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Alida Valli, i cento anni di un’attrice da riscoprire



Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg, un nome – anzi un cognome – lungo, difficile, imponente che subito denota le ascendenze aristocratiche di Alida, che nel 1921 nasce da madre istriana e da padre trentino a Pola. Di quelle origini aristocratiche Alida conserva il portamento, il rigore di sguardi intensi ed enigmatici, i lineamenti regali, quasi “sfingeschi” che sembrano ricondurla a un ideale lontano da quello dei canoni classici di attrice di cinematografo. Alida, che per spogliarsi del suo ingombrante e oltrepassato cognome assumerà scegliendo a caso da una guida telefonica quello di Valli, sente e sentirà fino alla sua morte una forte appartenenza all’Italia, pur avendo nel sangue la Storia e il peso – che spesso porterà in scena – di dominazioni straniere e annullamenti di identità nazionali. Non a caso, quando nel 2004 le venne offerta dalla Croazia un’onorificenza come Grande artista croata, Alida rifiutò sostenendo con fermezza e una certa durezza di essere nata italiana e di voler morire italiana.

Alida
Alida Valli e Gregory Peck ne “Il caso Paradine”

«Non ero carina, ma ero fotogenica» scriveva di sé l’attrice nei suoi diari – utilizzati dal regista Mimmo Verdesca per dar corpo a uno sfaccettato e completo ritratto di Valli nel suo documentario Alida (2020). Bellezza, fotogenia, o forse entrambe, insieme a un talento precoce e già estremamente incisivo la portarono a essere il volto simbolo del cinema degli anni Quaranta, un cinema sempre in bilico tra il servilismo e la sottomissione alle regole di regime, e il rischio di censura, in cui Valli riuscì a destreggiarsi sfruttando al meglio le occasioni che le venivano offerte. Nel classicissimo Piccolo mondo antico di Mario Soldati (1941), su cui si è scritto copiosamente, e ci sarebbe ancora da scrivere, viene assegnato ad Alida, a soli vent’anni, il primo grande ruolo da protagonista. L’attrice dice addio a parti frivole e caricaturali in commediette leggere, per dare corpo e anima a una donna coraggiosa e decisa, Luisa, che nel film di Soldati, molto più che nel romanzo di Fogazzaro, si afferma come emancipata e fortemente politicizzata, pronta al sacrificio fino a rischiare la propria vita. Una presa di posizione netta e necessaria che nel bel mezzo della Guerra calca la mano sull’aspetto indipendentista e sul sano sentimento di ribellione che nel corso del Risorgimento spinse i lombardi alla rivolta verso gli austriaci. Un parallelismo inequivocabile che solletica e critica neanche troppo sommessamente l’alleanza con i tedeschi. 

Alida Valli spicca il volo, viene vista dagli americani come la nuova Garbo o come la Bergman italiana, tanto da finire, dopo attente riflessioni e non pochi dubbi, a firmare un contratto con il grande produttore Selzick, contratto che Alida straccerà letteralmente nel 1951, stanca delle troppe attenzioni e mercificazioni della sua immagine a opera dello Studio System hollywoodiano. Ciò nonostante, il suo sontuoso ingresso nel cinema d’oltreoceano avviene con Sir Alfred Hitchcock, in sostituzione proprio di Garbo ne Il caso Paradine (1947). Femme fatale dal passato torbido e misterioso, napoletana d’origine, la sua Maddalena Paradine a suo modo si trova ad aprire la strada alle attrici italiane che dopo di lei raggiungeranno la fabbrica dei sogni, venendo poi relegate al ruolo di immigrate. È questa una delle interpretazioni più cupe ed epidermicamente respingenti di un’artista che mai si accontenta di ruoli copia-carbone l’uno dell’altro. Austera, determinata, impassibile e mai sottomessa dà vita a un personaggio femminile vibrante che non a caso nella filmografia hitchcockiana segue a ruota quello eroico interpretato da Bergman – corsi e ricorsi storici – in Io ti salverò.

Il ritorno in Italia è segnato dal film che la rese icona assoluta e che la proiettò verso una carriera esclusivamente autoriale. Si tratta di Senso di Visconti – «Film che ho amato molto, ma anche odiato» sosterrà la Valli –, opera che offre nuova declinazione al neorealismo, che presto scivolerà nel realismo, miscelandolo con il melodramma. La contessa Livia Serpieri, personaggio di nuovo a sostegno dei ribelli antiasburgici, perde ogni certezza nel suo “credo”, nel tentativo di vivere appieno la sua relazione con il soldato austriaco Franz Mahler. Tra decadenza dell’anima e degli ideali, oltre che la minacciosa e dilagante sete di vendetta, sorge e cade il prototipo della donna più umana di tutte e allo stesso tempo più inarrivabile: umana per le pulsioni che la muovono, inarrivabile perché una tale giunonica, sublime e veemente figura femminile, Valli non saprà più restituirla al suo pubblico.

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Alida Valli in “Senso”

E poi Bertolucci, Antonioni, Bava, Argento plasmeranno Alida Valli, il suo spirito e il suo corpo e adatteranno al tempo che passa ruoli sempre nuovi, sempre estremi e controversi nel loro spingersi costantemente verso la sperimentazione del nuovo. Ed è proprio così che la teutonica e colossale Miss Tanner di Suspiria (1977) insegnante di danza dal volto struccato, roseo e segnato dalle rughe, lascia di stucco, giganteggia sulla scena con il suo fare generalesco che mai cade nel macchiettistico; con il suo tirato e inquietante sorriso crea sgomento nello spettatore aprendo la strada alla grande entrata in scena della Madre, strega a capo della congrega.

Gli esempi sarebbero innumerevoli, e ognuno metterebbe in luce una delle sfaccettature sfavillanti e taglienti del talento di Valli, un’interprete infaticabile che non ebbe mai troppo tempo per la mondanità, e che quando fu additata e segnata dallo scandalo – presunta amante di Mussolini e compagna di Piccioni – seppe sempre affrontarlo con intelligenza e riservatezza. Si potrebbe dire una donna e un’attrice di altri tempi, che non a caso oggi tendiamo a dimenticare, ignorando – per scarsa conoscenza o per disinteresse – che probabilmente senza di lei gran parte del cinema come lo conosciamo noi oggi non esisterebbe. Ricorre oggi il centenario della sua nascita, e se non fosse per il già citato documentario di Mimmo Verdesca, questo giorno sarebbe passato inosservato – come è capitato per Giulietta Masina e per la francese Simone Signoret. Non posso che domandarmi quale sia la ragione a monte. Una risposta l’avrei, ma forse sarebbe troppo scomoda, esattamente come scomoda per molti è stata Alida Valli l’“italiana”, la spigolosa, la riservata, e non Alida Valli la regale, l’attenta, l’artista vera.

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