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La cattiva femminista e la femminista cattiva. Invito alla lettura di Roxane Gay

Questo è per tutte e tutti coloro che credono nella necessità di educarsi, che ci sia qualcosa di tremendamente marcio, ma che possiamo cambiarlo, educando il nostro pensiero, educando le nostre parole, infine, per coloro che possono, con le azioni.

In questo stesso giorno, quarantasei anni fa, il 15 ottobre 1974 a Omaha in Nebraska nasceva Roxane Gay, statunitense di origine haitiana.
Oggi Gay è docente, romanziera, saggista e giornalista. Autrice bestseller del New York Times, ha pubblicato due raccolte di racconti, due di saggi (una delle quali come curatrice), un romanzo e un memoir. Ha anche sceneggiato, insieme alla poetessa Yona Harvey, un fumetto per la Marvel, World of Wakanda, uno spin-off di Black Panther che aveva – la pubblicazione è stata cancellata nel 2017– come protagoniste due guerriere nere innamorate l’una dell’altra.
Di tutta questa ricca produzione sono disponibili in traduzione italiana due titoli, pubblicati da Einaudi Stile Libero nella traduzione di Alessandra Montrucchio: la raccolta di racconti Donne difficili (Difficult Women, 2017) e il memoir di Roxane Gay, Fame. Storia del mio corpo (in originale Hunger: A Memoir of (My) Body, 2017).

Roxane Gay

Scrivere di sé stessi è un’operazione complessa e rischiosa, che può produrre gli esiti più disparati a seconda del livello di consapevolezza di chi scrive, del suo scopo, del suo controllo del mezzo: dal delirio megalomane e autocelebrativo, alla patetica lagnanza vittimista, dalla confessione scabrosa al piatto resoconto diaristico, può essere la massima forma di egocentrismo individualista, ma può anche essere un atto di onestà intellettuale e di condivisione, nel suo esito più impegnato la testimonianza coraggiosa che rompe il silenzio e permette a chi soffre di riconoscersi e nutrire speranza, a chi ignora la sofferenza di scoprire un’esperienza diversa dalla propria e di lasciarsi ispirare.
Fame è un libro di quest’ultimo tipo. Fame è una lettura dolorosissima, perché Roxane Gay mette al centro sé stessa, il suo corpo e il trauma del suo passato con cristallina lucidità e consapevolezza per illuminare il cono d’ombra che proietta un unruly body, un corpo fuori dai canoni, un corpo sregolato, indisciplinato, come è stato tradotto opportunamente nell’edizione italiana: un corpo ribelle.
Roxane Gay è una donna obesa. Viviamo in una società fortemente grassofobica. Per una grande maggioranza di persone in un corpo grasso chi lo abita scompare, in quel corpo i più vedono solo un ideale estetico negativo, qualcosa di indesiderabile, una deriva da rifuggire, un errore da correggere; vedono pigrizia; nell’abbondanza della carne vedono una mancanza, di autocontrollo, di amor proprio, di disciplina e di forza di volontà. Il discorso più comune in merito è spostare l’attenzione sul piano della salute: l’obesità è una malattia che ha tutta una serie di conseguenze negative sul benessere di una persona e aumenta il rischio di altre patologie. Questo è un problema reale, ma distoglie dalla questione: innanzitutto le cause dell’obesità possono essere molteplici, la maggior parte di noi non è medico e anche se lo fosse non può conoscere la storia clinica di un altro o eseguire esami diagnostici con un’occhiata, invece il giudizio e la condanna nei confronti di un corpo grasso e di chi lo abita sono comunemente immediati; inoltre anche qualora la causa dell’obesità di una persona fosse effettivamente da attribuirsi a cattiva alimentazione e mancanza di movimento questo non giustificherebbe l’aperta condanna sociale, che non è altrettanto impietosa con chi trascura il proprio benessere in altri modi che sappiamo essere nocivi1

Roxane Gay

In Fame Roxane Gay racconta, senza lesinare i particolari, l’esperienza di vivere in un corpo socialmente non accettato e non riconosciuto, anche a livello pratico: con la difficoltà di trovare sedie di dimensioni adeguate, la necessità di acquistare due posti in aereo, i commenti apertamente denigratori quando non schifati e l’insofferenza del prossimo, l’abbondanza di reality televisivi incentrati sulla perdita di peso in cui i partecipanti vengono umiliati. In Fame Roxane Gay va a ritroso e torna alle origini della sua fame, alla violenza brutale e sconsiderata che ha subìto a dodici anni, un trauma che per lo shock, la vergogna, la mancanza di strumenti ha taciuto e mantenuto sepolto dentro di sé per moltissimi anni, cercando di proteggersi disperatamente con il cibo, aumentando la propria taglia, facendo della sua carne un’armatura. Fame non si limita a una denuncia su come chi abita un corpo non conforme subisca costanti mancanze di rispetto nel quotidiano, Fame è una storia sul trauma e sulla sua elaborazione, sull’enorme complessità del tema della salute mentale e come possa influenzare il rapporto con il nostro corpo, una storia straziante che parte dall’esperienza di chi l’ha vissuta per mostrarci come l’estetica e la normatività siano le chiavi più inadeguate, più cieche, superficiali e ingiuste per guardare un altro, che i corpi, tutti i corpi, sono validi così come sono, che chi li abiti abbia il desiderio e la volontà di cambiarli oppure no, e che un corpo ha sempre una storia da raccontare. Se abbiamo un corpo conforme, un corpo magro ma non troppo, il nostro corpo racconta una storia di privilegio.

Il privilegio e il suo riconoscimento sono un altro dei temi portanti della produzione e del pensiero di Gay. Un tema che affronta soprattutto nei saggi della raccolta Bad Feminist.

Roxane Gay

La bad feminist è la cattiva femminista, un gioco di parole molto bello anche in italiano, in cui la posizione dell’aggettivo appositiva o attributiva può cambiare il significato: la cattiva femminista, come si dichiara Roxane Gay, è la femminista non impeccabile nel suo essere femminista, la femminista cattiva invece è lo stereotipo diffuso della donna frustrata, vittimista e aggressiva, che odia gli uomini e vuole la supremazia su di essi – questo naturalmente non è davvero femminismo.

Abbraccio2 apertamente l’etichetta di cattiva femminista. Lo faccio perché sono umana e piena di difetti. Non sono straordinariamente versata in storia dei femminismi. Non ho letto quanto vorrei dei testi cardine dei femminismi. Ho certi… interessi e tratti del carattere e opinioni che potrebbero non essere in linea con il femminismo più mainstream, ma sono comunque una femminista. Non so esprimere quanto sia stato liberatorio accettare questo di me stessa.

Io abbraccio l’etichetta di cattiva femminista perché sono umana. Sono un casino. Non sto cercando di essere un esempio. Non sto cercando di essere perfetta. Non sto cercando di propormi come qualcuno che ha tutte le risposte. Non sto cercando di dire che ho ragione io. Sto solo cercando – cercando – di sostenere ciò in cui credo, cercando di fare qualcosa di buono in questo mondo, cercando di creare un po’ di rumore con quello che scrivo e allo stesso tempo di essere me stessa: una donna che ama il rosa e a cui piace scatenarsi, che a volte scuote il culo al ritmo di una musica che sa, sa, essere tremenda verso le donne e che a volte fa la parte della scema con i tuttofare perché semplicemente è più facile farli sentire machi che tenere il punto.
Sono una cattiva femminista perché non vorrei mai essere messa sul Piedistallo Femminista. Dalle persone sul piedistallo ci si aspetta che stiano in posa, alla perfezione. E poi vengono buttate giù quando fanno una cazzata. Io faccio regolarmente cazzate. Consideratemi già caduta.

Questo passo, tratto dall’introduzione di Bad Feminist, esprime tutta l’onestà intellettuale di Gay, il suo mettersi al centro della narrazione non con egocentrismo, ma come punto di partenza, in uno spogliarsi e offrirsi all’altro, come testimonianza. Si percepisce in queste poche righe anche l’immediatezza del suo stile, scarno, essenziale e diretto, spesso autoironico e carico di senso dell’umorismo. Perché non c’è mai vittimismo in Gay, c’è assunzione di responsabilità; insieme alla narrazione degli ostacoli quotidiani di una donna nera e bisessuale che porta con sé il trauma di uno stupro e di un corpo indisciplinato, c’è anche il riconoscimento del proprio privilegio: quello di essere nata in un Paese ricco e industrializzato, in una famiglia benestante e amorevole, di aver avuto alle spalle una rete di sicurezza e l’accesso a un’istruzione di alto livello.
C’è un’enorme resistenza rispetto a questo discorso, a riconoscere di essere privilegiati perché bianchi, perché maschi, perché eterosessuali cisgender, perché magri, perché abili e senza problemi di salute mentale, perché provvisti del passaporto giusto, perché provenienti da una famiglia con un reddito sufficiente a garantire il necessario e il superfluo. Questa resistenza è irragionevole perché il riconoscimento di un privilegio non è un’assunzione di colpa, non c’è colpa nell’essere nati ricchi più di quanta non ce ne sia nell’essere nati poveri, riconoscerlo significa semplicemente affermare la propria consapevolezza di trovarsi dal lato più vantaggioso all’interno di un sistema impari. È poco, ma è un inizio necessario per poter arrivare al molto.

All’interno dei saggi di Bad Feminist si propongono i femminismi come approccio critico, come chiave di lettura possibile, come prospettiva sul mondo, come modo per vivere, be’, qualsiasi cosa: in Bad Feminist si parla tantissimo di cultura pop, dai testi misogini di rapper statunitensi (che Gay ammette di ascoltare di gusto sentendosi in colpa), alle serie tv, alle rom-com, ai social (Gay è molto attiva su Twitter, la trovate come @rgay), alle serie di romanzi young-adult che hanno come target le ragazzine. Gay, che ha studiato a Yale ed è docente universitaria analizza con rispetto e rigore prodotti della cultura di massa e dell’intrattenimento, confessa con allegria consumi culturali che convenzionalmente consideriamo guilty pleasures. Ci mostra un modo di guardare alla cultura libero, inclusivo, un modo di essere lettori e spettatori onnivori e democratici, scevri di qualsiasi snobismo, aperti, ma sempre critici e consapevoli.

Roxane Gay

La stessa ricchezza, declinata in narrativa, la troviamo nelle opere di finzione di Gay: il romanzo Un Untamed State, e le raccolte Ayiti e Donne difficili. In questi libri incontriamo un’umanità colorata e variegata, rappresentata in tutta la sua sofferta bizzaria, dagli immigrati di origine haitiana dei racconti di Ayiti alla galleria di figure femminili di Donne difficili, i personaggi di Gay sono sempre figure che amano di amori ineluttabili, sempre raccontate senza pudori nella loro vita intima e sessuale, che è identitaria, spesso permeata di violenza consensuale e non, di un erotismo sinistro – ed è commovente e meraviglioso il modo in cui Gay ha saputo trarre dal suo vissuto traumatico la capacità di intridere la sua prosa di una sensualità dolorosa, oscura e inebriante. Gay, con uno stile essenziale e immediato, fa scambiare ai suoi personaggi dialoghi brevi, di pochissime parole, ma sempre di una pregnanza che inchioda. L’iperrealismo delle situazioni si mescola talvolta al fantastico, quindi in Ayiti accanto a storie di integrazione troviamo le mambo (le fattucchiere esperte di voodoo) e gli zombi (senza e) e in Donne difficili, accanto alla storia di una studentessa che si mantiene facendo la spogliarellista, o di una donna sposata con un uomo che ha un fratello gemello e che finge di non sapere che i due si scambiano regolarmente di posto, o ancora di due amiche che hanno messo in piedi un fight-club al femminile e si eccitano facendosi del male, troviamo le favole crude di una donna che porta la pioggia con sé ovunque vada e di una donna fatta di vetro. 

L’operazione culturale di Gay, quella di offrire la propria storia come testimonianza per proporre una prospettiva diversa sul mondo è qualcosa che si sta facendo molto bene anche in Italia, da quel libro meraviglioso che è La straniera di Claudia Durastanti, a Johnathan Bazzi con Febbre, da Josephine Yole Signorelli in arte Fumettibrutti con i suoi graphic novels autobiografici a Signorina. Memorie di una ragazza sposata di Chiara Sfregola, che pochi giorni fa ha citato Roxane Gay in una bellissima presentazione che ha fatto a Roma ai Queer Days (il piccolo festival dedicato ai corti a tema queer, quale contesto migliore?) parlando del suo libro, che parte dalla sua unione con una donna per analizzare l’istituzione del matrimonio in senso ampio, il suo retaggio, il peso della tradizione che ancora grava sui modi di vivere delle persone e sulle loro scelte.
Nel panorama letterario di oggi io vedo Roxane Gay al fianco di queste voci, al fianco di Chimamanda Ngozi Adiche, al fianco di Naomi Klein, che nei saggi di Il mondo in fiamme: contro il capitalismo per salvare il clima (traduzione di Giancarlo Carlotti, Feltrinelli, 2019) ci parla della necessità, se vogliamo salvare la nostra casa che brucia, non solo di ridurre le emissioni, ma di cambiare radicalmente la nostra società, della necessità di unirci perché la lotta per la salvaguardia della biodiversità deve procedere di pari passo con la lotta per la parità di genere, per i diritti civili.

Nel film Precious (2009, di Lee Daniels) la protagonista – un’adolescente afroamericana stuprata da suo padre, che nella Harlem degli anni Ottanta dà alla luce una bambina con la sindrome di Dawn – incontra un’insegnante che la prende a cuore, Miss Blu Rain. Parlando di Miss Rain, Precious dice che alcune persone sono state in un tunnel buio, ma sono riuscite a vedere la luce in fondo e a uscirne e sono diventate loro quella luce, che brilla per guidare il cammino di altri fuori dall’oscurità.

L’opera di Roxane Gay è partecipe di un movimento, è una tra numerose torce luminose che guidano il cammino di tutte e tutti coloro che desiderano costruire insieme un mondo in cui la diversità è rappresentata e celebrata, più aperto e libero perché più equo, più inclusivo, più compassionevole, più accogliente.




Note:
1 Per chi volesse approfondire l’argomento, complesso e delicatissimo, della body positivity e della grassofobia, ne hanno scritto diffusamente e meglio penne più autorevoli della mia: come punto di partenza consiglio il progetto Belle di faccia di Chiara Meloni e Mara Mibelli, che fanno un ottimo lavoro di divulgazione e sensibilizzazione sul tema.
2 La traduzione è mia, l’edizione di riferimento è Roxane Gay, Bad Feminist. Essays, Corsair, 2014, pp.x-xi.









Photo credits
Copertina: illustrazione di Jillian Tamaki
Ritratto di Roxane Gay: Jennifer Silverberg



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