Comma 22

Sputiamo su Hegel. Carla Lonzi, la filosofa riluttante



Carla Lonzi ha vissuto molte vite, pur in una vita piuttosto breve. È stata prima una critica d’arte, poi una femminista, una saggista e una poetessa. Ma è stata anche una filosofa riluttante che, con una formazione accademica completamente diversa, a 39 anni decide di intitolare il suo brevissimo e folgorante debutto teorico Sputiamo su Hegel, bersagliando il Filosofo per eccellenza. Oggi, a più di cinquant’anni dalla sua prima edizione, il testo è tornato in libreria per La Tartaruga, con la curatela di Annarosa Buttarelli. Il ritorno di Lonzi era più che mai atteso: dopo l’edizione di Gammalibri del 1982, pubblicata all’indomani della morte dell’autrice, l’unico modo per leggerla era scovare uno dei rari Libretti verdi di Rivolta, la piccola produzione editoriale del gruppo di Rivolta femminile. Per la sua difficile reperibilità – e anche grazie a un titolo indimenticabile – Sputiamo su Hegel è diventato un libro per cui è giusto scomodare un aggettivo spesso usato a sproposito, iconico.

Ancora oggi c’è chi si stranisce per la scelta di questo verbo così forte, alla prima persona plurale: sputare. Perché sputare su Hegel e non criticare con forza, rigettare, disconoscere? Perché un gesto corporeo così viscerale, quasi ripugnante? Un titolo del genere presuppone una cesura del dialogo, l’impossibilità definitiva di comunicazione, con una modalità del tutto estranea a quel femminismo conciliante che deve essere a misura e a beneficio di tutti a cui ci siamo abituati negli ultimi anni. Non si può fare altro che sputare di fronte a Hegel, suggerisce Lonzi già nel Manifesto di Rivolta femminile, perché per le donne non c’è dialettica né dialogo nell’universo patriarcale. E non ha senso che chi è stata storicamente esclusa da quella dinamica, sia proprio colei che si fa carico di promuovere una conciliazione. Sputo sia, dunque, perché Hegel non è soltanto Georg Wilhelm Friedrich Hegel nato a Stoccarda il 27 agosto 1770, ma è l’incarnazione di tutto ciò che Lonzi vuole lasciarsi alle spalle una volta per tutte. Nella scheda di Rivolta femminile scritta per L’almanacco del movimento femminista italiano, edito da Edizioni delle donne nel 1978, si legge che questo testo “apre una strada per chiudere tutte le altre”: ideologia, lotta di classe, cultura.

carla lonzi

Definire Carla Lonzi una filosofa potrebbe sembrare un azzardo. Come fa notare Franco Restaino, che pure la annovera fra le «avanguardie filosofiche del Novecento», Lonzi ha scritto soltanto una manciata di brevi testi teorici e che mancano di organicità, per poi chiudere la sua produzione con il “diario” Taci, anzi parla e con il dialogo con Pietro Consagra Vai pure. Anche in questo la definizione di “diario” appare quanto mai riduttiva: un mastodontico testo sperimentale, che mescola memoria, prosa, poesia, sogno e autocoscienza. Anche Taci, anzi parla finisce così con l’essere un testo dal carattere eminentemente filosofico, attraverso una retrospettiva che potrebbe essere accostata alle Confessioni agostiniane. D’altronde quella al femminismo, scrive Lea Melandri, somiglia per tutte a una conversione. Non si tratta di un’adesione ideologica, ma di un investimento totale e totalizzante della propria vita, che ti costringe a rivedere il tuo passato e ad ancorare diversamente il tuo essere al mondo.

Per Roberto Esposito, la filosofia italiana del Novecento è caratterizzata da una «integrale storicizzazione». Non una consapevolezza della determinazione storica del pensiero, quanto piuttosto di una «tendenza, tacita o proclamata, a farsi esso stesso storia o, per usare un’espressione più carica di risonanze, ‘pensiero in atto’ – inteso nel senso, insieme, dell’azione e dell’attualità». La peculiarità italiana starebbe, per il filosofo, nel tentativo di farsi filosofia, oltre che di fare filosofia, ovvero di «conferire alla filosofia i caratteri concreti della vita». Questa attitudine attraversa tutto il Novecento e sfiora anche il pensiero di Carla Lonzi, che si configura come ancora più eretico e avanguardistico rispetto a ciò che le accade intorno. Da critica d’arte, Lonzi comincia a mettere in discussione il senso stesso della critica, un “vivere nevroticamente il bisogno di conoscenza”, quando si rende conto che non tutto si può spiegare con la teoria, ma c’è qualcosa, in quell’interstizio tra vita e pensiero, che le sfugge continuamente.

carla lonzi

Questa intuizione, già presente quando Lonzi è poco più che ventenne, si cementifica nel femminismo che la investirà una decina di anni dopo. Lonzi capisce che quell’incertezza che le sembra impossibile fermare è antitetica a un’idea di mondo come quella proposta dalle ideologie dominanti del suo tempo, il materialismo storico e il freudismo. In quelle visioni del mondo, non c’è spazio per la marginalità, per l’«eterna ironia della comunità» che è la presenza femminile. Per Lonzi allora il «pensiero in atto» sta necessariamente altrove, è un «muoversi su un altro piano», per citare ancora il Manifesto di Rivolta femminile. Questa alterità non è semplicemente dovuta a un’esclusione storica della donna dai processi di potere e riconoscimento, ma a un rifiuto radicale di parteciparvi, un rifiuto che prevede che la donna si faccia soggetto e si allontani dal gioco, che «vanifichi il traguardo della presa di potere».

Rigettando la dialettica hegeliana, e quindi l’idea di una storia progressiva, in Sputiamo su Hegel Lonzi fa un coraggioso voto di fiducia al presente. Questo ancoramento al presente non va però confuso con l’immanenza in cui il patriarcato ha sempre costretto le donne. «Hegel ritiene la donna per sua natura ferma in uno stadio, a cui egli attribuisce tutta la risonanza possibile, ma tale che un uomo preferirebbe non essere mai nato se dovesse considerarlo per sé stesso», scrive Lonzi. Lo strumento che condanna le donne a questa immobilità è l’universalità. Vediamo ancora oggi quanto la pretesa di universalità depotenzi le singolari esperienze delle donne, pretendendo che tutte replichino la stessa storia e lo stesso destino, si facciano portatrici dei medesimi desideri. Per questo quando una donna prende la parola, specie se è una donna con un ruolo pubblico, si dà per scontato che stia parlando a nome di tutte le donne.

E così attorno al tema dell’universalità si plasma la grande dicotomia che attraversa tutto Sputiamo su Hegel e che sarà centrale per tutto il pensiero femminista italiano: uguaglianza contro differenza. Rigettare l’uguaglianza non significa soltanto rinunciare alla cultura del padre, ma anche credere che quell’interstizio che sfugge, quel muoversi su un altro piano, sia l’unica strada percorribile. Per questo la frase più bella e significativa del Manifesto di Rivolta femminile, scritto nel 1970 con Carla Accardi ed Elvira Banotti, resta: «Vogliamo essere all’altezza di un universo senza risposte». È il proposito più alto, più difficile della filosofia di Carla Lonzi. Non una filosofia di reiette o di escluse che si riscattano dalla storia, ma una filosofia che si fa storia pur avendo disconosciuto questa parola una volta per tutte.




In copertina:
Carla Lonzi a Minneapolis, 1967 © Archivio Pietro Consagra