Comma 22

Una felicità che doveva accadere. La geologia e la nostalgia di Missitalia



Dalla genealogia alla geologia: ci ho pensato più volte, affondando in Missitalia, l’ultimo romanzo di Claudia Durastanti (La nave di Teseo); dalla storia della famiglia alla storia della terra, e una terra polisemica: un suolo da trivellare, una regione di una neonata nazione, un pianeta in un sistema solare. Non un gioco di parole, piuttosto una sensazione tangibile che afferra il lettore fin dalle primissime pagine di questo romanzo ambizioso, imponente, che arriva cinque anni dopo La straniera (La nave di Teseo) e segna marcatamente il congedo di Durastanti dall’autofiction.

Al centro della narrazione si staglia – allo stesso tempo scenografia e personaggio – la Lucania, luogo che fa da raccordo alle tre parti che compongono il romanzo, rimanendone la costante e resistendo allo scivolare in avanti delle protagoniste e del tempo della storia. Missitalia è difatti un’opera complessa, che guarda ai generi del romanzo storico e fantascientifico ma senza lasciarsi ingabbiare dai canoni, e presenta al lettore quelli che potrebbero essere effettivamente considerati tre libri in uno, per respiro narrativo e autonomia: iniziamo con Amalia Spada, avventuriera temeraria che nel suo rifugio tra i calanchi della Val d’Agri accoglie ragazze abbandonate e ribelli e uomini costretti alla clandestinità, per le prime c’è una casa-caverna da abitare, un desco da condividere e compiti e abitudini che lentamente mettono in piedi una piccola comunità di sopravvissute coraggiose e testarde, per i secondi invece esiste, per nascondersi e salvarsi, un buco nel sottosuolo. Siamo intorno al 1860, il Regno d’Italia ha appena visto la luce e il suo esercito combatte le scorribande dei briganti, la Lucania è ancora una terra selvatica e magica, almeno finché l’industrializzazione – incarnata dall’arrivo della Fabbrica – non ne cambierà per sempre la natura e forse anche i desideri.

missitalia

Il romanzo, al centro, propone poi un racconto ambientato nel dopoguerra, dove da Roma la studiosa Ada torna nella Val d’Agri, la terra dei suoi antenati: un luogo che è mutato per via delle trasformazioni dell’Italia ma che conserva un mistero ancestrale, una violenza che pervade i terreni aridi e il petrolio che, come sangue, sgorga dalle sue viscere, allietando e richiamando il potere e il denaro degli uomini.
La terza parte, infine, ci conduce davanti all’anticipazione di un futuro già accaduto: siamo nel 2050, la Lucania è diventata una regione di basi spaziali da cui si parte per raggiungere la Luna ed è proprio sulla Luna che vive A, l’ultima donna di Missitalia; questa volta la Lucania è un mondo lontano, antico, definitivamente depredato in nome del progresso. Un progresso che però, sembra dirci la vita stessa di A, si è tutto sommato rivelato ostaggio di un’essenzialità brutale, dove gli oggetti – forse come le persone – possono vivere soltanto due destini: quello della necessità e quello del superfluo. Ma è questo il migliore dei futuri possibili? Il pianeta Terra, allora, contemplato dallo spazio, torna a essere una possibilità: imperfetta, violenta, di cui avere nostalgia. Ed è la nostalgia il sentimento che permette di immaginare la felicità, forse l’unico vero desiderio di Amalia Spada, di Ada e di A: già a pagina 27 leggiamo che «quando le veniva da piangere, Amanda diceva “I miss America”, e poi spiegava che “miss” significava signorina, una che non si era ancora sposata, ma voleva dire anche mancanza. Nella sua lingua madre la nostalgia si ingarbugliava con la giovinezza, quando una persona non sapeva ancora cosa voleva essere nel futuro e poteva diventare tutto. “Mio padre lo diceva spesso quando stava in guerra, che si era perso il centro.” Per Amanda miss è una parola speciale perché non ci sono molti suoni che sanno tenere insieme la verginità, la nostalgia e pure il bersaglio appena mancato».

Comune alle tre parti, l’abbiamo detto, la Lucania: terra di fatica e pretese, di banditi e impresari, lontana dai centri di potere dove si decidono le sorti d’Italia, marginale e al contempo potente nella sua identità minerale e sanguigna – forse uno scorcio, per esteso, di quel meridione con cui la Nazione non farà mai pace. Ma non solo: a percorrere le vicende come un filo ben teso ci sono le tre protagoniste, tre donne, sfaccettate, a volte forti e a volte meschine, minori se messe in rapporto alla grande Storia, fondamentali nel reggere le loro impalcature narrative. Tre personagge a tutti gli effetti, di cui sarà molto difficile dimenticarsi.
La narrazione, intanto, si fa via via più rarefatta: a livello strutturale più lunga la parte ambientata nel 1860, molto più breve quella del 2050; le protagoniste – Amalia Spada, Ada, A – che si chiamano prima per nome e cognome, poi solo per nome, infine per iniziale puntata; e coerentemente anche lo stile procede per sottrazione, passando dalla lingua ricca e visionaria del primo racconto ai periodi più lineari del secondo, fino a giungere all’essenzialità scarnissima del terzo.

Missitalia è un romanzo che affida all’invenzione e alla coralità la propria forza, che non ha paura di giocare con il falso storico, di depistare e riagguantare il lettore, di sfidarlo, affaticarlo e poi abbagliarlo con momenti di sorprendente luminosità: «Io, la vita, ho saputo farla quasi e solo così: immaginando una felicità che doveva accadere, dando già per scontato che accadesse».
Un oggetto narrativo stratificato, temerario come le sue protagoniste e che a tratti si ingarbuglia nella sua urgenza di dire, ma in cui la scrittura e l’immaginazione si muovono libere e sfrontate, in cui la sperimentazione si scrolla di dosso i codici dei generi e l’imperativo di consegnare i grandi palliativi letterari dell’oggi, e cioè identificazione e insegnamento: una boccata di ossigeno, che conferma Claudia Durastanti come una delle più interessanti scrittrici italiane contemporanee.




In copertina: Lucania 61, Carlo Levi, 1961