Comma 22

L’avanguardia in bermuda. Angelo Guglielmi tra il Gruppo 63 e la televisione



L’occasione di tornare, per chi scrive, sulla figura di Angelo Guglielmi è data dalla pubblicazione del libro – conversazione di Carmelo Caruso Angelo Guglielmi, L’avanguardia in bermuda. La formidabile avventura del Gruppo ’63 (Aragno, 2023). Presentato alla Triennale di Milano con la partecipazione di due scrittori diversissimi tra loro come Emanuele Trevi e Niccolò Ammaniti, ma contigui per la reciproca amicizia, non priva di rimbrotti critici, con Guglielmi, ha dato la stura ad una serie di “posizioni” sull’intellettuale bolognese, tanto per richiamare un lessico arbasiniano a lui caro e riguardante la sua poliedricità nel passare da un ruolo e mezzo espressivo all’altro, tra editoria, quotidiani, organizzazione, televisione, cinema e politica culturale. Questo nei suoi novant’anni di esistenza e settanta di attività nei campi poc’anzi messi in elenco e che non può stringersi solo al Gruppo ’63, seppur fondante di un’idea espansa a tutte le discipline della letteratura.

angelo guglielmi

I.

Presa alla larga, è accaduto molto nei giorni precedenti l’uscita del libro tra celebrazioni, ricorrenze e il passaggio da un anno tragico come il 2022 al nuovo, con tutti i buoni auspici del caso, ma vanificati dalla morte del Papa Emerito Benedetto XVI e dalle polemiche ad essa seguita. A cui è andato a doppiarsi l’uscita dell’autobiografia del principe Harry e giù come ovvio altre polemiche e altro sussulto dei media. Dunque, altroché dedicarsi a quel modo sobrio e non sfrenatamente consumistico suggerito qualche anno fa da Angelo Bucarelli, che senza tanti giri di parole dice che è e fa molto e tanto chic il riciclare i regali. Pertanto se è chic e buona cosa accodarsi nel riciclare i regali, chi ha fatto del riciclo un modo di esistere e a lungo è stata la Raitre di Angelo Guglielmi. Eppure, Raitre è stata molto altro. Varata ai tempi della presidenza Grassi e sperimentata ancor prima ai tempi della TV pubblica riformata di metà anni Settanta, la terza rete era nata per dare voce alle realtà locali e regionali. In tal prospettiva, i TG regionali ancor oggi svolgono quel compito primario d’informazione. Fu per brevissimo tempo anche terreno di sperimentazione per quei programmisti-registi assunti in quel torno di anni. Da quei ranghi, ad esempio, proveniva enrico ghezzi, che poi divenne l’emblema con Blob e Fuori Orario di un modo inedito di fare TV (a proposito, nell’intervista filmata di Piero Maranghi, Guglielmi ricorda la genesi di Blob, suggerita dal figlio Carlo su dei ritagli quotidiani del “manifesto” prontamente girati a Ghezzi), e tanto che si è in argomento va omaggiato anche il critico cinematografico, inventore del “fuori sync”, per i trent’anni di cinefilia stintamente raffinata propinata a notte fonda e raccontata nel “puzzle”, amorevolmente ricomposto dalla figlia Aura, nel volume L’acquario di quello che manca (La nave di Teseo, 2022).  Di certo, ed è questo che si è voluto dimostrare, c’è stato un prima e un dopo Guglielmi, e l’identificazione di un canale con il suo direttore e facilitatore di talenti non si è mai più ripetuto (erano e rimangono delle élite anche “di massa”) se non, forse, in modo molto più pervasivo e gigantesco con le reti commerciali berlusconiane. E a pensarci bene la contigua giustapposizione non è solo temporale.

II.

Qual è stato il lascito di Guglielmi al momento della sua dipartita, all’età di 93 anni? Non è domanda peregrina, pur formulata in un tempo postumo che, guarda caso e in modo sorprendente, la conversazione con Caruso sembra non registrare per la vividezza della scrittura. Non che in tutto questo lasso di tempo non si sia detto e letto tutto e il contrario di tutto sull’ex dirigente Rai, inventore di quella Raitre che negli anni Novanta diede lustro e fantasia all’emittente pubblica, con programmi del già citato Blob, Un giorno in pretura, Chi l’ha visto?, Telefono Giallo. Fu quello un modo nuovo di fare TV, peraltro prendendo a prestito quel «leggere la realtà con la realtà» di Pasolini, che per inteso Guglielmi nemmeno sopportava. E ancora, anche se in tono decisamente minore rispetto alle celebrazioni televisive, sull’uomo di lettere, sul critico del romanzo italiano, l’esegeta di Gadda e tra i grandi fustigatori del Gruppo ’63.
In mezzo, o meglio in una testa-coda fulmineo, vanno contate pure le esperienze all’Istituto Luce e all’assessorato alla cultura del Comune di Bologna. Qualcosa si perde: i suoi molti libri? Mah! Di certo alcuni rumori ne fecero: piace ricordare soprattutto l’antologia sulla narrativa degli anni Settanta uscita per Feltrinelli e Il romanzo della realtà, antologia di sessant’anni di recensioni. Per i novant’anni poi licenziò per La nave di Teseo alcuni ricordi sparsi, una sorta di autobiografia non biografia. Interessantissima perché raccoglieva fuori-cornice anche tre saggi gaddiani che testimoniavano la lunga fedeltà di Guglielmi all’autore di La cognizione del dolore. C’è però un altro libro che può essere considerato come una guida, un manuale sulle cose “guglielmine” che si districa tra tutte le attività del nostro, ed è un numero di Panta, curato da Elisabetta Sgarbi e dallo stesso critico, opportunamente titolato Blob Guglielmi. Vale la pena dunque riprenderlo in mano e capire cos’è stata quell’irripetibile stagione della televisione italiana, ormai confinata su Techetechete e RaiPlay. Ovviamente non vanno dimenticate le produzioni cinematografiche e televisive degli anni Sessanta, promosse da un Guglielmi erroneamente considerato in posizione marginale rispetto ai grandi dirigenti della Rai del tempo e iniziate con il primo Francesco della Cavani.

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Angelo Guglielmi con enrico ghezzi, Umberto Eco, Piero Chiambretti, Alba Parietti, Tullio Pericoli

III.

Non c’è occasione, appuntamento, incontro, festival, o semplicemente discussione su libri, film e spettacoli teatrali, in cui il confronto con il passato fa nascere il sospetto che faccia bene dire che ogni epoca ha i suoi giganti e che la nostra contemporaneità poggi sulle loro spalle, facendo sembrare nane anche le attuali eccellenze. Si diceva una volta e si dice oggi. Soprattutto per il Novecento, un secolo che Hobsbawm aveva con sua fortuna definito “breve” e che nei fatti d’ogni giorno sembra essersi allungato a dismisura in questi quasi vent’anni del XXI secolo e in prospettiva sembrerebbe avviarsi anche ad andare oltre. In un contesto così progressivo, con le scienze che vorticosamente cercano di ristabilire un ordine logico sia nelle profetiche apocalissi prossime venture sia nel sovraffollato caos quotidiano portato da un’umanità sfinita in ogni dove, le riflessioni spezzate da un’autobiografia minuta (e con civetteria ripudiata ma raccontata) dal novantenne Angelo Guglielmi paiono un sintomo di quel che si chiama star al posto giusto nel momento giusto.
In Sfido a riconoscermi. Racconti sparsi e tre saggi su Gadda, libro come tutti gli ultimi che ne celebrano l’età, Guglielmi sembra tirare l’elastico temporale della sua vita oltre ogni possibile ostacolo, cercando di dare attraverso la narrazione di episodi piccoli o grandi, brani di recensioni, accensioni polemiche, un’immagine di come si possa vivere. Sì, perché questo libro pare essere proprio un inno alla vita, vissuta – sì di corsa come si rammarica, poi neanche tanto, l’autore – ma non superficialmente. Sebbene il raffinato polemista e critico del Gruppo 63 affili le parole come fossero lame d’ironia. Infatti, Guglielmi è stato forse il miglior intellettuale prestato alla TV pubblica che si ricordi, ma è bene anche rovesciare i due mestieri; perché in realtà è il contrario: Guglielmi è stato un dirigente TV prestato alla critica. Diviso tra l’imprevedibilità del palinsesto della sua Raitre, quando ne è stato direttore (il lavoro in Rai e in diverse mansioni risale all’inizio degli anni Sessanta) e la lettura immediata del libro da recensire, perlopiù romanzi. Per poi rifugiarsi nella lettura dell’amato Gadda, da cui fa integrare a sacchetto esterno un sapidissimo minilibretto. Al quale L’avanguardia in Bermuda può essere considerato sia il backstage che la prosecuzione con altri mezzi del racconto di quel periodo aureo e scomodo per la cultura italiana.

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IV.

Ancora una volta la realtà si può leggere solo con la realtà, come ammoniva Pier Paolo Pasolini. Non si sa quando, dove e in che circostanza il poeta delle Ceneri di Gramsci abbia pronunciato il bruciante aforisma diventato successivamente il mantra di uno dei più importanti guru della televisione pubblica, quell’Angelo Guglielmi inventore di Raitre, peraltro affossatore del Pasolini romanziere e non solo.
Trent’anni e più dopo le parole scritte Guglielmi, oggi si ha la certezza che «la scrittura oltre che nei luoghi deputati (romanzi, poesie, saggi) si trovi anche in altri ambiti e contesti». Lo stesso critico forse all’epoca non avvertiva se non superficialmente come il principale ambito di trasformazione si ricostruisse per strati come una sempre più spessa epidermide e, da quei lontani anni Ottanta, nell’esclusiva industria culturale e editoriale: il cui rincorrere il mercato produceva fenomeni in parte analoghi a quelli che avevano dato avvio, all’inizio degli anni Sessanta, alla falsa ma altrettanto autoriale nouvelle vague cinematografica italiana, grazie all’immissione in prima persona di poeti e scrittori. Lo stesso è valso, più di vent’anni dopo, per l’editoria che con tutt’altre immissioni diede la stura a tutta una serie di libri la cui onda lunga giunge e si rifrange fino alle attuali classifiche di vendita scalate da comici, attori, calciatori e cantanti. Evidentemente lo spostamento di gusto del pubblico, dall’intrattenimento all’approfondimento, politico e sociale, morale e militante, unito alla voglia di comprendere l’attualità, dunque l’oggi, mal si accoppia al concetto di televisione come evasione totale dalla realtà. Torna in auge il monito pasoliniano, più volte ripetuto in queste rapide “posizioni critiche” e fatto proprio manifesto di programma da Guglielmi, il deus ex machina, demiurgo di una TV (che fu) che aveva come obiettivo “la realtà letta sempre con la realtà”.