Comma 22

Schivare i cazzotti della sorte. L’economia sentimentale di Edoardo Nesi



Edoardo Nesi torna sui suoi passi. Aggiorna il diagramma esistenziale della sua gente, il mondo imprenditoriale della sua Prato di cui aveva narrato un decennio fa con Storia della mia gente (Premio Strega 2011). I sentimenti sono quelli di allora: l’ansia insoddisfatta di futuro, il dubbio angosciante di una decadenza in atto, la rabbia per un Paese in cui «l’imprenditorialità anche minima, anche spicciola» è diventata «un difetto imperdonabile, un marchio d’infamia». Nel mezzo però ci sono stati due cataclismi: il primo, privato, è la morte del padre, l’imprenditore in pensione Alvarado Nesi, avvenuta nel 2018; il secondo, globale, è la pandemia da Covid-19 che ha sconvolto certezze, paradigmi, prospettive. Nesi decide di fare i conti con entrambi i drammi, a cuore nudo e mente aperta.

Un po’ bilancio personale e un po’ racconto sociale, consuntivo di una generazione e lamento sulle sorti della piccola patria, collage letterario e memoir umorale, Economia sentimentale (La nave di Teseo) è un libro essenziale per capire l’Italia del Covid. Durante i sei mesi che vanno dalla prima ondata alle avvisaglie della seconda il sismografo dell’umore di Nesi sobbalza continuamente. Gli interlocutori di cui si fida e a cui si affida – l’amico, lo statistico, l’imprenditore, il manager, la consulente, il finanziere – gli descrivono un quadro sorprendente, non tutto a tinte fosche, gravido di sofferenze individuali e di opportunità collettive.

Nesi

Quella di Nesi è un’economia “sentimentale” (giusta la definizione di Serena Dandini che dà il titolo al libro) velata di nostalgia verso una Prato che non c’è più, quella dei piccoli artigiani tessili sbriciolata sotto il maglio della globalizzazione con «l’inarrestabile scadere dell’ambizione, l’abbandono dei sogni più fragili e ingenui eppure più vitali, l’immorale diffondersi della consapevolezza che il futuro sarà peggiore del presente». Ma c’è del sentimento anche nel modo in cui Nesi racconta l’economia, «una scienza viva e umanissima, certamente la più adatta di tutte le discipline a raccontare la sostanza delle nostre vite e il fervore dei nostri sogni e la miseria delle nostre paure: una stupefacente generatrice di storie e di speranze, lontana anni-luce dal gelo tagliente dei numeri coi quali si usa raccontarla».
Certo, il caleidoscopio del presente che l’autore si trova a descrivere è sconcertante: lockdown e paura deprimono i consumi, fanno fallire centinaia di negozi, ma nel frattempo gli italiani risparmiano 16 miliardi in un mese; lo smart working desertifica le città e per ognuno che lavora da casa perdono il posto cinque lavoratori meno qualificati, ma intanto la Borsa vola sospinta dalla sovrabbondanza di denaro e dall’idrovora trilionaria delle Faang (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google); interi settori, come la moda e il tessile, sono in crisi nera e tuttavia il fiume di denaro pubblico, nazionale ed europeo, evita disastri sociali e getta le premesse per una svolta possibile, «un’utopia sostenibile capace di unire nel futuro scienza e compassione» secondo le parole di Enrico Giovannini (già presidente dell’Istat).

Nesi interroga e s’interroga, e come sempre in questi casi parla e scrive la lingua del cuore: un italiano fitto di toscanismi che deliziano e costringono alla vigilanza (“vo”, “alla zitta”, “mi garba”, “si avviò a salutarmi”, “sortire di casa”, “mi cheto”, “leticare”, “grullo” sono segnavia improvvisi e perentori per i non toscani). La molla di partenza del viaggio dell’autore nell’Italia del Covid, nella sua economia sospesa e protetta, pericolante e volitiva, imprevedibile e creativa, è la rabbia di fronte all’annuncio del premier – era il 21 marzo – della chiusura di tutte le attività «non strettamente necessarie, cruciali, indispensabili». È una campana a morto per ciò che resta del manifatturiero? Forse, ma non è detto, perché i segnali come abbiamo visto sono contraddittori, e poi mezza Italia non s’è fermata neppure durante il primo lockdown. Dopo poche pagine lo scrittore pratese deve constatare che l’estate è sempre estate per gli italiani, e un velo di svagata smemoratezza è pronto a coprire tutto, almeno fino a quando le cronache delle feste in Sardegna si trasformano in bollettini di guerra, cioè avvisaglie della seconda ondata.

Nesi
Edoardo Nesi

L’autore registra le analisi di chi intravede la possibilità di un New Deal all’insegna della sostenibilità ma in cuor suo cova il fermissimo dubbio che abbia ragione Robert J. Gordon, storico e teorico del “secolo speciale” (1870-1970). Un secolo proteso a costruire un futuro al cui cuore c’era il progresso, un secolo in cui le invenzioni tecnologiche hanno fatto dell’industria una potentissima leva per sollevare le condizioni di vita di milioni di persone. Dunque un secolo che s’è lasciato dietro «una strisciante sensazione di perdita» forse perché gli anni successivi, quelli della rivoluzione digitale, non hanno fatto altro che distruggere posti di lavoro, accrescere il divario sociale, concentrare ricchezze enormi nelle mani di pochissimi. Anni che coincidono con larga parte della vita di Nesi, imprenditore tessile per eredità paterna che alla fine ha chiuso la storia familiare, figlia di «un circolo ruspante e fervido e però virtuoso», e da allora si sente erede di una rovina, portatore sano di sconfitta e di rabbia.

Economia sentimentale è anche un dolente e necessario “redde rationem” con la figura paterna. In apertura c’è il bellissimo testo a cui ha dato voce Valeria Solarino all’interno del programma TV “Maledetti amici miei”. Nesi, mascherando il padre sotto le mentite spoglie di un amico, gli ha indirizzato una lettera tenera e struggente, incentrata sulla lezione pugilistica incarnata dal mitico Muhammad Ali: non lasciarsi abbattere dai cazzotti della sorte. In chiusura c’è un vivido ritratto del padre e della sua imperitura lezione al figlio: «Cosa vai a rivangare, bischero, la vita è oggi, e di più è domani».
Altri tempi. Altre generazioni.