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La mia vita morale è finita. Carlo Emilio Gadda e il Giornale di guerra e di prigionia



Da un lato «la fine delle speranze», la disillusione, lo scontro con la realtà meschina, il crollo del mito della guerra e dell’eroismo che Gadda aveva condiviso con molti giovani della sua generazione. Dall’altro la «nevrastenia», una malattia interiore che soffoca ogni possibilità d’azione.
È tra questi due poli che si svolge il Giornale di guerra e di prigionia, appena pubblicato da Adelphi a cura di Paola Italia (che firma anche un saggio conclusivo), con una nota di Eleonora Cardinale. Il Giornale di guerra e di prigionia è stato pubblicato per la prima volta nel 1955 per Sansoni, poi negli anni Novanta a cura di Dante Isella per Garzanti in un’edizione filologicamente accurata in cui sono ripristinati alcuni passi non accolti nella prima pubblicazione. A cinquant’anni dalla morte dello scrittore, viene pubblicata una nuova edizione critica che tiene conto di sei taccuini inediti inaspettatamente ritrovati nel 2019 e acquisiti dalla Biblioteca nazionale centrale di Roma. 

Gadda
I taccuini di Carlo Emilio Gadda, Biblioteca Centrale Nazionale di Roma

Il Giornale prende avvio il 24 agosto 1915 (Gadda si è arruolato due mesi prima) e si conclude il 31 dicembre 1919, con un’interruzione dal novembre 1916 all’ottobre 1917. Nato nel 1893, Gadda ha ventidue anni, ha da poco intrapreso gli studi di ingegneria, secondo il volere della famiglia (un desiderio che frustrava la sua vocazione più autentica, quella letteraria). Si arruola volontario assecondando uno slancio patriottico che trae le sue radici nelle contemporanee tendenze nazionalistiche ma anche negli ideali risorgimentali cui la famiglia lo ha educato. Per il futuro scrittore, la guerra, «necessaria e santa», rappresenta il compimento del processo costitutivo della nazione e promette l’instaurarsi di una vita civile più degna e ordinata («Povera Italia», ripete spesso). Allo stesso tempo la guerra, con la sua mitologia di eroismo e di sacrificio, sembra offrire a Gadda un’occasione di riscatto personale, un’occasione per liberarsi dalle frustrazioni da cui si sente paralizzato. La guerra si rivela, tuttavia, una delusione su entrambi i versanti. Vengono alla luce la piccolezza dei suoi connazionali, l’ottusità e l’insipienza dei generali, l’avidità dei profittatori. La sua ambizione a combattere in prima linea è continuamente intralciata da intoppi burocratici e la nevrastenia non lo abbandona. Gadda si scopre incapace di tradurre in atto entusiasmi e speranze e si presenta «debole come il più debole degli uomini». Il trauma è aggravato dalla morte in guerra del fratello, verso cui nutre un amore sconfinato.

Gadda

Il 25 ottobre 1917, all’indomani della disfatta di Caporetto, Gadda è fatto prigioniero dai tedeschi: «Lasciammo la linea dopo averla vigilata e mantenuta il 25 ottobre 1917 dopo le tre, essendo venuto l’ordine di ritirata. Portammo con noi tutte le quattro mitragliatrici, dal Krasjj (Krasi) all’Isonzo (tra Ternova e Caporetto), a prezzo di estrema fatica. All’Isonzo, mentre invano cercavamo di passarlo, fummo fatti prigionieri». Seguono pagine particolarmente dolorose, in cui Gadda indugia sulla durezza delle condizioni materiali, sul cibo, scarso e cattivo: «Rape e cavoli colte dai soldati nei campi»; «caffè, cioè brodaglia inconcepibile color nerastro». O sulle pessime condizioni igieniche: «Dalle 6 di jeri siamo chiusi in 30 in un carro merci e trascorriamo una tetra regione di colline e grandi boschi. Il clima freddo, umido, aumenta le grandi sofferenze»; «Bisogna dormir sdraiati sul pavimento nudo e sporco e provvedere con artifizî ai nostri bisogni». Accanto a questi racconti trova spazio la narrazione del dolore di chi contempla, ma quando si rivolge all’interiorità del narratore, la scrittura si scarnifica improvvisamente e talvolta evoca più che raccontare: «Le condizioni spirituali sono terribili: la mia vita morale è finita: non ne parlerò neppure: è inutile». Le analisi degli stati d’animo diventano lapidarie («Desolazione, solitudine»; «Tristezza»), mentre si dilatano quelle dei tormenti corporali. Viena descritta la fame insaziabile, terribile, orrenda, serpentesca, cannibalesca, una fame che lo divora, che morde, che sovrasta, una fame cagna che tortura, abbruttisce, umilia. Poi la rivelazione: «Ho fame: ma non è nulla in confronto al dolore». Si comprende allora che raccontare il male fisico serve ad alludere a patimenti più profondi che si fanno indicibili, come se la durezza delle condizioni avesse portato allo svilimento ultimo dell’uomo, all’«annientamento della vita interiore».

Gadda
A destra, Gadda soldato durante la Grande Guerra

Con il congedo, il destino sembra ripetersi e si manifesta un’ennesima delusione, ancora più avvilente. La distanza dalla madre gli pare ormai insuperabile, «anche della famiglia che un tempo adoravo sono stufo», e ancora una volta Gadda si attribuisce colpe che gli paiono imperdonabili, non solo la debolezza, ma anche l’essersi immedesimato con la «realtà merdosa» fino ad annegarvi.
L’edizione è corredata da alcune foto dello scrittore sotto le armi e da alcune riproduzioni dei taccuini. Segue un apparato critico di grande pregio. Nel suo saggio Paola Italia ripercorre le vicissitudini della redazione e poi della pubblicazione del Giornale di guerra e di prigionia, mettendo in luce la personalità del giovane Gadda, i suoi ideali, il patriottismo, le letture, l’arrivo alla scrittura, quindi i tentennamenti che accompagnano la prima pubblicazione. La curatrice precisa che il Giornale nasce dal desiderio di testimoniare gli eventi: l’autore scrive di getto, registra la realtà con esattezza documentaria, corregge di rado, limitandosi a eliminare le «asinate». Il testo, afferma Paola Italia, non deve essere interpretato come una prova generale della narrativa di Gadda, bensì come un’opera autonoma e un «eccezionale documento storico». Un documento storico in cui si riconosce, però, la straordinaria potenza evocativa di un grande scrittore. Segue una nota di Eleonora Cardinale dedicata ai taccuini su cui si basa l’edizione, alla descrizione di questi e alle vicende che seguono il loro ritrovamento: un tassello in più per svelare, per quanto possibile, il giallo dei manoscritti di Gadda.

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