«El Parque Sarmiento se encuentra en el corazón de la ciudad. Un gran pulmón verde, con un zoológico y un Parque de diversiones. Por las noches se torna salvaje. Las travestis esperan bajo las ramas o delante de los automóviles, pasean su hechizo por la boca del lobo, frente a la estatua del Dante, la histórica estatua que da nombre a esa avenida. Las travestis trepan cada noche desde ese infierno del que nadie escribe, para devolver la primavera al mundo».
«Le travestite si arrampicano tutte le notti da quell’inferno di cui nessuno scrive, per ridare la primavera al mondo.»
Le travestite vivono nell’Inferno. Un Inferno di cui nessuno parla. Che si trova a Córdoba (Argentina), nello specifico nel Parque Sarmiento. E a riportarle alla luce non può che essere Camila Sosa Villada, nel suo romanzo Las malas, “Le cattive” (traduzione di Giulia Zavagna, SUR 2021). Per addentrarci nel mondo delle travestite ci agganciamo alla letteratura primordiale, a Dante e al suo Inferno. È infatti nelle viscere oscure del Parque Sarmiento che le travestite appaiono di notte, per poi nascondersi di giorno. Come vampiri ripudiano la luce del sole, che illumina le cicatrici dei loro corpi, le indebolisce e marca le ombre della barba che cercano di nascondere. Di giorno sono punzecchiate da occhi esterni, affilati e appuntiti, pronti a giudicare ogni loro passo.

«Nos veían como cucarachas: les bastó encender la luz para que todas saliéramos corriendo»
«Ci vedevano come scarafaggi: bastò loro accendere la luce per farci uscire tutte correndo.»
Le travestite sono cucarachas, e uno di questi scarafaggi è proprio Camila, una giovane ragazza originaria di Mina Clavero che si trasferisce a Córdoba. Qui conosce le altre travestite del parco Sarmiento. L’incontro chiave è con la Tía Encarna, che si dice abbia 178 anni. Il corpo di una travestis è attraversato da molta più vita rispetto agli altri. E per questo la Tía Encarna, nella sua casona rosa, del rosa más travesti del mundo, si staglia con il suo fisico, simbolo delle continue guerre che lo hanno attraversato. Lei è la madre di tutte le travestite.
«Exageraba como una madre, controlaba como una madre, era cruel como una madre».
«Esagerava come una madre, controllava come una madre, era crudele come una madre».
A inizio romanzo è proprio la Tía Encarna che salva un neonato ritrovato in una fossa, in una zanja, luogo nascosto che preannuncia anche il destino sciagurato del corpo di ogni travestis. Da quel giorno il bambino viene accudito dalla Tía come se fosse suo figlio. Gli viene affidato il nome di El Brillo de los Ojos, lo Splendore degli occhi. Ma il destino dell’infanzia è incompatibile con la vita delle travestite, e tutte loro lo sanno più che bene. Le persone non possono accettare una Tía Encarna che porta fuori un neonato. Per questo la casa rosa diventa per loro due un rifugio, un covo dentro cui proteggersi. Ma gli occhi della società sono fatti per entrare in ogni fessura e far scoppiare quella bolla anormale, fatta di una madre che cerca di cibare un bambino con il latte di cui la natura l’ha privata.
Questo è il paese dove vivono le travestite. O meglio, dove sopravvivono:
«Si alguien quisiera hacer una lectura de nuestra patria, de esta patria por la que hemos jurado morir en cada himno cantado en los patios de la escuela, esta patria que se ha llevado vidas de jóvenes en sus guerras, esta patria que ha enterrado gente en campos de concentración, si alguien quisiera hacer un registro exacto de esa mierda, entonces debería ver el cuerpo de La Tía Encarna. Eso somos como país también, el daño sin tregua al cuerpo de las travestis. La huella dejada en determinados cuerpos, de manera injusta, azarosa y evitable, esa huella de odio.»
«Se qualcuno volesse fare una lettura della nostra patria, di questa patria per la quale abbiamo giurato di morire in ogni inno che abbiamo cantato nei pati della scuola, questa patria che si è portata via la vita dei giovani nelle guerre, questa patria che ha seppellito persone nei campi di concentramento, se qualcuno volesse redigere un registro esatto di questa merda, allora dovrebbe vedere il corpo della Tía Encarna. Siamo anche questo come paese, il danno senza tregua al corpo delle travestite. L’impronta lasciata in determinati corpi, in maniera ingiusta, imprevedibile, evitabile, questa impronta di odio.»
Le ingiustizie di un paese lasciano segni sul corpo. Guerre, abusi, pregiudizi, violenze. Il racconto delle cattive è proprio questo: corpo presentato in tutte le sue forme. È il corpo di una donna nata uomo, non accettata dalla famiglia, con un futuro da prostituta già assegnato. È il corpo di Camila lasciato per strada dopo essere inciampata, ignorandolo, come qualcosa di infetto. È il corpo di una madre non nata per essere madre, ma divenuta tale grazie all’amore di un bambino abbandonato in una fossa. In un paese in cui specifici soggetti sono visti come “scartabili”, “rifiutabili”, la loro resistenza può avvenire solo nell’alleanza creata ai margini della società. In questo caso, nella casa della Tía. Lì trovano sempre un piatto caldo e storie tanto atroci quanto esilaranti. Storie di viagra che fanno passaparola, di amiche uccise, di amori durati una notte e di altri obbligati a terminare. La loro marginalità le avvicina, il loro essere orfane di genitori che le ripudiano le unisce. Lì, in quella casa travesti in cui hasta la muerte puede ser bella. In quella casa dove anche la morte può arrivare a essere bella.
Con Camila Sosa Villada entriamo in un mondo che sembra magico, surreale, che è stato infatti definito da molti una forma di ‘realismo magico’. Ma attenzione, Camila ci avverte che non c’è magia in quello che lei scrive. Che la forma con cui parla delle travestis è il ricordo reale che lei si porta dietro. Quando Camila toccava i loro corpi, era come se fossero di un altro pianeta. Il loro arrampicarsi come animali sugli alberi, altro non è che la descrizione reale delle fughe dalla polizia, Per Camila qui niente si allontana dalla realtà, qui tutto è concreto e tangibile, qui tutte le travestis sono malas, cattive. E sono umane, non esseri fantastici. Sono il rigetto delle paure della società, massima tra tutte el ‘puto convertido en travestis’. Però le cattive vengono anche ricercate per sanare i loro desideri, per appagare quelle fantasie ritenute sconce, distorte, da nascondere. Las malas esistono e devono essere raccontate, ci fa vedere Camila. Nei segni lasciati sul loro corpo, nei figli che non possono avere, nei figli che sono stati e che non vogliono più essere.
Quelle stesse cattive che abbiamo rigettato nell’Inferno, zittite, lasciate nei fossi. Ma non appena abbiamo notato che mancava la primavera nel mondo, ecco che abbiamo pregato, affinché le loro teste spuntassero di nuovo in superficie.
Photo Credits – Immagine di copertina. Foto dell’autrice di Laura Zanotti