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L’ombra del segno: una conversazione con Benjamin Lacombe



La sala conferenze di L’ippocampo Edizioni è una stanza ariosa, con ampie porte finestre che affacciano sulla vigna di Leonardo, a due passi da Santa Maria delle Grazie, a Milano. L’illustratore francese Benjamin Lacombe è seduto sul divano Chesterfield. È in una posa un po’ obliqua, sul lato sinistro, accomodato tra lo schienale e il bracciolo. Indossa una camicia decorata con motivi orientali, di un blu elettrico. Ha un’aria serena e ben disposta. Al momento del mio arrivo è impegnato in un’intervista. Il suo lavoro si ispira al mondo delle fiabe, ai racconti per bambini e ragazzi ma anche ai classici della letteratura. È un disegnatore molto apprezzato. Aspetto qualche minuto fuori, nei pressi di un tavolinetto da giardino, dove conosco intanto Sébastien Le Noel, l’editore, che mi farà da interprete – essendo lui di origine francese. L’ippocampo è una casa editrice indipendente a conduzione familiare, specializzata in volumi dall’altissima qualità grafica, arricchiti dai disegni di autori internazionali e da una impaginazione molto curata. L’idea che anima il loro lavoro è di portare sul mercato italiano libri con una solida linea editoriale, per dare spazio alle matite e ai colori di artisti talentuosi. Il catalogo spazia tra testi di arte culinaria, design e fumetto, ma ciò su cui ci si concentra maggiormente è proprio l’illustrazione: dove l’abilità interpretativa del disegnatore si fonde con il testo letterario. L’oggetto della nostra conversazione con Benjamin Lacombe, infatti, è il bel volume Storie di Fantasmi del Giappone, L’ippocampo, Milano 2021, che va proprio in questa direzione. Sfogliandolo, oltre ad apprezzarne il rivestimento pregiato, si resta impressionati dall’eleganza delle figure che compaiono sulle pagine, vere e proprie visioni da un altro mondo.
Sono un po’ emozionato.

Benjamin

Benjamin, ti chiederei di raccontarmi come nasce questo progetto editoriale.
Ho sempre avuto una fascinazione per il Giappone, per il mondo orientale. Questo libro in realtà è uscito due anni fa in Francia. È curioso che il mio primo lavoro in assoluto sia stato una bande dessinée incentrata sulla storia di un fantasma giapponese. Sono poi tornato spesso sul tema del Giappone, con Madama Butterfly, per esempio. Ciò che mi affascina sono questi personaggi, gli yōkai (i demoni della civiltà giapponese) che si ritrovano nel cinema di animazione di Hayao Miyazaki… e colui che ha raccolto e raccontato le leggende giapponesi è stato proprio Lafcadio Hearn, che è poi diventato eroe nazionale, una sorta di Grimm giapponese. Ha sposato la figlia di un samurai e ha preso un nome giapponese. Ora la sua dimora è diventata un museo. La sua figura mi ha molto incuriosito, è stato il primo a portare in Europa la complessa tradizione del folklore giapponese. Un percorso avventuroso e unico quello di Lafcadio Hern. Mi sono molto ispirato, per la progettazione di questo libro, alle prime edizioni dei suoi testi. Ho voluto che ci fosse un richiamo esplicito nei rivestimenti, nella fattura e nel pregio dell’edizione.

È da diverso tempo che il tuo lavoro si concentra sull’illustrazione fantastica, destinata a un pubblico di bambini e ragazzi…
Non faccio solo libri per bambini, in realtà i Fantasmi del Giappone non è un libro per bambini. È stato pensato come un libro con diversi piani di lettura, ispirato direttamente alle prime edizioni dei testi di Lafcadio Hearn. Ho lavorato molto sul colore, sui camaïeu di blu e magenta, per raccontare il crepuscolo, il momento di passaggio in cui compare il fantasma.

Benjamin

A proposito di transizione, in La storia di Ito Norisuke la sposa fantasma dona al giovane samurai una pietra porta inchiostro, come pegno del loro amore. È il simbolo del legame fra due amanti attraverso molte vite: forse proprio la letteratura, insieme col disegno, riescono a passare da una vita all’altra, a farsi tramite. Sono gli oggetti della “soglia”, tra il passato e il presente e dunque in grado di generare un futuro.
L’inchiostro rappresenta la vacuità delle cose, la pietra è vuota in realtà… non si può scrivere se manca la materia prima. Come nell’amore, la storia d’amore tra il samurai e il fantasma non può funzionare perché a un certo punto viene meno la fiducia fra i due innamorati. Così nel testo Taoista di Zhuāngzǐ: «Io sono un uomo, o sono una farfalla che sogna d’essere un uomo?». Questo libro gioca sull’ambivalenza tra sogno e realtà. Una pietra porta inchiostro senza inchiostro non serve a nulla, cos’è un’amore senza fiducia?

La cultura occidentale e quella orientale hanno molti punti di divergenza. Uno fra tutti: la capacità di postulare l’esistenza, di fare esperienza di reali momenti senza uno scopo particolare. La possibilità di dare importanza, direi quasi di celebrare, l’Inutile. Come illustratore quanto ti senti vicino a questa particolare filosofia? La possibilità cioè di mettere impegno e fatica in qualcosa che apparentemente non ha uno scopo preciso.
Questo è ciò che mi ha interessato lavorando a tali storie. Sono così piene di significato: tutto può essere importante nella vita, tutto è collegato! Anche gli aspetti più piccoli possono celare degli yōkai, qualcosa di molto potente e simbolico. Un semplice soffio d’aria può nascondere qualcosa di estremamente importante. Questa cultura ha imparato molto dalla natura e avvicinarsi alla loro tradizione ti permette di conoscere le cose da un punto di vista completamente differente. Già nel periodo Heian, che corrisponde grossomodo all’età di mezzo in Europa, esistevano racconti che parlavano di uno yōkai che può entrare nel corpo delle persone e causarne la morte, proprio come un virus… da queste storie c’è sempre molto da imparare!

Il periodo Edo delle celebri illustrazioni di Hokusai è pressoché contemporaneo al romanticismo europeo. Un rapporto con le immagini agli antipodi rispetto alla strabiliante semplicità dei disegni giapponesi. Le tele dei grandi pittori dell’Ottocento sono enormi se rapportate alla leggera carta giapponese. Mi viene in mente l’avvertimento del sacerdote nel racconto Il bambino che disegnava gatti: «evita gli ampi spazi (di notte). Resta nei piccoli».
Questa storia ha molti piani di lettura. Per illustrarla mi sono ispirato direttamente ai disegni di Kuniyoshi, perché è stato il maestro d’arte più apprezzato della sua epoca, specialmente per i disegni di gatti. Questa storia racconta di un ragazzo che è un avido disegnatore: disegna sempre! Riguarda il fatto che alle volte devi avere cura anche delle parti più piccole (nel disegno). Il segno di Kuniyoshi e la sua eleganza compositiva sono allo stesso tempo una filosofia e una tecnica, che permette di considerare lo spazio bianco come una parte integrante dell’intera composizione grafica. Un modo anche di vedere la vita, un’ulteriore conferma del fatto che tutto è collegato nella cultura giapponese. Nel barocco francese si disegnava dovunque, si tendeva a riempire ogni più piccolo spazio, nulla doveva essere lasciato ‘vuoto’. Nelle tavole giapponesi lo spazio bianco è già il disegno.

I disegni sono come fantasmi, compaiono nei momenti di transizione, fra il giorno e la notte… anche l’arte è nel mezzo, nello spazio tra le cose.
L’arte è interpretazione, quando disegno non cerco di riprodurre la realtà, ma di distorcerla per creare un mondo che sia l’espressione di come io sento le cose intorno a me. È la mia visione, un modo particolare di entrare in rapporto con le cose. Questa è la ragione per cui io ingrandisco gli occhi, cerco di caricare le espressioni dei miei personaggi secondo il mio background grafico e visivo. Il tuo percorso deve parlare molto di Te, di come senti il mondo circostante.

Che cosa usi per disegnare? Ti avvali di strumenti digitali oppure preferisci la carta e le matite?
Ciò che mi piace è disegnare per davvero, sulla carta. Non uso mai il digitale, se non per progettare la resa finale del libro, la sua fabbricazione. Io seguo tutte le fasi di un progetto editoriale, dalla sua ideazione fino alla stampa. Al computer creo il design, costruisco i font, imposto le dimensioni delle pagine. Ciò che mi piace del disegno è che alle volte mentre disegni fai errori, e disegnare significa reagire a questi errori: ciò che chiamiamo disegno non è che la reazione a una serie di errori. È una sorta di improvvisazione, come nel jazz.

Il tuo lavoro di illustratore segue questa tua filosofia di disegnatore. Il lavoro su carta e la cura editoriale sembra vadano in controtendenza rispetto a una cultura dell’immagine iper-realistica.
Trovo sempre che al pubblico colpisca maggiormente un disegno su carta, tangibile. Mi è capitato recentemente di sperimentare tutto questo durante una mia esposizione a Parigi. Le persone si dicevano commosse davanti all’oggetto in sé, si sentivano toccate da un disegno che si trovava lì, davanti a loro. Vedevo gli occhi dei bambini sgranarsi davanti alle tavole. La materialità e le texture della carta possono toccarti intimamente e muovere corde profonde, sia per il disegnatore che per il pubblico.
Sebastien: Se posso aggiungere qualcosa direi che c’è sempre bisogno di un equilibrio, no? Se il digitale invade la nostra quotidianità e si punta sempre di più sull’e-commerce, allora le persone avranno sempre più bisogno di tornare alla carta, di fare un’esperienza reale, con qualcosa di tangibile. La qualità è ciò che rimane, sempre, quindi bisogna investire sulla qualità. Noi facciamo solo libri illustrati e quello che poi i nostri lettori desiderano è proprio l’oggetto libro, non facciamo formati e-book per esempio. Un’altra cosa che mi viene in mente è che stiamo preparando un volume, The Art of Nasa, dove abbiamo raccolto tutti i disegni e i bozzetti che compongono e arricchiscono le campagne promozionali dell’agenzia spaziale. Quando deve presentare un progetto e raccogliere fondi per finanziare una ricerca scientifica, la Nasa si avvale di disegnatori e grafici, perché solo con il disegno si riesce a trasmettere alle persone molto più che una serie di informazioni, ma l’anima di una visione, un’idea per il futuro, qualcosa che possa generare entusiasmo e partecipazione.
Benjamin: Quando lavori a una illustrazione metti tutto te stesso, quindi produrrai nello spettatore un’emozione: è una espressione onesta, senza mezzi termini.



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