Nata un anno dopo e mancata a pochi mesi di distanza dal suo amato Federico, Giulietta Masina è indissolubilmente legata al grande, geniale e immenso Fellini. Anche il centenario che cade il 22 febbraio 2021 non sta avendo la stessa risonanza: del Maestro si è parlato tanto, troppo, con largo anticipo, con festeggiamenti, eventi, ricorrenze, volumi, allestimenti di mostre che hanno segnato e caratterizzato tutto il 2020. E per Giulietta? Chi si ricorda ancora della Giuliettina – come era solito chiamarla Fellini – e del ruolo che ha avuto in un cinema in ascesa, tanto pregnante in quello del marito da ripercuotersi anche su quello di un intero Paese?
«Giulietta è un miracolo di equilibrio e determinazione», diceva Tullio Kezich riuscendo brillantemente e telegraficamente a definire la donna, l’attrice e l’intellettuale. Sì, perché c’è molto di più dell’immaginetta stereotipata che negli anni siamo stati abituati ad attribuire a Masina: il riduttivo moglie di Federico Fellini è un’estrema e immeritevole semplificazione e stilizzazione di un profilo ben più complesso e articolato, che dal 1994 – anno della scomparsa – ad oggi si è massicciamente diffuso. Se sul piano personale e privato Giulietta Masina è stata l’ancora di salvezza per Fellini nella giovinezza, colei che lo sfamava e gli dava un tetto, con gli anni si è trasformata nella più fidata e devota sostenitrice e sodale artistica di un progetto grandioso e ambizioso. Nel dramma – primo su tutti la perdita di un figlio –, la tenacia di una donna forte, rigorosa e determinata è stata la struttura portante delle relazioni, della ricostruzione e di una ripartenza che guardasse al futuro e ad orizzonti lontani.
Artisticamente, in seguito alle esperienze teatrali e radiofoniche che formano Giulietta sin dagli anni dell’università – si laurea in Lettere – si sviluppano attitudini attoriali che la rendono difforme dal canone delle attrici del momento: goliardica, clownesca, esuberante, venata da una tristezza che da impercettibile può diventare totalizzante. Giulietta sporca i movimenti e le espressioni con una facilità innata, la stessa con cui li rende signorili e candidamente seducenti. I personaggi femminili della produzione felliniana, da Gelsomina a Cabiria, da Giulietta ad Amelia, per quanto vengano cuciti su di lei, spiccano, brillano e diventano iconici – nonostante Masina e icona accostate creino un curioso e affascinante ossimoro -, grazie a un’energia saggiamente dispensata che è propria di una donna forte. Giulietta Masina, è necessario dirlo, combatté vivacemente e giocò d’astuzia perché dopo il successo de I vitelloni (1953) venisse realizzato un film che vedesse lei come protagonista, La Strada (1954), e che le permettesse di dare fondo a tutte le peculiarità del suo stile recitativo. Con Gelsomina, candida, ingenua, buffa, sgraziata e infinitamente buona, condotta lungo la sua via da una malinconia persistente e fatale, Masina arriva al grande pubblico e desta interesse nei grandi artisti che ha preso a modello: Charlie Chaplin, non a caso, dirà: «Giulietta Masina è una delle attrici che stimo maggiormente». Persino Martin Scorsese in più occasioni rifletterà sul ruolo che un personaggio come quello protagonista de La Strada ha avuto sulla sua formazione di giovanissimo cinefilo innamorato del cinema italiano.
Se Gelsomina aveva una sua complessità interiore, maggiore è quella che caratterizza Cabiria, protagonista de Le notti di Cabiria (1957), altra donna ai margini della società, controversa e provocatoria in quanto «fa la vita». La stridente combinazione tra il candore di Cabiria e il suo voler tendere a una stabilità che le permetta di farsi valere come individuo sono prova di quell’innato e naturale equilibrio che la donna sa trasferire all’attrice senza mai rischiare di renderla indifferente o soggiogata dal peso di sovrastrutture.
E da qui, dal Premio alla Migliore Attrice vinto a Cannes nel 1957, prendono vita una serie di declinazioni complesse e sfaccettate di personaggi – felliniani e anche non, si pensi a Castellani, Sordi, De Filippo, Wertmüller – che coniugano sapientemente la fisicità minuta e l’ingannevole aria naive alla prorompente vitalità e profondità di una donna scaltra e mai arrendevole.
Il sodalizio artistico tra Masina e Fellini è esempio, forse l’unico nella storia del cinema precedente agli anni duemila, di un lavoro di scrittura e di messa in scena di squadra in cui l’attrice non viene relegata al ruolo di musa del regista, ma a quello di mente attiva, partecipativa e indispensabile allo sviluppo creativo. Nonostante il nome di Giulietta compaia solamente fra il cast artistico, il suo apporto è centrale, e non a caso il nome dei personaggi femminili – Cabiria e Giulietta – occupa un posto di rilievo all’interno del titolo stesso del film. Non c’è subordinazione, ma la netta e chiara collaborazione di due co-autori che condividono una chiara e analoga idea di arte.
E l’intellettuale? Da numerose interviste si evince quanto Giulietta Masina fosse pienamente e consapevolmente calata nella società del suo tempo. Sempre attenta all’attualità e ai temi spinosi che essa presenta. Proprio per questo tra il 1968 e il 1973 le venne affidato sul quotidiano La Stampa uno spazio settimanale in cui Masina rispondeva ad alcune delle numerose lettere che gli italiani, di ogni levatura e di ogni età, le inviavano. Rigorosa, educata e attenta, con uno stile incisivo e invidiabile, la penna di Giulietta si lanciava nelle più disparate dissertazioni inerenti a temi che spaziavano dal sentimentale al politicamente scottante – aborto, femminismo, libertà sessuale. Senza mai giudicare e schierarsi apertamente aveva l’abilità di condurre, come una maestra austera, ma non autoritaria, il lettore a una riflessione ampia che scavallasse ideologie e militanze, ma che ben fotografasse la realtà degli accadimenti nelle loro sostanziali criticità.
La figura di Giulietta Masina, se vista oggi, distrattamente e superficialmente sembra aver perso smalto: stipata in un angolino della memoria collettiva che la richiama alla mente, come già ampiamente detto, solo in veste di moglie di, ha ancora molto da insegnare e da raccontare. Il suo attaccamento a valori considerati antiquati, sorpassati, può in realtà fungere da stimolo per rimettere in pista una visione critica d’insieme di ciò che la donna ha ottenuto e di ciò che si è persa per strada. L’umanità, la lucidità, la prontezza, la padronanza di sé, la gentilezza di una donna senza tempo possono e devono, a partire da questo centenario, tornare a essere chiavi di lettura di una Masina che, sì, cucinava i tortellini per il suo Federico e che agli Oscar doveva smettere di piangere, ma non solo.