Alba de Céspedes
Comma 22

Ambizione e labor limae. Alba de Céspedes autrice Mondadori



Prosegue la collaborazione di Limina con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, una serie di approfondimenti sui percorsi editoriali di alcuni degli autori di punta della casa editrice. Nomi e firme che ricorrono e che delineano un percorso importante, quello al centro della mostra digitale Il cam(m)ino dell’editore – Storie di Arnoldo Mondadori a Meina, visitabile sul sito della Fondazione. Il nuovo capitolo del viaggio nell’archivio Mondadori è dedicato ad Alba de Céspedes e al suo inedito carteggio con la direzione della casa editrice tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta.

***

Alba de Céspedes non è stata solo una grande autrice e intellettuale, ma è stata anche un’autrice ambiziosa. E, considerato il suo essere autrice e non autore, segnalare questa sua caratteristica è tanto più importante, affinché non si cada nel facile inganno di relegare la scrittura femminile a letteratura di rango inferiore in quanto dettata dalla passione e senza studio. Dietro le sue parole ci sono, infatti, grande cura e impegno: lo dimostrano l’attenzione per i propri scritti, l’intelligenza, la capacità di avere sguardo lungimirante sulla letteratura del suo tempo come collaboratrice editoriale e anche molte delle sue dichiarazioni, come quel «Qui […] si dice “la più grande scrittrice del mondo si chiama Alba de Céspedes”. Non è che io ci creda ma, in ogni caso, sono decisa a diventarlo» scritto nel 1957.
Alla luce di ciò, è tanto più utile conoscere a fondo i rapporti che l’hanno legata al suo editore almeno per due motivi: perché Arnoldo Mondadori, con il tempo, le diventa amico, aspetto che corre parallelamente all’essere il suo editore e che non gli è sovrapponibile, ma anche perché il lavoro in casa editrice è un lavoro non sempre coerente alla creazione artistica e che, anzi, con essa può entrare in conflitto, influenzando irrimediabilmente l’opera finale.

Come per ogni relazione, anche per Alba de Céspedes e casa Mondadori (nelle persone di Arnoldo e Alberto) si può segnalare una data di inizio: l’apertura si ha nel 1937. De Céspedes ha già all’attivo quattro pubblicazioni degli anni 1935-1937 con gli editori Maglione e Carabba, ma non si ritiene affatto soddisfatta del loro andamento – si prenda questo come un primo segno della cura e dell’attenzione che l’autrice avrà sempre per i suoi scritti. Quell’incontro che porterà alla prima edizione mondadoriana, nell’autunno del 1938, di Nessuno torna indietro segna una svolta che renderà Alba de Céspedes autrice e collaboratrice Mondadori, attraverso le letture e i consigli che le sono richiesti, legando inscindibilmente il proprio nome a quello della casa editrice.

«Il successo di Nessuno Torna Indietro in Germania pone la Vostra opera al di sopra di ogni precedente letterario editoriale e Vi colloca fra i primissimi posti della letteratura internazionale. […] Consentite, cara Amica, che io vi rinnovi le congratulazioni mie più sincere e l’augurio che eguale fortuna arrida alle Vostre nuove opere. Io ne ho la certezza» scrive Arnoldo Mondadori il 1 dicembre 1940, quando la fama di de Céspedes è solo ai suoi inizi. Ma il Direttore ha occhio: infatti, difficilmente si troverà tra gli autori italiani del tempo qualcuno con un tale successo di pubblico internazionale come la Contessa.

Alba de Céspedes

La crescente celebrità dell’autrice non si arresta neanche con il romanzo del 1949, Dalla parte di lei: «nessun scrittore italiano ha raggiunto in pochi mesi un risultato migliore, ivi compresi Moravia, Vittorini, Piovene, Brancati ecc» le scrive Alberto Mondadori nel febbraio del 1950. E così sarà anche per i successivi altri, in particolare Quaderno proibito e Rimorso.

Il segreto dell’immediato successo dell’autrice sta certamente nella capacità narrativa e in particolar modo nella caratterizzazione dei suoi personaggi. Ma la sua scrittura è anche ricca d’impegno nel voler affrontare i «problemi della coscienza dell’uomo moderno», come scriverà lei stessa più avanti, segnalando quanto le sue storie non siano mai solo puro svago e intrattenimento, e che forse è proprio questo il motivo reale che le permetterà di essere letta e di vendere così tanto. A ciò si accosta un grande labor limae, che la fa soffermare più e più volte sulla pagina, applicando continue correzioni, aspetto che infatti non le permette di pubblicare molto. Con lucidità e grande consapevolezza di sé, scrive il 10 febbraio 1955:

«Rifaccio ogni pagina sei sette volte, valuto aggettivo per aggettivo, rileggo, correggo, e ogni volta che Verona riceve le bozze gran parte di esse è addirittura da ricomporre. Non so fare altrimenti, perché tento che ciò che scrivo abbia quello che Gide chiamava “uno spessore”, che dietro i fatti raccontati cioè, il lettore possa intravvedere tanti altri fatti che non sono scritti e che tuttavia hanno suggerito quelle idee. […]
Invece, nella leggenda, chi sa perché, forse proprio per questa lunga opera di dissimulazione, io sono la scrittrice che scrive velocemente alla macchina senza neppure rileggere. (A macchina non so scrivere neppure una frase, neppure una battuta in una sceneggiatura). L’immagine di questa donna che scrive velocemente come un virtuoso suona il pianoforte, non mi somiglia affatto, e tu lo sai. Sai che, nonostante gli imperativi telescritti, la rubrica mi costa un giorno e mezzo di lavoro.»

Progressivamente, nel corso degli anni Cinquanta, proprio in virtù del gran numero di vendite che il suo nome è in grado di assicurare, Alba de Céspedes ci tiene sempre di più affinché venga tenuta in conto dal suo editore non come autrice di successo ma come autrice di qualità. Si infittiscono i carteggi con Arnoldo e Alberto, ma anche con altri membri del Consiglio d’amministrazione, come Mario Cimadori, o con il direttore di Epoca Enzo Biagi, in cui la Contessa avanza delle richieste. Si chiede all’editore più attenzione nella pubblicità – «Una buona regola pubblicitaria è quella di spingere il prodotto che va ed io ho la certezza che alla Mondadori – nel campo naturalmente della narrativa d’arte – non vi sono libri che “vanno” quanto i miei. Mi pare che dall’ultimo elenco fatto con l’Ufficio Traduzioni vi siano 74 contratti firmati. […] Non crede, dunque, caro Cimadori, che varrebbe la pena di seguire questi libri un po’ più da vicino data anche la considerazione che essi riscuotono dalla critica internazionale?» – ma anche più cura nella selezione delle copertine e compensi più alti in virtù della qualità del suo operato.
E per quanto, dopo così tanti anni di lavoro fianco a fianco e di reciproca stima e affetto, la Mondadori sia considerata da Alba de Céspedes la sua famiglia, «anche in famiglia bisogna chiarire certe cose».

Arnoldo Mondadori fa il possibile per accontentare la sua amica e autrice di punta, ma il possibile talvolta non è abbastanza: «Tu sai che cerco sempre di accontentarti, nei limiti del possibile, ma non devi, appunto per questo, chiedermi l’impossibile. A poco a poco, se mettessi in contratto ogni nuova richiesta, non resterebbe più, a me editore, alcuna libertà d’azione. E il risultato di cinquant’anni di attività editoriale sarebbe di essere diventato un… semplice tipografo!»

Alba de Céspedes

D’altra parte, come spesso la stessa autrice sottolinea, il denaro non è da lei richiesto per cupidigia o come prova della sua bravura, a conferma narcisistica, bensì rappresenta uno strumento necessario affinché ella possa continuare a dedicare il suo tempo alla qualità delle proprie opere. E, pur certa della buona fede della casa editrice, dinanzi alle risposte negative o che tentano una mediazione con quelli che sono i compensi realistici e le possibilità dell’industria del libro, Alba de Céspedes non può che tristemente constatare che «nonostante l’attuale rispetto delle leggi sul diritto d’autore, le condizioni che oggi vengono offerte agli autori che pure hanno molto successo non sono molto diverse da quelle che condussero il povero Salgari a finire suicida per miseria in un bosco presso Torino».

Avvicinandosi agli anni Sessanta, si leggono sempre più di frequente nelle lettere dei riferimenti al fatto che «non bisognerebbe mai essere troppo sicuri della fedeltà di un autore», manifestando il proprio scontento. Ma de Céspedes non lascerà casa Mondadori, e la stima provata per Arnoldo e per il lavoro che ha costruito in tanti anni non verrà a mancare. Si legge in una lettera del 16 novembre 1957:

«Sei un grand’uomo, caro Arnoldo, e la tua grandezza dipende in gran parte dal fatto di non rendertene conto. Ricordo che Thomas Mann mi domandò una volta se i suoi libri ed il suo nome erano conosciuti in Italia; alla mia risposta, che puoi immaginare quale fosse, si volse rallegrato e insieme stupito a sua moglie per dirle svelto svelto in tedesco, sperando che io non comprendessi: “Alba dice che io sono molto conosciuto in Italia”. Lo stesso accade quando tu, certe volte, mi domandi con commovente candore che cosa si pensa della tua opera. Quella domanda di Mann ed anche la tua sono la chiave segreta del vostro carattere e, come ho detto, del vostro successo (posso aggiungere che lo comprendo molto bene forse perché è la stessa del mio?).»

Sarà solo a partire dal 1960 che i rapporti inizieranno davvero a diradarsi. La causa scatenante si può individuare proprio in una scorrettezza dei modi che le sono stati riservati, a lei, proprio a lei che non solo è una collaboratrice e un’autrice di punta, ma è anche una grande amica dei Mondadori. La collaborazione con Epoca, settimanale di politica edito dalla casa milanese ospitante una rubrica fissa dell’autrice per quasi otto anni, le viene troncata senza alcun preavviso.

Alba de Céspedes non smetterà di ripubblicare in nuove edizioni le sue opere né di consegnare alla casa editrice nuovi manoscritti. Avrà però la consapevolezza che i bei momenti vissuti con affetto e il rapporto intimo e personale avuto con Arnoldo e Alberto, in anni che non sono poi così lontani ma che appaiono tali, sono cessati per sempre. Ormai la Mondadori sta acquisendo altre sembianze e all’autrice non resta che avere una fede:
«Non ho mai concorso a premi letterari, dopo il Viareggio del 1939, non assegnatomi per motivi politici. Non tengo ad avere, io, un premio oggi; spero che tra cent’anni il tempo lo assegni magari a uno solo dei miei racconti».



Illustrazione di copertina: Giorgia Merlin