Carmen Pellegrino torna al Premio Campiello. Pellegrino, storica, scrittrice e abbandonologa – già in cinquina nel 2015 con l’esordio Cade la terra (Giunti) – guadagna la finale del 2021 con il suo ultimo romanzo, La felicità degli altri, edito La nave di Teseo.
La scrittura di Pellegrino, connotata da una poetica tersa e feroce dell’abbandono, riconduce al motivo delle cose e delle persone lasciate e poi crollate, o crollate poiché lasciate, questa volta nel personaggio di Clotilde, diventata Cloe. La ridenominazione non affranca la giovane protagonista, correttrice di bozze di libri dell’infanzia, dal segno del trauma: vittime bambine sono infatti lei e l’amato, intelligentissimo fratello Emanuel, esposti alla furia ossessiva della madre Beatrice e a un’assillante narrazione familiare che trova il padre Manfredi traditore e sfuggente. «I segni di famiglia», «le memorie biologiche» che raggiungono dallo specchio Cloe, non si depositano solo nell’«arcata dentale», in un «sopracciglio», ma sono l’eredità genetica che muta il codice e traduce il bambino «allunato» nell’adulto che per sempre si sentirà «nato triste».
![La felicità degli altri](https://www.liminarivista.it/wp-content/uploads/2021/06/carmen-pellegrino.jpg)
L’amore sincero, disinteressato, trova voce nelle cure di Madame e del Generale, tutori della Casa dei timidi, una comunità in collina nella quale la protagonista viene accolta a dieci anni, e da cui si allontana a diciotto, proiettata verso una maturità votata agli insuccessi e al riciclo di identità. Cloe procede nel mondo volgendosi instancabilmente in due direzioni: al di fuori e davanti a sé, alla ricerca di una definizione, e dentro e a ritroso nel passato, nella frattura che l’ha segnata. Fallito anche un matrimonio, che pare sfaldarsi già al preambolo della cerimonia senza invitati, la donna trova rifugio a Venezia e qui, al riparo del ritorno allo studio, Cloe fa la conoscenza del Professor T., docente di Estetica delle ombre.
L’incontro tra la protagonista e il professore ha il segno della scoperta tra anime affini: i due inaugurano un rito che presto si fa ricorrente, quello delle passeggiate nella città che affonda. Il Professor T. ha una dimestichezza da fantasma con le ombre; non stupisce che Pellegrino abbia compiuto una sorta di evocazione, richiamando alla vita, nella finzione, il calco di un uomo realmente esistito e vittima, nel 2018, di un triste fatto di cronaca: ritrovato sette anni dopo la morte, mummificato nel proprio appartamento, emblema di una solitudine tanto profonda da non porre la necessità di un corpo da reclamare.
![La felicità degli altri](https://www.liminarivista.it/wp-content/uploads/2021/06/192675506_301195151490976_496047062351225469_n.jpg)
Il Professor T. torna dunque a camminare per le calli di Venezia, a dimenticarsi o a non avere alcuna occasione di parlare; a insegnare, agli studenti e poi a Cloe, che cosa sono le ombre. Traghettata dall’uomo, simile e mentore, la protagonista affronta un inedito percorso esistenziale popolato di apparizioni, diretto al cuore della ferita originaria che è stata il principio di ogni fuga e combattimento. Dare senso al pensiero vorrà dire dargli ombra, come recitano in epigrafe i versi di Paul Celan.
Per Pellegrino la Venezia del romanzo de La felicità degli altri è «una configurazione dello spirito», e questo spirito permea la scrittura, ricercata, perturbante nella sua forza catalizzatrice di dolori antichissimi, spaventosi perché così inevitabilmente connaturati all’imperfezione dell’essere umani – madri, figli, incapaci o mancanti d’amore. Il romanzo, ricchissimo di citazioni puntuali e illustri, è un prezioso tassello di quel che può essere definito un cammino nei luoghi e nel sentire dell’abbandono: dopotutto, lo ricordiamo, l’Istituto Treccani ha coniato un neologismo dedicato appositamente alla scrittrice, “abbandonologa”.
La felicità degli altri offre la speranza dell’edificazione sulle macerie del passato. Pellegrino scommette sulla possibilità di riconoscersi e quindi salvarsi, restaurare se stessi per anastilosi. I resti che si scoprono, che si ritrovano, e che necessariamente si conservano: rovine che ricostruiscono le rovine.