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L’ossessione del male. A ciascuno il suo terrore di Alessandro Garigliano

Un uomo senza nome affronta le inquietudini di una società affetta dal terrore



La finale di Champions League è un evento imperdibile, una prova importantissima per ogni giocatore, ma anche uno spettacolo che ogni appassionato di calcio vive con la massima trepidazione. Può essere, però, anche il momento in cui ogni spensieratezza viene troncata dall’avvento improvviso del male.
La vita del protagonista di questa storia precipita quando nel giro di pochi istanti, un accadimento che ha tutte le sembianze di un attentato terroristico, sgretola la goliardia che regna nella piazza dove fino a pochi attimi prima si stava assistendo alla proiezione di un’importantissima partita.
Da quel momento in poi, il protagonista tenterà con fatica di ricostruire la sua quotidianità, ma l’attentato non ha lasciato solamente ferite fisiche: sono la mente e l’anima del protagonista a esserne maggiormente colpite.  

A ciascuno il suo terrore è il nuovo romanzo, edito da TerraRossa edizioni, di Alessandro Garigliano, qui alla sua terza prova narrativa. Un libro che potrebbe essere inteso come il classico thriller dalle sfumature politiche, ma è esattamente il contrario: si tratta invece di un’opera intimista in cui gli accenni politici sembrano solo fare da sfondo a una vicenda cruenta e apparentemente inspiegabile.
Il protagonista di questa storia è un uomo senza nome, un cittadino comune: ha «una donna che ama», a sua volta senza nome, e una vita sociale piuttosto piatta e priva di slanci. Mentre il personaggio inizia la ricerca del colpevole di questo misterioso attentato, si dipana un’altra linea narrativa che va a costituire il cuore del romanzo: l’ossessione e la successiva identificazione nel ruolo del carnefice.

copertina A ciascuno il suo terrore

Garigliano sceglie la via più difficile e più nobile da un punto di vista autoriale: quella di non dare certezze, di raccontare un uomo comune e, soprattutto, di raccontare quel perverso meccanismo che spesso si innesca nella nostra mente davanti alla violenza. Non sono soltanto i riti del protagonista a essere ossessivi, ma soprattutto le ricerche spasmodiche del fenomeno terroristico e di tutte le stragi degli ultimi anni a far scivolare il personaggio in una spirale di follia senza ritorno.  

A ciascuno il suo terrore è un titolo forte e azzeccato. Identifica pienamente uno spettro che oggi volteggia attorno ai nostri cuori e alle nostre coscienze. Da ormai trent’anni, infatti, il terrorismo ha assunto un nuovo volto rispetto a quello che i nostri genitori hanno conosciuto bene in un decennio, quello degli gli anni Settanta, dilaniato dall’estremismo di destra e sinistra in un’Italia insanguinata e sull’orlo della guerra civile. La generazione successiva, la nostra, ha invece scoperto una nuova configurazione del terrore che silenziosamente ha percorso gli anni Novanta e si è mostrata in tutta la sua potenza l’undici settembre 2001. Non è un caso che l’autore inserisca questo evento anche all’interno del romanzo: quando il protagonista inizia le sue ricerche, dando voce a un’ossessione che probabilmente aspettava solo di essere risvegliata, inevitabilmente si documenta sulle origini di Mohamed Atta, il capo dei dirottatori che hanno distrutto le Twin Towers, nonché uno degli uomini più noti del terrorismo islamico dopo Osama Bin Laden.

Più che imitarne le gesta nefaste, il protagonista cerca di carpire le intenzioni degli estremisti, di conoscere i motivi che potrebbero essere avulsi dalla ferrea ideologia religiosa e politica per poter riconoscere i sentimenti di un uomo capace di architettare un piano in grado di stravolgere la storia moderna. Ma la stessa fissazione, che in qualche modo funziona anche da ansiolitico sui nervi del protagonista, ha anche l’effetto opposto, quello di un contagio psichico talmente potente da far vacillare non solo la percezione della realtà, ma anche l’identità e le poche relazioni che fanno parte della sua vita, specialmente quella con la donna che ama, vero architrave della sua esistenza.
Sicuramente la moderna letteratura americana ha influenzato molto lo stile e l’immaginario dell’autore. In particolare, sembra che don DeLillo, padre del post-modernismo e maestro indiscusso della letteratura statunitense e mondiale, sia il modello letterario a cui Alessandro Garigliano si è forse ispirato di più. Difficile non pensare a romanzi come L’uomo che cade e a certe sfumature di Libra. Ma questo romanzo non è un’emulazione, né un tentativo di americanizzare la sua opera; qui l’autore mostra la volontà di creare una storia personale calata in un contesto assolutamente italiano. 

A ciascuno il suo terrore, però, non è impermeabile a qualche difetto perché, se da un lato la fascinazione perversa nei confronti del male è un potente motore narrativo, dall’altro, la densità dei concetti che Garigliano esprime rischia di appesantire eccessivamente il ritmo del libro. È palese che questa scelta narrativa, supportata dalla prima persona e da una prosa cristallina al presente, sia assolutamente intenzionale, ma, per quanto la tensione sia palpabile e scateni nel lettore un bel crescendo di angoscia, la temperatura emotiva che va a irrorare ogni pagina rischia di saturarne la struttura, appesantendo una trama in cui, in certi momenti, servirebbe qualche boccata di ossigeno e un cambio di marcia.

Nonostante questo, però, rimane chiaro l’intento, che va poi a costituire il vero pregio del libro: il desiderio di raccontare qualcosa di spesso indecifrabile, quella paura così travolgente da scatenare istinti che pensiamo di non avere, ma che invece sono solo assopiti. D’altronde, il terrore ci viene somministrato giorno per giorno e sfocia sovente in un desiderio di violenza e di sopraffazione che potrebbe impossessarsi di chiunque, anche di noi stessi.
In anni come questi, soprattutto in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo, in un momento storico in cui c’è un gran parlare di guerra imminente, di riarmo necessario, di resistenza che non può essere passiva, di forza per combattere la forza e di pace da conquistare con le armi, il cancro della violenza è sempre in agguato, specie quando è nutrito dai media.

Il libro di Alessandro Garigliano si presenta come un monito alla ragione, ecco perché merita di essere letto.

In copertina, piazza San Carlo a Torino (credits Corriere Torino)

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