Comma 22

#Gli Ironici | Vangeli nuovissimi



Ironici è una rubrica che si pone due obiettivi: chiedersi quali siano le possibili forme del comico e costruire una collana virtuale di testi ironici. Tutto questo combinando una recensione, un’intervista e una breve lista di consigli per gli acquisti. Per provare insieme a dare maggior voce al comico e trovare una risposta alla fatidica domanda: mi consiglia qualcosa che mi faccia divertire?

«Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento tanto bene.»
E. Ionesco 

La citazione in esergo spesso viene attribuita, pare sbagliando, a Woody Allen. Ora non è tanto importante chi non si senta bene, quanto invece il legame che c’è tra religione e umorismo, fede e comicità. In questo filone molto prolifico, che va dai racconti antifrateschi del Decameron fino ai romanzi di Niven, passando per i meme su Gesù e film come Brian di Nazareth, troviamo Vangeli nuovissimi di Mario Valentini. “Nessuno è profeta in patria”, per restare nell’ambito delle citazioni, è una frase drammatica, ma che, come accade spesso in questo testo, finisce per indossare un sorriso leggero, l’aspetto di una beffa che ha perso buona parte della sua amarezza. Valentini ha lavorato a 10 brevi vangeli apocrifi dotati quindi di una qualche licenza, spesso temporale, basti pensare a Gesù che inventa il calcio: anche in questi vangeli, come i veri vangeli apocrifi, vengono raccontate vicende non ufficiali, non riconosciute, si parla di un Gesù in quell’età di mezzo che va dal Bambino nella grotta fino al predicatore e dispensatore di miracoli. I dieci vangeli che compongono Vangeli Nuovissimi possiamo dividerli in due macrocategorie: i primi cinque ruotano attorno alla figura di Gesù e alle sue qualità e i restanti potremmo considerarli minori, ossia legati ad aspetti molto specifici o singoli episodi. Il tutto, però, mantenendo una forma simbiotica con il vangelo intesto come genere letterario: non mancano, infatti, le frasi idiomatiche, la suddivisione in versetti e una prosa evocativa ed educativa tipica dei testi biblici. L’autore ha costruito dei vangeli del presente per il presente e la forma vangelo stessa è uno degli aspetti che ne conferisce comicità.

Vangeli nuovissimi

Questi testi rientrano a pieno titolo in un filone, chiamiamolo di ironia religiosa, che comprende le più sfaccettate operazioni: ci sono semplici personaggi, ne fanno parte il Don Abbondio di Manzoni o la figura del profeta Zarquon in Guida autogalattica per autostoppisti, ma anche testi come Il Pianeta del miraggio di Heinlein, il Viaggio in Paradiso di Twain e gli scritti filosofici di Erasmo. Senza dimenticare Il vangelo secondo Biff di Moore, una biografia romanzata di Gesù adolescente, durante i suoi viaggi d’apprendistato per studiare le religioni precristiane fino al tradimento di Giuda. Questo solo per restare nel mondo della letteratura, ma se ci dirigiamo verso il teatro, limitandoci all’Italia, non possiamo non citare il Mistero Buffo di Fo e gli episodi de La Smorfia, come l’Annunciazione o l’Arca di Noè. Allargando ancora il campo, oltre al già citato capolavoro dei Monty Phyton, non si contano le commedie in chiave religiosa con protagonista Dio o Gesù. Il mondo di internet spopola di meme e ci sono alcune serie tv, controverse e irriverenti, come La prima tentazione di Cristo. Gesù come personaggio è tutt’altro che morto e risorto. Angela Scarparo scrive, nel suo Memorie dell’Umorista, che alcuni personaggi scompaiono e con essi la possibilità di fare dell’ironia, ma ci sono alcuni personaggi eterni che hanno ancora il potere di farci sorridere. Vale per figure storiche, per personaggi inventati, vale per Gesù. 

A scanso di equivoci, e a puro scopo illustrativo, cito altri due esempi letterari: Il vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago e Il vangelo di Lenny Belardo di Sorrentino, legato alla serie tv The young Pope. L’immaginario religioso non viene sempre e soltanto trattato in chiave ironica-comica, così come la figura di Cristo è stata, e sarà, osservata anche nella sua declinazione tragica.

Cosa possiamo trovare spesso in questo genere di operazioni? Gesù che, in qualche modo, torna umano. Anche in questi vangeli ciò che ne viene fuori è una figura ancora divina, ma un po’ meno divina. Elemento comico dei testi è come viene declinato il personaggio di Gesù: tutti quelli che hanno seguito il catechismo, siano credenti o meno, hanno immaginato il figlio di Dio come loro coetaneo, un ragazzino che sta imparando a fare il profeta. Un Cristo simpatico, ma tonto, burlone e vittima di qualche capriccio, che vive un rapporto non semplicissimo con la madre, poi con gli apostoli, in parte anche con i suoi superpoteri e infine con i cosiddetti miracoli. Barbolini, in un saggio intitolato Riso ed Errore, si chiede se il comico sia una continuazione del sacro con mezzi differenti. Sicuramente nel momento in cui il divino diventa mortale sposa alcune delle caratteristiche dell’uomo: come possiamo definire l’uomo se non come l’essere che ride e sbaglia? Parafrasando Toror, il riso e l’errore sono il proprio dell’uomo, ciò che meglio lo identifica. 

Non si può parlare dell’ironia di Valentini senza tener conto, oltre che della forma, anche del contenuto di questi vangeli. Torniamo quindi alle due macrocategorie e occupiamoci prima di quelli che ho definito minori. Sono cinque brevissimi vangeli nei quali c’è maggior distacco dai canonici. In quello storiografico, una sorta di dichiarazione di competenza dell’autore, si ricostruisce la vicenda Gesù sottolineando come due eventi, tra i più significativi e citati, la strage di bambini compiuta da Erode e l’episodio di Salomé, siano in realtà dei falsi. Negli altri crea situazioni, delle gag a forma di parabola, e gioca con le parole dal sapore biblico. Sono minori soltanto per la loro brevità, ma non mancano di intelligenza che è parente stretta dell’ironia. Inoltre condividono con quelli maggioriuna certa cura nei titoli, ulteriore aspetto comico.

Tra i maggiori si distingue un vero e proprio vangelo apocrifo e altri quattro che invece appaiono come variazioni alla Queneau: e se i testi venissero riscritti considerando Gesù vegetariano?, se invece parlassimo soltanto delle sue guarigioni?, se lo confrontassimo con Superman come un supereroe? Valentini gioca, ragiona e prova a spiegare alcuni concetti religiosi terminando alle volte in vicoli ciechi senza uscita, dai quali si tira fuori sfruttando la stessa logica divina ossia il mistero della fede, oppure crea dei paradossi, come quando le tentazioni della carnesono letteralmente tentazioni della carne, intesa come salsicce, arrosto, cotolette. Non mancano i riferimenti al presente, il più forte è quello al Covid: è in corso un’epidemia e i governatori della Galilea, della Giudea e della Samaria dicono solo «non girate, state a casa» e gli apostoli, che sono dei medici favolosi, operano senza guanti né mascherine finché Gesù non gli fornisce dei sistemi di protezione sanitaria. «E vide che era cosa buona e giusta». Una satira buffa che sfrutta un vocabolario mimetico, che ruba delle frasi fatte e ne infonde nuovo significato. Questo è un lavoro che andrebbe citato pagina per pagina, perché in ogni frase potremmo trovarci qualcosa di comico. Sintetizziamo dicendo che la regressione, di eventi memorabili in questioni quotidiane o della figura divina in un bambino supereroe, è uno degli espedienti comici più diffusi e riusciti. 

Il riso che producono i Vangeli Nuovissimi di Valentini è un riso sincero, puro, privo di qualsiasi forma di oscenità. C’è sicuramente uno studio approfondito, come dimostra il Vangelo storiografico, che mette al riparo questo lavoro da qualsiasi accusa di sacrilegio o superficialità. Palmieri, citando Bakhtin, ricorda che il carnevalesco ha le sue regole, per cui la satira se condivisa dal fruitore, in questo caso il lettore, non ha che da rispettare la sua stessa libertà. Valentini non ha bisogno di grandi licenze, neppure quando tenta e ritenta di spiegare il tradimento di Giuda optando, tra le altre, anche all’ipotesi di un conflitto tra giocatore destinato costantemente alla panchina e mister paraculo: gli ultimi saranno i primi ripete Gesù, ma Giuda non vede mai il campo, così alla fine decide di tradirlo. La satira è legata alla percezione di una somiglianza tra vizio e virtù, tra bene e male e in questo caso tra uomo e Dio, tra passato e presente.

Vangeli nuovissimi
Frame di Lello ArenaMassimo Troisi e Enzo Decaro (La Smorfia) in L’annunciazione

Abbiamo iniziato con una citazione, chiudiamo con un’altra. «Su Hitler non mi viene in mente niente» è una frase attribuita a Karl Kraus e sembra sottolineare come, riguardo a certe cose terribili e inumane, neanche il più brillante degli uomini troverà il modo di riderne. A me pare, invece, che proprio in queste situazioni dovremmo farci venire in mente qualcosa. Come nel Vangelo agnostico di Calogero Masino da Capaci, ferroviere: Gesù è un bullo che diventa fascista e dittatore. Ridere include la speranza. E la speranza ti fa credere che le cose possano essere riscritte e ciò che non può più essere cambiato almeno non si ripeta. Ma lasciamo finalmente la parola all’autore.

Ciao Mario, benvenuto tra gli ironici. Come definiresti il comico e perché l’hai scelto?
C’è scritto anche nella bandella del libro, scritta da Cavazzoni, che nei miei Vangeli si ride spesso, non posso certo negare questo fatto. E anche gli altri libri che ho scritto in precedenza hanno, forse, questa caratteristica. Magari non proprio tutti tutti, ma molti sì.
Nei Vangeli si ride perché a scriverli mi sono molto divertito e mentre saltavano fuori le diverse situazioni narrative, tutte rigorosamente evangeliche e nuovissime, ero il primo a ridere.
Però avevo anche un’intenzione genuinamente indagativa, di riflessione reale su questa vicenda antica riguardante Gesù il Nazareno. Scrivendo mi ponevo domande sulla sua figura, storica e metastorica, sui vangeli canonici e apocrifi che ne raccontano le gesta, forse perfino sulla natura di qualcuno o qualcosa ivi (e altrove) detto Dio. E ho studiato un bel po’ per scriverli.
L’atteggiamento indagativo, l’attitudine alla conoscenza è connaturata alla comicità, questo penso. E dunque la risata è un atto di comprensione. Ridere è un modo per dire “finalmente ho capito”. 
Bisogna inoltre dire che è necessario creare una sintonia tra chi scrive e chi legge, o tra chi parla e chi ascolta, perché si riesca a produrre una risata, anche solo accennata. L’arte di ridere è delicata e necessita di una clima adatto, che non è facile creare. Ci vuole anche un po’ di esperienza: senso del ritmo, tempi giusti, capacità di tagliare le frasi, sapere apparecchiare una scena o situazione. C’è bisogno, insomma, di un’arte della parola e del corpo che molti scrittori seri, o presunti tali, talvolta non tengono nel giusto conto. D’altra parte, uno scrittore serio (o presunto tale), se è serio, e tutti quelli che leggono o ascoltano quello che scrive rimangono seri, ha raggiunto il suo scopo senza che niente cambi. Anche se al lettore  non gli si smuove dentro niente, lo scrittore serio ha già vinto. Perché quello, il lettore, era serio già prima e serio è rimasto. 
E dunque bisogna concludere che lo scrittore serio vince facile, sono bravi tutti a far rimanere serie le persone che erano serie già da prima. Al limite, se i lettori proprio non ti sopportano, si incazzano ancora di più e ti mandano a quel paese, lo scopo è raggiunto all’ennesima potenza. Il romanzo serio che irrita il lettore fino all’inverosimile ha raggiunto il suo scopo al cubo. È un trionfo. 
Con la comicità non funziona così. Uno serio (perché all’inizio si è sempre seri) lo devi portare dalla parte del sorriso o della risata, e per farlo dovete un po’ trovarvi, avvicinarvi. Dovete cominciare a stare bene in compagnia, altrimenti non funziona. La comicità è per i delicati, per le persone sensibili. La serietà invece è per gente senza cuore. Per i bruti. 
Se la serietà stravince nelle classifiche di vendita è solo perché fa più notizia, come le guerre, le rapine a mano armata e gli omicidi. Cioè, è una stortura del mondo. D’altra parte, anche l’inquinamento trionfa. E la deforestazione. E i gas di scarico delle automobili vincono contro le biciclette (che sono più divertenti e ecologiche). E i palazzoni in cemento armato vincono sui giardini pubblici pieni di alberi e fiori. Non c’è da sorprendersi, è risaputo che le cose vanno per lo più all’incontrario. Lo stesso vale per il libri di narrativa e per le classifiche di vendita.  
Se i miei Vangeli venissero considerati come un libro di genere comico un po’ me la prenderei a male. Lo stesso succederebbe se l’aggettivo comico fosse sostituito con  l’aggettivo umoristico.
Perché in generale la cosiddetta letteratura di genere non mi interessa molto. Nella letteratura di genere giallo, per dire, ci dev’essere un crimine (per lo più un omicidio) e un’indagine. Non si scappa. Come per un piatto di cucina che trovi su internet: c’è una ricetta e, se segui bene quella ricetta, produci un buon piatto, mediamente gustoso. Qualcosa di simile, più o meno, succede per il romanzo di genere. E va benissimo, niente da ridire, ma non lo trovo granché interessante. 
Nella letteratura di genere comico tu devi ridere per forza, non hai alternative. E per lo più devi ridere attraverso delle battute, cioè frasi dette apposta per far ridere. Un comico che va in una trasmissione televisiva di comici o in un teatro dove si esibiscono dei comici, va lì per far ridere e per nessun altro motivo. Se non fa ridere è un fallito. E se non fa ridere con le battute, fallisce doppiamente. Può diventare snervante, può generare disperazione e infelicità, sia in chi è andato a teatro o in televisione per far ridere sia in chi ci è andato per ridere. È tutto legato alla risata da ottenere a tutti i costi. 
I miei Vangeli non funzionano così. Non li ho scritti per ridere su Gesù di Nazaret, li ho scritti per riflettere su Gesù di Nazaret. Ci sono molti cliché e passaggi tipici dei vangeli e che alcune cose, poi, facciano ridere è secondario, non essenziale, non centrale. Se non capita pazienza, non è quello lo scopo, far ridere. Al limite è riflettere, riprodurre quel tipo di storia, esistente da secoli, con le sue questioni e le sue domande: la storia della vita (anzi, delle vite) di Gesù e dei suoi familiari e sodali.

La comicità ha tante forme, tanti nomi. Quale preferisci?
Scusami se schematizzo.
Se qualcuno dice che i miei Vangeli sono di genere comico, non mi piace. E dico che secondo me non è vero. Se qualcuno invece dice che i miei Vangeli si inscrivono nella tradizione del comico (o la raccolgono, o la proseguono), allora va bene anche per me: lo accetto, lo condivido e mi piace. Lo trovo corretto e giusto.
La tradizione del comico qual è? È ampia, sotterranea, si inabissa e riaffiora, nei secoli, passa dalla letteratura popolare a quella colta o d’autore, per poi ritirarsi di nuovo. La tradizione del comico può anche essere rintracciata in testi che non fanno propriamente ridere. Una piccola geneaologia, molto incompleta e frammentaria e per questo accettabile, la fornisce ad esempio Malerba in Strategie del comico: «Don Chisciotte, Gulliver, Gargantua e Pantagruele, Bouvard e Pécuchet, Pinocchio, Lazarillo, Charlot», scrive. Ci aggiungerei alcuni personaggi di Mark Twain, quelli di Jerome K. Jerome, molti del Decameron. E poi quelli dello stesso Malerba. Ma anche personaggi di libri di fantascienza come quelli di Douglas Adams. E un mucchio di altra roba che elencare tutta sarebbe noioso. Lazarillo, per dire, che è pienamente nella tradizione del comico, è un libro crudele, agghiacciante. Si fa fatica a ridere. Eppure attinge al comico e lo ripropone. 
Per me poi sono stati fonte d’ispirazione certi personaggi della tradizione popolare orale, come Giufà.  Anche San Pietro nella tradizione popolare orale siciliana è un personaggio tipicamente comico. C’è tutto un filone di storie popolari (alcune le ho messe nel mio libro) in cui Gesù e San Pietro sono una magnifica coppia comica: come Totò e Peppino o Franco e Ciccio.

E se ti svegliassi curatore di una collana umoristica, quale titolo le daresti?
Non auspicherei una collana di libri umoristici così come non auspicherei una collana di libri gialli. Ma in una collana di libri che mi piacciono ci metterei di tutto: che so, dai racconti di Scerbanenco (giallo), a Tre uomini a zonzo di Jerome (comico). 
Una collana che tiene viva la tradizione del comico, e la restituisce in alcune sue forme, c’è già, ed è quella in cui sono usciti i miei Vangeli nuovissimi: Compagnia Extra di Quodlibet. Tra l’altro lì si possono leggere alcune cose notevoli sul comico, come Il libro delle fantasticazioni di Cavazzoni e, appunto, Strategie del comico di Malerba. Ma non è una collana umoristica: raccoglie e tiene viva la tradizione del comico, così come quella delle relazioni etnografiche da paesi lontani (anche inventati e inesistenti) e tanti altri percorsi o forme del narrare che normalmente sono un po’ escluse o ignorate dalle proposte editoriali di maggiore diffusione. 
Comunque, una collana di libri umoristici, anche se non la fonderei mai, la chiamerei ZUM. Tutto maiuscolo. O al limite ZUM ZUM. Ma è meglio ZUM. Uno solo.

In ultimo i consigli di lettura dell’autore. I miei li trovate sparpagliati nell’approfondimento, come al solito, sempre per non sbagliare.

Consiglierei tre autori che sono anche tre amici.

  1. Ermanno Cavazzoni, soprattuttoIl poema dei lunatici, Vite brevi di idioti e Storie vere e verissime (La nave di Teseo);
  2. Ma anche Nino Vetri, conLume lume (Sellerio);
  3. Infine di Ugo Cornia suggerirei Operette ipotetiche (Quodlibet). 




Illustrazione in copertina di Federico Arrigoni