, per esempio, ho lavorato per qualche anno, in tempi recenti, sulle carte di Vincenzo Consolo, curandone L’opera completa per i Meridiani Mondadori: ebbene, anche in questo caso le carte mostrano un lavorio incessante, che nessuno certo si sogna di imputare allo squilibrio psichico dell’autore.
L’esito sventurato della vita di Campana, con l’internamento in manicomio, è dunque l’unico motivo per cui non gli si concede di essere letto e studiato nel modo più corretto, e anche più naturale: come uno scrittore, non diverso da tutti gli scrittori.
Allo stesso modo, era necessario approfondire ulteriormente, rendendone conto, la ricchezza e anche la modernità, l’aggiornamento della sua cultura, troppo spesso accusata, infondatamente, di essere confusa e arretrata: va ricordato invece che Campana anzitutto leggeva correntemente in francese, tedesco, inglese e spagnolo, ma anche che era un frequentatore assiduo di biblioteche, dove sapeva scovare testi recentissimi, di poesia e non solo. Tanto è vero che è stato il primo letterato italiano (triestini a parte, che erano sudditi dell’Impero Austro-Ungarico) che ha letto studi di psicoanalisi (Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci di Sigmund Freud e il saggio su Giovanni Segantini di Karl Abraham, ovviamente in originale, nella Biblioteca di Ginevra, nel 1915), mostrando di averne pienamente colto l’importanza e l’originalità.

Campana

Certo, la vita tormentata di Campana lo espone al rischio di confondere il suo disagio esistenziale con la profondità e complessità della sua poesia. È invece necessario insistere sul fatto che non c’è nessuna mistica coincidenza fra Poesia e Follia, e che Campana non è in nessun modo un “poeta maledetto”, perché non ha mai fatto della propria condizione di squilibrio una poetica, una bandiera, esibendola come una specie di eroismo, ma l’ha patita e basta. Con il mio libro ho provato a mettere un po’ di ordine nell’immagine di Campana, volta a volta idolatrato o disprezzato per motivi opposti e complementari: come pazzo divino e sublime, o viceversa come poeta di limitati mezzi espressivi, diventato noto e sopravvalutato grazie alla sua spettacolare vicenda esistenziale. È giusto e necessario far conoscere la storia di Campana perché questa possa essere uno strumento soprattutto per farlo leggere, per far conoscere e amare la sua poesia, per continuare a farlo vivere nella memoria collettiva e dargli, se possibile definitivamente, il posto che gli spetta non solo nella letteratura italiana del Novecento, ma anche nella letteratura e nella cultura europee. Ricordando sempre che, come insegna Michel Foucault, «dove c’è opera non c’è follia»: non solo la poesia non coincide con la follia, ma è in antitesi. La concentrazione e l’intensità cognitiva richieste dalla scrittura non vanno infatti per niente d’accordo con la deriva della psicosi. Non a caso, quando Campana peggiorava non riusciva più a scrivere, e durante l’internamento non scrisse mai: «Scrivere non posso, i miei nervi non lo tollerano più» confessa nel 1916 a Mario Novaro.
Anche e proprio per questo bisogna insomma capire meglio che cosa è stata la sua vita: che è “oscura” perché dolorosa, piena di sofferenza, sventurata e persino tragica; ma è indiscutibilmente anche “luminosa”, perché ha saputo lasciarci in dono i Canti Orfici e la sua poesia.

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