Oltre la Soglia

Una persona fatta male crea Problemi. Intervista a Jonathan Zenti



«Un podcast fatto male da una persona fatta male». Così recita il claim di Problemi, un podcast nato nel 2019 che in pochissimo tempo, soprattutto durante i primi tempi della pandemia di Covid-19, ha saputo ritagliarsi un suo culto, per la sincerità, il senso dell’umorismo, la capacità di riflettere sulla contemporaneità da prospettive sghembe. Quella persona fatta male è Jonathan Zenti, professionista dell’audio e della voce, che ha lavorato per molti progetti radiofonici e poi podcast, documentari sonori, audio-drammi e poi podcast nel senso che abbiamo imparato tutti a conoscere. 

Problemi

Facendo sua la lezione di Seinfeld, la meravigliosa sitcom anni Novanta in cui ogni puntata si basava sulle cose minime, apparentemente nulle, della vita (veniva presentata come un sitcom basata sul niente), Zenti prende di petto i suoi problemi con le cose della vita, i temi caldi della cultura pop o social, ma anche le questioni più intime come l’identità di genere, le radici culturali e altro. Ironia e serietà, la voce calda di Zenti, il controcanto acidulo e irresistibile della sua coscienza dalla voce metallica. Un podcast talmente ben riuscito che la casa editrice Blackie gli chiede, quasi tre anni dopo, di farne un libro: Problemi. Una guida per capire l’assurdità del presente.

Il libro parte dai temi toccati dal podcast, soprattutto quelli che hanno creato più discussione con gli ascoltatori, e li amplia, dà voce alle riflessioni ulteriori di Zenti, alle esperienze vissute da lui e da chi lo circonda, cerca di stimolare domande al lettore più che suggerirgli risposte e fornisce ai dilemmi del contemporaneo – frivoli per molti, assillanti per altri – una chiave di lettura che riesce a illuminare, mentre si ride. Abbiamo incontrato virtualmente Zenti, da fan del suo podcast e da estimatori del libro, e gli abbiamo fatto qualche domanda.

Dopo molti anni in cui hai ascoltato e dato voce agli altri con il tuo lavoro, dalla fine del 2019 hai cominciato a parlare, a raccontare in modo discreto le tue “cose”, a riflettere su ciò che accadeva nel mondo e su come il mondo lo digeriva. Cosa ti ha insegnato la tua esperienza di ascoltatore ora che sei anche una voce?
Da quando ho iniziato nel 2007 a fare lavori miei, in cui la parte autoriale era mia, ho sempre usato la mia voce come guida, non per mia volontà, perché mi piacerebbe fare quei documentari in cui non si sente la mia voce e a me spetta solo il compito di comporre il suono, ma mi sono accorto che sia ai committenti sia agli ascoltatori, la mia voce piaceva, faceva da collettore di voci altrui. Così ho sempre aggiunto delle mie esperienze personali, come nel 2013 quando ho fatto un documentario sulla crisi nel nord est partendo da una mia cartella di Equitalia (A questo punto, N.d.A.). Con Problemi la storia è cambiata due volte: la mia voce occupa quasi tutto lo spazio e poi, durante il primo lockdown, il podcast è diventato un progetto più complesso, con temi più delicati. Rimanere in ascolto però resta fondamentale per me, anche per capire cosa raccontare di mio, se raccontassi i fatti miei per un bisogno intimo sarebbe voyeurismo e non so se interesserebbe agli ascoltatori. 

Problemi – podcast e libro – cerca di porsi rispetto alle questioni dei nostri tempi, allo spirito stesso dei tempi (inclusione, politicamente corretto, sensibilità emergenti) in modo chiaro, ma al tempo sfuggente rispetto agli schieramenti inevitabili. È chiaro che le opposizioni come modo di pensiero non fanno per te.
Tutto il mio lavoro, da sempre ma da Problemi in modo particolare, è incentrato sul bilanciamento continuo tra ciò che sono perché sento di volerlo essere e ciò che gli altri hanno bisogno che io sia, è un equilibrio che si riassesta di continuo. In quello spazio si genera la questione delle posizioni, chi l’ha detto che siano solo due? Possono combinarsi anche altri elementi, altre posizioni, bisogna guardare e pensare dove non ci si aspetta. Nel libro non sono mai partito dalla fine, dalla “tesi”, ma ho seguito il percorso, reagendo al tema in sé, cercando di costruire una posizione fatta di tante posizioni diverse. Penso al tema della tossicità: non volevo definire il termine e poi giustificare il ragionamento, ma sono partito da ciò che il tema mi suscita, l’ho mescolato con esperienze e ragionamenti e alla fine è venuto fuori ciò che penso. Le dicotomie sono un modo molto ristretto di vedere le cose, m’interessa di più ciò che si può inventare mettendo insieme altre idee e opinioni.

Una cosa che rende per me particolarmente interessante questa parte del tuo lavoro in prima persona è il modo che hai di aprirti al pubblico, senza però fare mostra dei tuoi sentimenti, un pudore che si nega al narcisismo, anche quello della sofferenza, che pare sia una caratteristica dei nostri tempi. Al contempo però crea, narrativamente, un mistero magari involontario, la voglia di saperne di più di te e del tuo mondo: sei consapevole di questa reazione e come la gestisci o curi?
Questa cosa avviene sotto forma di mistero, ma anche come leggende sul mio conto, e la cosa mi diverte, a patto che non ci siano storie denigratorie. Dipende credo dalla difficoltà delle persone che ascoltano di mettere in fila le mie scelte personali, perché non corrispondono a un percorso lineare, e se manca un pezzo lo aggiungono inventandolo o lo romanzano. Il fatto è che sono sconnesso anch’io, non sono sempre consapevole delle mie scelte e non credo ci sia un percorso dietro di esse. Per esempio, una delle leggende nate sul mio conto riguarda il mistero sul modo in cui mi sostengo, ossia come fa a campare a quarant’anni se fa scelte che vanno contro una logica della stabilità lavorativa, se prende vie poco conformiste dentro il mercato? Semplice: non ho una famiglia, ho scelto di non averla per potermi permettere queste scelte e abito con dei coinquilini. Molti però preferiscono creare storie, anziché accontentarsi di una realtà più semplice.

Il libro parte da elementi, temi o stralci del podcast e amplia le riflessioni o confessioni che fai: tanto nel podcast paiono spontanee quanto nel libro si sente il lavoro del pensiero, a freddo, per esempio nel passaggio molto bello sulla tua idea di rivoluzione industriale. Quanto è stato faticoso, se lo è stato, il lavoro di scrittura? Hai dovuto fare un cambio di atteggiamento particolare?
C’è una questione di familiarità col mezzo e col prodotto finale, trattandosi in entrambi i casi di scrittura. Il podcast è spontaneo perché da anni lavoro sul come farlo apparire spontaneo, per esempio tramite la tecnica di lettura, mentre un libro è la prima volta che lo scrivo, certe difficoltà le affrontavo per la prima volta. Problemi libro nasce dal tenere traccia delle conversazioni con gli ascoltatori, quindi la sorgente è diversa, ma poi nella scrittura ho pensato che non dovessi fare semplicemente il passaggio dalla forma audio a quella scritta, mi sono ritrovato davanti la fisicità del libro, mentre scrivevo capivo che quel che stavo digitando sarebbe rimasto sul foglio, mentre il podcast va via, scivola, nonostante siano reperibili in ogni momento. Il libro ha ancora un peso, un’importanza, penso ai miei genitori che ne hanno comprate cinque copie a testa da regalare in giro. Ho sentito forte anche la responsabilità della scrittura, una sorta di rapporto più serio con il libro come oggetto, anche per quanto riguarda pianificare le frasi, i paragrafi, i collegamenti: l’ho vissuto anche come esplorazione, perché sentivo che quello che stavo scrivendo si sarebbe depositato per un bel po’. Se sbaglio un podcast, posso porvi rimedio alla puntata seguente, qui prima di fare un altro libro passerà minimo un anno.

In questo momento in cui tutti fanno o vogliono fare un podcast, o perlomeno lavorare con la voce, quali pensi siano le potenzialità inesplorate di questo mezzo di espressione? Hai idea di dove stia andando? E dove vorresti andare tu?
Ho cominciato a occuparmi seriamente di podcast dal 2010 e ho avuto l’occasione di vivere l’ultima zampata del movimento Radio Revolution, un movimento di audio indipendente partito dagli Usa nel quale le cose che venivano fatte fuori dalla radio tradizionale erano più interessanti di ciò che venivano fatte dentro; da lì deriva tutto il fenomeno del podcasting che nasce come movimento indie fino al 2014 quando è esploso Serial, il podcast che ha fatto diventare il fenomeno mainstream. È così che è iniziata l’industria del podcast. Per me e per altri che hanno creato il proprio stile e interesse nella Revolution, sarebbe importante – e ci stiamo impegnando per farlo accadere – che l’audio diventasse un’industria culturale, come la musica, l’editoria, è importante per le professionalità di chi ci lavora; di contro, bisogna accettare che dentro l’industria ci possa essere di tutto, devono esistere i biscotti del supermercato per far cercare al pubblico il biscotto artigianale. Quando tutti smetteranno di aver voglia di fare i podcast, ci dovrebbe essere una situazione per cui i motivi per farli siano ancora tanti, a livello editoriale ed economico; e poi, lì dentro ci deve essere spazio per le cose inaspettate, è questo ciò che manca, perché ovviamente sull’onda dell’entusiasmo tutti vogliono fare ciò che sentono e che già esiste, mentre, anche per il costo relativo e la tradizione breve che non impone troppe regole, bisogna fare esperimenti, prove, uscire dalla standardizzazione. Mi piacerebbe andare verso una direzione di ricerca e sviluppo del mio lavoro che possa essere economicamente sostenibile, che mi permetta di essere stabile, vorrei che Problemi diventasse uno spazio per affrontare temi che non si trattano altrove. E poi mi attraggono molto le collaborazioni, perché come ricerca e forma credo di aver raggiunto un punto solido, mi piace perciò mescolare ciò che faccio con altri, sia nel mio stesso ambito, ma anche in altri settori: per esempio, ora sto lavorando a un progetto che triangola audio, progettazione visiva con lo studio Fludd di Torino e Yoko Yamada, una stand up comedian. Ci stiamo divertendo e il progetto credo sia piuttosto bello.





Photo credits
La copertina del podcast Problemi è realizzata da Cecilia Grandi
Le immagini del libro Problemi sono di proprietà di Blackie Edizioni