Comma 22

Il ritorno dello sciamano



Nel 2010, a un anno dalla morte di Claude Lévi-Strauss, come a voler celebrare la vita di colui che probabilmente è stato il più grande antropologo della storia, è stato pubblicato un libro a dir poco memorabile: La chute du ciel. Paroles d’un chaman yanomami.
Si tratta di un testo che è già leggenda. Una sorta di libro sacro, considerato una vera e propria “Bibbia sciamanica” e già divenuto una pietra miliare dell’antropologia contemporanea. Ma non solo. Questo libro riesce anche a convogliare i movimenti ecologisti di tutto il mondo e ispirare alcune delle menti filosofiche più interessanti di questi ultimi anni. La caduta del cielo non è solo un libro, ma anche un manuale di sopravvivenza, un manifesto dei popoli indigeni di ogni tempo e luogo, un insegnamento per il futuro, una profezia, un sigillo per i tempi che verranno, un amuleto per scongiurare la catastrofe: la morte della foresta-mondo e il crollo del cielo.
Apparso per la prima volta nella prestigiosa collana Terre Humaine, delle edizioni Plon, con la prefazione del mitico esploratore che raggiunse per primo il Polo Nord in slitta, Jean Malaurie (pubblicato in lingua italiana da nottetempo nel 2018, nella traduzione di Alessandro Palmieri e Alessandro Lucera) La caduta del cielo inizia con una predizione, che suona oggi più cogente di quando comparì per la prima volta tra le mani di un lettore occidentale, di un Bianco. E recita così:

«La foresta è viva. Può morire solo se i bianchi si ostinano a distruggerla. Se ci riescono, i fiumi scompariranno sotto la terra, il suolo diventerà friabile, gli alberi seccheranno e le pietre si spaccheranno per il calore. […] Moriremo gli uni dopo gli altri e così anche i Bianchi. Tutti gli sciamani periranno. Quindi, se nessuno di loro sopravvive per trattenerlo, il cielo crollerà.»

Esattamente dieci anni dopo – non a caso nel corso dell’emblematico 2020 – viene pubblicato Yanomami, l’esprit de la forêt nella splendida collana Voix de la Terre di Actes Sud, in collaborazione con la Fondation Cartier (tradotto in lingua italiana, sempre per nottetempo da Alessandro Palmieri e Alessandro Lucera, e con una eccezionale prefazione di Emanuele Coccia).

Davi Kopenawa

Entrambi questi libri sono firmati da Davi Kopenawa e da Bruce Albert. Il primo è un grande sciamano yanomami che da decenni si batte per i diritti del suo popolo e di tutti gli indigeni del pianeta e, soprattutto, per la salvaguardia dell’ambiente, di quella che gli yanomami chiamano Urihi a, la foresta-mondo. L’altro, Bruce Albert, è di sicuro uno degli antropologi più geniali del nostro tempo, colui che ha dato voce a Davi Kopenawa: innanzitutto trascrivendo e traducendo La caduta del cielo (che è a tutti gli effetti anche una biografia di Kopenawa, oltre che il racconto cosmogonico della mitologia yanomami), e in particolar modo mettendosi concretamente al servizio di una vera e propria antropologia prospettivista, tramite un attivismo ecologico costante e incisivo, in grado di cambiare il punto di vista dell’osservatore fino a ribaltarne gli intenti e rivoluzionarne l’esistenza. Tanto che potremmo dire, ad oggi, che Bruce Albert sia, politicamente prima di tutto ma anche in molti altri sensi, più uno yanomami che un occidentale come noi.
È molto interessante notare come, nei due libri scritti a quattro mani da Kopenawa e Albert, le firme dei due autori siano invertite: ne La caduta del cielo appare come autore prima lo sciamano e poi l’antropologo, ne Lo spirito della foresta è invece Bruce Albert a figurare come autore primario, seguito da Davi Kopenawa. Questa è una scelta di certo non casuale. Se ne La caduta del cielo era Kopenawa a parlare, e Albert funzionava quasi esclusivamente da tramite, pur con una enorme responsabilità di traduzione e di contestualizzazione del messaggio yanomami; ne Lo spirito della foresta Albert tenta di mostrarci una relazione, un dialogo, «un’alchimia tra due culture che cambia contemporaneamente la natura di entrambe», come suggerisce Emanuele Coccia. Un processo di comunione e di cura reciproca durato oltre vent’anni, tra la comunità yanomami di Watorikɨ (la grande casa collettiva in cui vive Davi Kopenawa) e la Fondation Cartier che ha supportato un lungo lavoro di scambio artistico e non solo, un confronto che «trovava il suo pretesto nell’idea di prendere alla lettera la celebre osservazione di Claude Lévi-Strauss riguardo all’arte come ultimo spazio protetto del “pensiero selvaggio” in seno alla società industriale».

In questo contesto di cooperazione tra le due realtà, per una reciproca guarigione e un cambiamento comune, sono state organizzate decine di residenze e importanti mostre, avvenute tra il 2003 (quando vide la luce la prima mostra, dal titolo – ripreso poi per quest’ultimo libro – Yanomami. L’esprit de la forêt) e il 2020, (quando è stata prodotta la personale: Claudia Andujar. La lutte yanomami). Queste sono tutte esperienze che ne Lo spirito della foresta vengono raccontate con una passione trascinante, tramite la voce potente di Bruce Albert che ci presenta questi artisti e ci descrive i loro incontri con l’alterità. Prima fra tutti, Claudia Andujar, a cui è dedicato il secondo capitolo. Soprannominata dagli yanomami Napëyoma, ovvero “la donna bianca”, è stata una fotografa emblematica: ha lavorato decenni con il popolo yanomami, e il suo lavoro è documentato, all’interno del libro, da una gran quantità delle sue stupefacenti, oniriche fotografie.
Questo volume quindi si presenta anche come un tomo composito: al suo interno troverete fotografie visionarie vicine ai disegni stilizzati degli artisti yanomami; testi di Davi Kopenawa che hanno il sapore della profezia e che si lasciano andare a un linguaggio sciamanico, lirico, oscuro; accanto a brani più “tecnici”, nei quali Bruce Albert cerca di dare un contesto più chiaro al lettore occidentale (in particolare nelle appendici che chiudono il testo); tutto ciò è intervallato da conversazioni (come quella che compone il nono capitolo: «Al di là degli occhi», già apparsa con il titolo «Le Mathématicien et le chaman, les yeux fermés» nel catalogo della mostra Mathématiques, un dépaysement soudain), interventi esterni più o meno dichiarati, e una costante presenza di una voce collettiva, di una comunità invisibile.

Davi Kopenawa

Gli Yanomami, uno dei grandi popoli indigeni amazzonici, sono stati invasi negli ultimi decenni, da una febbre dell’oro che ha portato decine di migliaia di cercatori d’oro illegali a devastare la vasta area di foresta primaria che custodivano da sempre, oltre che a decimare la popolazione autoctona, soprattutto a causa di diverse epidemie, di cui quella di Covid-19 è solo la più recente. Una tragedia che in questo libro viene testimoniata con una potenza lacerante, che speriamo possa toccare e ferire nel profondo ogni lettore. L’esperienza raccontata nelle pagine di questo volume è anche un tentativo di risanare, o meglio, di cicatrizzare, questa ferita ancora sporca di sangue.
E di imparare: la cura dalla malattia, la sopravvivenza dalla morte.

Bruno Latour auspicava un «ritorno progressivo alle antiche cosmologie e alle loro inquietudini che percepiamo, improvvisamente, non essere così infondate», le vediamo «assumere una perturbante letteralità ecologica» ci ricordano Déborah Danowski ed Eduardo Viveiros de Castro in un libro paradigmatico dal titolo Esiste un mondo a venire?. Ecco, dopo più di dieci anni dall’apparizione di questa “Bibbia sciamanica” dal titolo La caduta del cielo, saremo capaci di ascoltare l’urlo della foresta cui dà voce? Sapremo interiorizzare le parole dei popoli indigeni che hanno custodito questo mondo per millenni? Sapremo rimettere in discussione il nostro sistema di vita? Dovremmo riflettere sul fatto che «i nostri anziani hanno davvero mancato di saggezza!»; ce lo urla in faccia Davi Kopenawa. Sapremo noi ripensare il modo in cui custodiamo questa “terra-foresta-mondo” per ricostituire un’idea futuribile del mondo a venire? Sapremo ascoltare la profezia yanomami o staremo ancora a guardare mentre il cielo ci crolla addosso?




In copertina: Edward Munch, Forest Figures, 1920