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The Passenger – Spazio, tra scienza e fantasia



Da quando ho cominciato a studiare astrofisica la domanda che ho ricevuto più spesso da parenti e amici è stata «Ah, ma quindi vuoi andare sulla Luna?». Al di là dell’aspetto per me altamente ironico della faccenda – io, che arranco nelle salite sui colli bolognesi, superare tutti i test fisici per diventare un’astronauta! – la domanda apre una prospettiva interessante sulla visione che i non addetti ai lavori hanno dell’universo: la prima ragione per cui studiare lo spazio cosmico è il progetto di esplorarlo

the Passenger

L’ultimo numero di The Passenger, la rivista della casa editrice Iperborea che finora ha dedicato reportage e articoli a diversi paesi della Terra, ha scelto come tema del suo ultimo numero proprio lo Spazio: un’operazione che, all’occhio dei miei parenti, sembrerebbe quasi avallare la visione del cosmo come un terreno raggiungibile e accessibile per persone particolarmente dotate, solo un po’ più distante dell’Antartide o dell’Australia.
L’approccio è ovviamente molto più articolato: le narrazioni e i reportage che costituiscono la raccolta raccontano lo Spazio in quanto agente fondamentale nella storia e della politica della Terra e costituiscono un tassello fondamentale per capire la complessità del nostro presente. La corsa allo Spazio non è un fenomeno scientifico e dice invece moltissimo sugli equilibri politici e sociali contemporanei: di conseguenza, riguarda tutti.

La rivista tocca tre temi fondamentali – i viaggi sulla Luna, la colonizzazione di Marte e la ricerca di vita extraterrestre – che vengono analizzati con una prospettiva trasversale. Da Elon Musk ai laboratori del Gran Sasso, passando per la Guerra Fredda e per i più recenti progetti di sfruttamento del suolo lunare, i punti di vista di giornalisti, scienziati e scrittori convergono verso una domanda comune: saremo in grado di non replicare nello Spazio le dinamiche di potere e sopraffazione che abbiamo già usato sulla Terra?
La pluralità di prospettive è particolarmente interessante nel caso del dibattito sulla vita extraterrestre. Jo Marchant, giornalista scientifica, firma un pezzo sulla nascita dell’astrobiologia, la recentissima disciplina che si occupa di cercare forme di vita o ambienti favorevoli alla sua formazione nello Spazio. Lo stesso punto focale viene affrontato in Primo contatto, reportage del giornalista Ross Anderson sulla visita al radiotelescopio Fast, costruito nel sud della Cina allo scopo preciso di individuare eventuali tentativi di comunicazione da parte di civiltà aliene. 

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The Passenger – Spazio

In Primo contatto scienza e immaginazione si intrecciano e le possibili conseguenze di un contatto con entità extraterrestri vengono elencate dallo scrittore Liu Cixin, autore di una fortunata saga fantascientifica sul tema. L’immaginario viene quindi chiamato in causa per analizzare un problema scientifico ed emerge chiaramente la sensazione che il confine ancora troppo sottile tra scienza e fantasia, che ammanta alcuni rami della ricerca astrofisica, sia la ragione per cui fatichiamo a dare dignità scientifica ad attività quali la ricerca di vita extraterrestre. Si tratta tuttavia di un pregiudizio, come spiega Marchant: tutta la ricerca scientifica si basa su speculazioni e la probabilità di captare un segnale alieno con un radiotelescopio gigante non è troppo diversa da quella di intercettare onde gravitazionali con un interferometro.
Accettiamo la seconda situazione molto più facilmente della prima perché rifiutiamo di vedere il legame sottile tra scienza e fantasia: ci rassegniamo sempre di più a un mondo settoriale e angusto e ci dimentichiamo che tutta la scienza è nata da uno sforzo di immaginazione. Lo Spazio sfida questo limite e ci costringe ad accettare una commistione tra discipline, un luogo in cui scienza, politica e letteratura possono incontrarsi e influire sulle rispettive capacità di dare forma al mondo.

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The Passenger – Spazio

Sulla capacità narrativa della scienza e sulla facilità con cui la ignoriamo riflette anche Andri Snær Magnason. In L’asteroide siamo noi lo scrittore islandese sottolinea il paradosso per cui la nostra massima distanza dal firmamento è stata raggiunta proprio nel momento in cui le nostre tecnologie permettono una conoscenza del cosmo inimmaginabile fino a pochi decenni fa: l’inquinamento luminoso e la frenesia della vita contemporanea escludono qualunque relazione individuale fra l’uomo e l’universo, relegando la comprensione dell’infinito a un generico e astratto insieme di formule incomprensibili ai più e ammantando la figura dello scienziato di un’aura di mistero e sospetto.
In quest’ottica, il numero di The Passenger dedicato allo Spazio suggerisce non tanto la possibilità di considerare l’universo come un terreno di espansione e conquista, ma piuttosto l’urgenza di imparare a essere cittadini del cosmo. Non possiamo più permetterci di restare inermi davanti a ciò che non capiamo ed è necessario uno sforzo artistico e immaginativo per abbracciare la complessità e il futuro.

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