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Il Festival di Cannes tra anni ’90, film molto francesi e pessimi socialisti



Il Festival di Cannes is back. Le star americane sono tornate sul redcarpet. Siamo anche liberi dalle mascherine (raccomandate, ma ben pochi le indossano). Qualche intervento, programmato e non, per ricordarci del conflitto. Alla cerimonia di apertura, c’è stato un collegamento con Zelensky. Venerdì, giorno 4, una manifestante si è strappata i vestiti sul tappeto rosso prima della première di Three Thousand Years of Longing di George Miller con Tilda Swinton e Idris Elba. Il modus operandi ricorda quello del gruppo Femen, il fine anche: denunciare le violenze sessuali, in questo caso perpetuate dai soldati russi sulle ucraine.

Siamo quasi a metà rassegna, e si inizia a scommettere sul possibile vincitore. Tra i più acclamati, per ora, Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski, R.M.N. di Cristian Mungiu, già Palma d’Oro nel 2007, con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni e Tchaikovsky’s Wife, il biopic del regista russo anti-Putin Kirill Serebrennikov.

Dopo il momento dell’iraniano Ali Abbasicon Holy Spider, attesissimi anche Decision to Leave di Park Chan-Wook, regista culto per Old Boy (Gran Premio della Giuria nel 2004), Crimes of the Future di Cronenberg e Tori et Lokita dei fratelli Dardenne.

Ma si sa, le giurie del Festival di Cannes riservano sorprese, senza contare quanto oggi, molto più di prima, sia necessario non solo valutare la qualità ma anche l’impegno sociale, se non le quote rosa (una delle grandi frustrazioni è che ci siano solo cinque registi donne sui ventuno film in concorso per la Palma d’Oro) e altri fattori. Ci chiediamo come se la stia passando Vincent Lindon, presidente della giuria, interprete di Titane di Julia Ducurnau, vincitore di Cannes 74.

Uno dei grandi ritorni in gara è stato quello dello svedese Ruben Östlund, Palma d’Oro nel 2017 con The Square.

Il cast di Triangle of Sadness

Abbiamo visto The Triangle of Sadness. Satira sugli ultraricchi e duello dialettico, un po’ retrò, fra capitalismo e comunismo. Molto avviene durante una crociera su un super yacht, opera mondo, in cui un russo capitalista che vende concime (“I sell shit” ripete con gioia mefistofelica e noi ridiamo con lui) e cita Reagan dialoga con il capitano, uomo in crisi (noi fan di Woody Harrelson soffriamo per lo spreco) che si auto proclama marxista e legge How the World Works di Noam Chomsky, ma almeno ammette di essere un “pessimo socialista”, dati i fatti. Come in The Square anche in The Triangle una cena d’élite, in cui vengono presentati piatti dai nomi lunghissimi, diventa incubo grottesco, richiamando La grande abbuffata di Ferreri, se non la lotta di classe con ribaltamento del Parasite di Bong Joon Ho.
Nota: godibilissime alcune scene e scambi, soprattutto nella prima parte, la più convincente. Mirabile incipit sulla guerra fra i sessi, se non l’incertezza, d’ora. Una bella e sottile influencer femminista, interpretata da Charlbi Dean, così simile alla grifter Anna Delvey, cerca di non pagare il conto del ristorante chic (ed è ben felice di ricevere il menù senza prezzi), e il fidanzato, modello in crisi, reclama un’equality che non sia a corrente alternata (“Feminism bullshit” dice tra sé e ben lontano da lei). Ma lei non smette di sorridere, come se fosse in un continuo scatto Instagram. Meglio il russo capitalista che “sell shit” (lo spettacolare croato Zlatko Buric), simbolo dell’antico, o l’influencer che vive di voucher e omaggi, tanto da avere zero cash? È un mondo di apparenza che non servirà molto per la sopravvivenza, si vedrà. E tanto viene in mente Travolti da un insolito destino dell’amatissima Wertmüller.  

Cannes

Fra i francesi in gara, abbiamo visto Frère et sœur di Artaud Desplechin. Come nel suo bel La Sentinelle (1992), la trama si muove in una certa mancanza di logicità. Insomma, non bene si capiscono le dinamiche che portano la sempre lucente Marion Cotillard, attrice anche nel film, a essere in una lite furente e decennale con il fratello minore, poeta di successo e maledettamente cliché, interpretato da Melvil Poupaud. Se l’incertezza in La Sentinelle donava languore, qua, invece, mostra una non accessibilità che rischia di esasperare. Anche le scene sono tanto piene di passione, quanto di grida, reazioni melò e di dialoghi fin troppo eloquenti ed espositivi. Cotillard ha una crisi di nervi nella farmacia per colpa di un farmacista fin troppo zelante, chiaro omaggio alla Juliette Moore di Magnolia. Un film francese che mai così francese potrebbe essere. La trama è classica: una disgrazia costringe una famiglia a ritrovarsi con tutto il dramma che ne segue.

Cannes
Aftersun

Fra i film per la Settimana della Critica, segnaliamo Aftersun, debutto della regista scozzese, di base a New York, Charlotte Wells. Siamo negli anni Novanta. Un padre, che sta per compiere trentun anni va in vacanza con la figlia, undicenne, in un villaggio turistico in Turchia. Nessun glamour, siamo working class. I genitori di Sophie (Francesca Corio) sono separati e lei vive con la madre a Edimburgo, mentre il padre Callum (un magnifico Paul Mescal) è a Londra. Le vacanze iniziano male – un letto matrimoniale invece di due separati, i lavori in corso che disturbano la tranquillità in piscina, ben pochi i soldi da spendere. Ma non siamo nel realismo critico e sociale degli arrabbiati. La lente di Wells è umanissima e fluida. È la costruzione del rapporto, dolce, di un padre e di una figlia. Calum è tormentato, ma la sua sofferenza è silenziosa. Si capisce: lui vorrebbe mostrarsi per quello che non è, felice, ma ormai non può celare troppo, Sophie inizia a vedere e capire. Callum trova i suoi medicamenti nel tai-chi e nelle pinte di birra, non abbandona mai una certa ironia così oltremanica, mentre la figlia vaga per il villaggio turistico osservando un gruppo di adolescenti alle prese con le prime sbronze e amori.
Chi ha vissuto gli anni Novanta si ritroverà: la Macarena, la telecamera digitale, i R.E.M. Chiarissimo ritratto, anche, della malinconia di massa data dal tempo libero, o dal dover essere per forza felici in vacanza. Alla fine della prima, Charlotte Wells, in platea, come per tradizione si alza. Vestita di nero, con i capelli corti, ricorda Sarah Kane. Timida, riceve un lunghissimo applauso. Meritatissimo.

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