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Cosa ne sarà del teatro? Intervista ad Andrée Ruth Shammah

Il Teatro Franco Parenti è uno dei cuori pulsanti della rete teatrale milanese, una fucina di talenti, di creatività, di nuove idee, di sperimentazione, un luogo dove si infrangono barriere, si allargano gli orizzonti, si sogna, si impara e si progetta il futuro. Come tutti i teatri, i cinema, le sale da concerto e i luoghi di cultura, è stato colpito da questa seconda chiusura imposta dal DPCM del 25 ottobre 2020, ma la direttrice del Teatro Parenti Andrée Ruth Shammah non si perde d’animo e continua a pensare al futuro senza mai perdere di vista la gravità dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. L’importante è reinventarsi e trovare un modo per far vivere e circolare la cultura, fondamentale in un momento storico difficile come questo.

Questa seconda chiusura era nell’aria, oppure è un’ipotesi che si è fatta strada solo il weekend del 23-24 ottobre, quando l’entrata in vigore del DPCM era imminente?
Era chiarissimo, il covid non era sparito e una seconda ondata era dietro l’angolo. I numeri erano sotto gli occhi di tutti. Proprio per questo non appena ci era stato permesso di riaprire (15 giugno) noi siamo ripartiti senza perdere tempo, in estate, abbiamo creato una programmazione che portasse subito in scena le grandi novità e che proseguisse con le nostre produzioni.

Il Parenti come ha vissuto l’ultimo weekend di apertura?
Con la consapevolezza di aver fatto bene a muoverci in anticipo. La notizia della chiusura non era certamente quella che avremmo voluto sentirci dare, ma, nonostante ciò, siamo stati contenti e soddisfatti dei risultati raggiunti. Abbiamo assistito al debutto di Pandora di Riccardo Pippa, portato in scena Opera Panica Extralarge di Jodorowsky, riavuto Filippo Timi con Promende de santé. È proprio lui a creare un collegamento tra il passato e quella che sarà la riapertura futura.
Siamo orgogliosi di aver fatto il nostro dovere, soprattutto avendo la consapevolezza che questa seconda ondata sarà molto lunga, forse lunghissima. Ci aspettavamo, comunque, di poter rimanere in scena più a lungo. Si sono creati parecchi equivoci: la vicenda della Scala ha influenzato negativamente l’opinione riguardante i teatri e la loro sorte. Credo che a questo punto si debba prendere una decisione seria: è chiaro che non si riaprirà a novembre, ma andrà definito una volta per tutte se si dovrà smettere di fare teatro, o se si potrà continuare a farlo con e nonostante il covid.

Lei è stata la prima firmataria di una lettera rivolta a Giuseppe Conte in cui spiegava per quale ragione fosse sbagliato chiudere teatri, cinema e luoghi di cultura. Come è nata l’idea? Ha avuto seguito?
Non riuscivo a darmi pace, non volevo stare con le mani in mano, così insieme a Cultura Italiae abbiamo scritto questa lettera che riassumeva il mio pensiero, ma anche quello di molti altri che abbiamo parafrasato e citato. Ha avuto ampio seguito, molto più di quanto mi aspettassi: abbiamo raccolto 100.000 firme. A differenza di marzo abbiamo avuto il sostegno non solo degli artisti e degli addetti ai lavori, ma anche quello fondamentale del pubblico e di chi, pur non frequentando il teatro, comprende l’importanza e l’estremo bisogno di fare cultura che si ha in momenti così bui e difficili. Ci ha uniti la consapevolezza che chiudere i teatri non significa solo togliere agli artisti la possibilità di esibirsi, ma, molto più importante, significa togliere ulteriormente qualcosa – che può essere svago, divertimento, spunto di riflessione – a persone già provate.

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Andrée Ruth Shammah

Ci sono state differenze sostanziali tra la prima e la seconda chiusura?
Questa volta non abbiamo taciuto. Consciamente o inconsciamente abbiamo deciso di reagire senza aspettare la data della riapertura e nemmeno l’arrivo di nuove direttive. A differenza di marzo, oggi sappiamo che dal covid si può guarire e sappiamo anche che in presenza di questo virus si può comunque fare spettacolo e creare cultura. Sappiamo anche che il pubblico è presente, ci segue ed è pronto ad uscire di casa e andare a teatro, perciò bisogna progettare, organizzarsi, e pensare a quale messaggio si vuole trasmettere. Divertire, elevare, far conoscere, la cultura può fare tutto questo e deve continuare a farlo, senza mai fermarsi.

Rassegnazione sembra essere una parola lontanissima da lei e dal suo vocabolario di vita. L’ha mai provata in queste occasioni?
Sì, rassegnazione è una parola che non mi appartiene, al contrario mi appartiene la parola accettazione: accetto la realtà che ci circonda anche se cerco un modo per poterla modificare. Accetto ciò che non condivido senza rabbia, ma vado alla ricerca della forza necessaria per ripartire. C’è in me, invece, una certa malinconia, ma non credo faccia male. Esattamente come in primavera giovavo della bellezza della natura che si risvegliava, adesso beneficio della malinconia dell’autunno e della natura che si ritira per riprendere forze e poter fiorire nuovamente.

Il pubblico che ha frequentato il Parenti in questi mesi come ha vissuto il teatro? Ha rispettato le regole?
Non c’è stata nessuna forzatura o imposizione, solo un’esperienza morbida e progressiva che ha portato il pubblico a seguire le regole, a mantenere il distanziamento all’aperto e poi ad indossare le mascherine quando gli spettacoli si sono spostati in sala. C’è stata armonia e una voglia di condivisione ben superiore al pensiero di doversi adeguare a regole e adottare precauzioni.

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I Bagni Misteriosi

Ed invece quale è stata la percezione per gli attori? Come hanno vissuto il palcoscenico?
Non è stato facile. Va detto che non tutti gli attori hanno deciso di tornare in scena. Quelli che l’hanno fatto non hanno avuto alcuna paura, anzi hanno voluto mettersi in gioco e alla prova, prendere tutto ciò che di buono poteva dare un’esperienza come questa, fuori dal comune. Credo che attori, registi e pubblico siano cresciuti insieme.

Secondo lei in che modo il Governo e il Ministro della Cultura avrebbero potuto aiutare e sostenere i teatri?
Semplicemente non chiudendoli, dimostrando così di comprendere l’importanza della cultura.

Ha dei progetti che vuole realizzare, delle idee per il futuro, qualcosa a cui sta già lavorando?
Stiamo già cercando di fare le prove di alcuni spettacoli, di quelli che si prestano per essere filmati. Riprese efficaci verranno caricate sulla piattaforma di una piccola società, la Magic Box Film, e saranno fruibili a pagamento. Il mio obiettivo è comunque quello di portare avanti, anche attraverso queste operazioni, una battaglia per riaprire i teatri. È una battaglia a cui con coraggio, anche a caro prezzo, dovrebbero prender parte tutti i teatranti. Inoltre, poiché presto saremo assuefatti dalla tecnologia, mi piacerebbe fare della radio poiché evoca immagini esattamente come il teatro. Usare la voce per raccontare e mettere in moto l’immaginazione. Cosa c’è di più bello?





Immagine di copertina: Teatro Franco Parenti

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