Oltre la Soglia

«Ti dirò Gerry, non è tutto buio». Roger Waters e The Dark Side of the Moon Redux



Roger Waters realizza l’impossibile. Per decenni ha percorso corridoi senza luce, guidato solo dall’ottimismo che la musica sa creare quando riesce a diventare fotosintesi artistica e a trasformare l’esistente in nutrimento. Lui lo ha fatto andando a pescare nella propria storia personale, e quando ha trovato il lato oscuro della luna ci ha girato intorno, ha abbracciato la vecchiaia (80 anni compiuti il 6 settembre scorso), ha osato e non si è eclissato: anzi è risalito a un album poco noto, la colonna sonora di Obscured by Clouds (sempre lì, guarda lui, dove la foschia non è un muro invalicabile, ma l’energia per superare l’ostacolo), utilizzando il testo della canzone Free Four per un innesto narrativo efficace e capace di andare verso le radici del capolavoro floydiano, l’album che ha segnato più di un’epoca, semplicemente perché ne ha definite tante con un risultato artistico che esula dal contesto in cui nacque, ovvero la musica popolare. 
Lì, nelle azioni del giovane uomo, ha trovato i ricordi dell’uomo anziano. Ma non vecchio. Così ha ritrovato la chiave, ha aperto la Grande Piramide Rock, una delle vette creative della civiltà umana, The Dark Side Of The Moon, uscito nel 1973, registrato nel 1972 ad Abbey Road, London Town. Dove ha registrato anche questa nuova versione che ha significativamente intitolato Redux, per rispetto ai compagni di allora e a una visione giunta proprio in quella musica e in quei testi a un’unità di intenti mai avuta prima e mai più toccata dopo (nonostante altri grandi album pubblicati).

The Dark Side of the Moon Redux

Lasciatemi fare un balzo al settembre 1992, quando a Milano incontrai Roger per un’intensa intervista dedicata al suo album solista più amato, Amused to Death. Perché questo mi è venuto in mente ascoltando Redux. Ovvero un uomo con una missione, essere testimone di se stesso per non temere il ruolo che gli abbiamo assegnato allora, ovvero quello di interprete e voce della nostra vita fatta di frammenti psichici, conflitti irrisolti, pressioni insopportabili, conflitti personali e conflitti sociali. Perfect Sense, cantava allora. E ha ancora un senso perfetto. Waters non ha mai celebrato il glorioso passato, il successo planetario: lo ha utilizzato per tenerci vivi, per domandarci – titolo del suo ultimo album solista – Is This the Life We Really Want? Un vero leader artistico e filosofico che ha creato una scuola ben riconoscibile della musica britannica, dove in grande evidenza abbiamo da trent’anni i Radiohead a condurre questo discorso verso gli interrogativi del presente e l’assenza di risposte di un futuro che non sappiamo immaginare.

Redux in Latino significa “che fa rivivere, che ristabilisce”. È come se, dopo averci donato lo scorso anno una versione di Comfortably Numb che è al livello dell’originale, Waters abbia riflettuto sulla propria legacy che porta in tour da quando amaramente finì la storia col marchio Pink Floyd (rimasto tale, senza contenuti significativi ulteriori dopo The Final Cut del 1983). E torno a quell’intervista: «Negli anni Ottanta andavo in tour e avevo difficoltà a riempire le sale, non potevo suonare le canzoni che avevo scritto per i Pink Floyd e la band, senza di me, attraeva folle oceaniche grazie a quelle canzoni». Una frustrazione che, ricordo bene il suo volto nel raccontarlo con candore e sincerità, sembrava essere diventato il carburante per riflettere e nel tempo rivedere un catalogo di canzoni e di narrative impareggiabili come quello che aveva contribuito a creare tra il 1967 e il 1983. I tour del nuovo millennio sono lì a dimostrarlo. Roger Waters ha seguito l’arco narrativo della propria vita consacrata all’arte di abbattere muri, dopo averli descritti, alla ricerca della luce oltre il cielo offuscato dalle nuvole, all’attesa della fine dell’eclisse per capire perché «c’è qualcuno nella mia testa ma non sono io», come cantava in The Dark Side of the Moon, parlando di tutti noi.

The Dark Side of the Moon Redux

The Dark Side of the Moon fu la prima “opera” dei Pink Floyd a vederlo autore solitario di un “libretto” minimalista, per un’opera che ha orientato e influenzato ogni Arte; un’opera poetica perché sa raccontare chi eravamo e chi siamo, svolgendo un film di parole e creando con la musica una forza evocativa che sembra provenire dallo spazio profondo: come noi, è fatto della materia delle stelle. E se allora come oggi il lato scuro della luna è la spirale degli opposti, un Us & Them che ondeggia senza appigli e reti di protezione culturale nuove e adatte a questa umanità, l’oscillare di una civiltà sempre più preda ad ansia, stress, conflitti, bene, Redux significa allora anche provare a “ristabilire” un punto di ritrovo e di partenza per una civiltà che non riesce a ricomporsi. Durante quell’intervista del 1992, Roger mi disse che Perfect Sense era nata durante le session di The Final Cut e che proprio come in The Dark Side of the Moon poeticamente aveva cercato un’origine:

«La scimmia sedette su un mucchio di pietre
Osservando l’osso spezzato che stringeva in mano
In tutta la terra si udirono le melodie di un quartetto viennese
E allora la scimmia rivolse lo sguardo alle stelle
Pensando, la Memoria è un’estranea e la Storia è per gli idioti
Poi ripulì le mani in una pozza di sacre scritture
Girò le spalle al Giardino e si incamminò verso la città più vicina» 

The Dark Side of the Moon Redux

Waters non doveva ristabilire proprio nulla, ha semplicemente proseguito il suo percorso e quando il cerchio si chiude ritrovi i tuoi segnavia. Ha registrato nuovamente parole cantate mille volte sul palco dal 1972 a oggi, per ricordarci le sue incisioni rupestri, bagliori poetici e visioni che si uniscono fino a essere concetti palpabili, versi in grado di cablare un sistema espressivo e trasformare il cortocircuito contemporaneo in una musica dotata di quella voce riconoscibile che ha reso, per esempio, migliore la mia vita. Redux non è un album scuro, ma la narrazione di tutto ciò che sta nel principio della vita stessa. È l’invito a vivere, dando un nuovo impulso agli indimenticabili versi di apertura di Breathe: «Respira, respira all’aperto/ Non temere ciò che provi/ Parti ma non lasciarmi/ Guardati intorno, scegli il tuo posto (…)/ E tutto ciò che toccherai e vedrai/ Sarà la tua esistenza».
Ascoltatelo alla fine di Eclipse. Roger risponde a Gerry, ultima voce ascoltata alla fine di The Dark Side of the Moon dire quell’indimenticabile «è tutto buio». Cosa risponde Waters a Gerry nel 2023? Ripartite dal titolo di questo articolo. Il cerchio si è chiuso.




In copertina:
Dettaglio della cover di The Dark Side of the Moon Redux