Frances Leviston
Comma 22

Le dieci voci di Frances Leviston



Le Claire protagoniste dei dieci racconti che compongono La voce dentro (NN editore, 2021) di Frances Leviston, già autrice di due raccolte di poesie, Public dream e Disinformation, hanno forme simili: sono donne sole in contrasto con l’autorità, familiare e sociale, e vicine alla rottura. In ogni storia c’è un punto di non ritorno, un confine che attraversano, più o meno consapevoli, disattendendo le aspettative di chi le circonda, e spesso anche le proprie. Quella voce dentro che giudica, contrasta e commenta le scelte delle protagoniste, con modalità diverse nelle varie narrazioni, diventa sempre più forte e reale. Il malessere emotivo che ognuna di loro prova a causa di madri invadenti, fratelli scostanti, delusioni lavorative e accademiche si concretizza in una serie di elementi disturbanti e surreali che destabilizzano il lettore: il robot Patience, i burattini di Muster, il diario sessuale dell’ultima Claire.

«Forse il rapporto stretto che aveva con sua madre era naturale; ed era il distacco di Claire a non esserlo. O forse, pensò, forse era semplicemente che non gli voleva bene. La familiarità non genera disprezzo, ma associazione. Implicazione. L’amore è qualcos’altro: un radicale libero, una grazia vagante impossibile da prevedere o produrre liberamente.»

La Claire del nono racconto comprende così che essere una famiglia non significa necessariamente amarsi, non è una scelta ma piuttosto una conseguenza; giudica morboso il rapporto tra suo fratello e la madre, e gli diagnostica un’infelicità che forse le appartiene più di ciò che crede. Proprio come la Claire numero sette, che torna a casa dei suoi genitori per le vacanze e confessa di essere depressa perché non ha mai potuto esprimersi liberamente con loro. E poi, ancora, la Claire della seconda storia che desidera cucire a mano un abito senza l’aiuto della madre, reclamando il diritto di scrivere da sola i propri confini fisici ed emotivi.

In ogni racconto, i dialoghi più significativi sono quelli che non avvengono, le riflessioni interne mostrano l’immensa distanza tra ciò che le protagoniste pensano e quella che è invece la realtà. Sono bambole di feltro dai bordi irregolari che stanno assumendo una nuova forma, sconosciuta ad amici e parenti ma anche a loro stesse. Hanno bisogno di liberarsi dal peso delle aspettative di chi le ha cresciute e scalpitano per uscire dallo spazio in cui per troppo tempo sono state relegate, non sempre con successo.

«La prospettiva di rifiutare tutto ciò che mi offriva, tutto, per il resto della vita, si levò davanti a me come il fantasma di qualcuno della cui morte non ero nemmeno al corrente; una visione molto più spaventosa della rabbia che provavo.»

la voce dentro

A un certo punto, l’epifania: la consapevolezza di potersi sottrarre ai giochi di potere familiari e dire non sono felice, ma anche la paura di perdere ciò che si conosce e la necessità di restare, scegliendo di soccombere ancora una volta.

Il paradosso di questa raccolta è che, anche se descrive la solitudine e la ricerca personale, quindi un’esperienza molto intima, è a tratti terribilmente chiassosa. La polifonia messa in atto da Leviston spesso disorienta chi legge: le protagoniste sembrano parteggiare per la squadra avversaria, tenere in considerazione le motivazioni di tutti tranne che le proprie. E anche quando riescono a buttare giù il muro, ribellandosi a ciò che il pensare comune vorrebbe, ne escono comunque sconfitte o quantomeno rassegnate, non c’è mai un lieto fine.

«È come risalire una cascata. Questo è l’orlo, la roccia che frantuma le acque poco prima che precipitino giù. La roccia è bianca e intricata come corallo. Le sue asperità si trasformano in file di case intonacate. Di lì a poco entrano nel porto: rallentando, le turbine diventano più rumorose. Le cime volano giù. I cancelli si sbloccano.»

Questo tipo di descrizioni rivela la vicinanza dell’esordio narrativo dell’autrice alla sua già consolidata attività poetica. I racconti sono ricchi di elementi simbolici propri di un immaginario onirico in apparenza lontano, ma che si mescola con gli elementi quotidiani più banali, quasi fagocitandoli. Un momento prima la Claire numero due è legata a una poltrona oggetto di un esperimento psichiatrico, quello dopo si trova a casa come se nulla fosse accaduto. Quando è successo? Erano reali le cinghie che la immobilizzavano?

Il confine tra ciò che è vero e ciò che sembra vero è sempre molto labile, come non fosse importante scindere, capire. E forse è così, perché la realtà non è composta solo da quello che si vede. A volte non ci sono risposte ma solo tante domande e Claire, una e plurima, ci ricorda che bisogna sempre fare i conti con la voce dentro.



Photo credits: Peter Herrman tramite Unsplash