dolomiti
Comma 22

Tra montagna e filosofia. Un’escursione sulle Terre Alte con Paolo Costa



«Siamo, anche se non lo vogliamo, schiavi del momento, dei suoi colori e delle sue forme, sudditi del cielo e della terra. Perfino colui che più si rintana in sé stesso, disdegnando ciò che lo circonda, costui non si rintana nello stesso modo quando piove o quando il cielo è sereno»
F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine

«Though we rush ahead to save our time
We are only what we feel
»
Neil Young, On the way home

Un passo dopo l’altro, l’aria frizzante che penetra le narici e scende fino ai polmoni. Il cuore che accelera; intorno, profumo di terra, di umidità, di bosco e i pensieri che a poco a poco svaniscono. All’inizio, l’inessenziale resiste. La fatica comincia a scomparire ‒ o meglio ‒ smette di essere solo fatica e diventa un nuovo punto di equilibrio tra sé e il mondo.

«Il libro nasce come la libertà di una camminata in montagna. È un parallelismo tra il modo in cui procede il pensiero e una camminata, da qui infatti il sottotitolo di ‘Escursione filosofica’. Ho cercato di tradurre attraverso la ragione quello che si prova e sperimenta durante una passeggiata nelle “Terre Alte”».  

L’arte dell’essenziale (Paolo Costa, BEE Edizioni, 2023) è una scarpinata filosofica su e giù dalle vette materiali e immateriali che punteggiano l’esistenza: toccare con mano il piacere di aggirarsi in un bosco, sedersi in un prato o davanti a uno stagno, affrontare un terreno ripido e sassoso, ma anche sperimentare l’immersione in quel flusso di pensiero che nasce e si sviluppa durante una camminata in montagna.

l'arte dell'essenziale

«Questi luoghi mi hanno consentito di sopravvivere a questo mondo, un mondo in cui ti perdi facilmente, che ti spinge a confondere ciò che è davvero essenziale per ciò che è superfluo e apparente. Un mondo capovolto, dove bisogna sempre avere un traguardo in più, dove la serenità è – difficilmente – consentita».

In montagna, invece, si capisce cosa è davvero necessario, di cosa ci si deve liberare, cosa è vitale per il corpo. In montagna si realizza di essere parte di un ingranaggio più grande e che non tutto dipende dalla forza di volontà o desiderio; che, banalmente, le condizioni atmosferiche possono far desistere dal raggiungimento di una meta prefissata, che perdersi è normale, ma necessario poi per orientarsi. In montagna si capisce come compensare e cosa trarre dalle sconfitte, si impara ad ascoltare sé stessi, a seguire il proprio passo: il proprio, e quello di nessun altro.
Un’idea che va contro al pensiero individualistico tipico del mondo moderno, che fa dipendere tutto “dalla tua volontà” e che vede l’esterno come qualcosa di inerte, quando invece le scelte sono spesso solo il risultato e la risposta a condizioni esterne.

«In filosofia, così come in montagna, il riconoscimento della propria creaturalità implica l’accettazione del fatto che, nella vita, non tutto può dipendere dalle nostre scelte, che il nostro legittimo desiderio di autodeterminarci è destinato ad incontrare limiti invalicabili che non è saggio vedere come barriere, in quanto sono la condizione di possibilità di qualsiasi nostro gesto auto affermativo».

In quest’ottica, le vette più spettacolari ci sono e sono importanti, ma svolgono il loro ruolo anche senza addentrarcisi.
«La loro misura autentica, per ribadire il punto con un’immagine, non va misurata verticalmente ma diagonalmente, non conta cioè quanto queste vette sono alte ma il modo in cui disegnano il paesaggio». Un concetto, questo, che viene ripreso e sottolineato più volte in L’arte dell’essenziale: non la verticalità ma la diagonalità è il tratto distintivo dell’ambiente montano. Viene infranta così l’idea comune di vetta come traguardo, scopo, successo. Rompere la spinta del movimento verticale, del passaggio da down a up e dare importanza a un intreccio di linee trasversali che racchiude un enorme potenziale narrativo: non solo fuori, ma anche dentro di sé. «La montagna è la riscoperta di qualcosa di minimo, di essenziale, dentro di te ma come condizione per avere e tessere delle relazioni con gli altri, che sono il fine ultimo, il nostro senso di stare al mondo».

Linee inclinate che, intersecandosi, disegnano un paesaggio mosso, ingarbugliato, zeppo di punti d’accesso e, se vogliamo, di opportunità d’azione, di itinerari, di scorci e di saliscendi. Sulla ricerca di sé si era espresso anche Robert M. Pirsing nel suo libro Lo zen e L’Arte di manutenzione della motocicletta: «di vie non ce n’è una sola, né ce n’è un numero stabilito. Sono tante quante le anime individuali».

Nel libro di Paolo Costa c’è la Valle Dolomitica, la Val Zoldana, c’è uno sguardo infantile con una sua poesia elementare, c’è un’esperienza autobiografica; la descrizione dell’autore della sua infanzia e adolescenza trascorse a Zoldo e il rapporto contrastante con questo luogo. Ci sono persone, che sono dei punti chiave fondamentali nel romanzo: come Fabiano, l’amico di infanzia, e il padre grazie al quale nasce la passione per l’escursionismo e la montagna.  

L’arte dell’essenziale è tutto questo. La cosa più importante, però, è che resta un racconto da leggere e rileggere, che dà risposte e apre continue e nuove domande sui significati più enigmatici della condizione umana. Allo stesso modo dell’andare in montagna: anche se il percorso è lo stesso, non si proveranno le stesse sensazioni ed emozioni della volta precedente. A volte basta «sedersi, con il viso rivolto al sole calante e (..), alle cime imponenti quanto impotenti, abbracciare l’orizzonte infinito e (..) le generazioni di uomini, donne, animali, piante che si sono adattati a ciò che semplicemente è, senza porsi troppe domande e senza darsi tante risposte”. Si tratta solo di sentire, e vivere».


In copertina, le Dolomiti (credits Dolomititour)