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Nebbie e squallore nel noir di Licia Giaquinto



Nei bassifondi della provincia, in quella via Emilia che si dipana tra Modena e Bologna, alcuni uomini e donne vivono le loro esistenze oscillando tra miseria e speranza, tra impulsi e moti di rivalsa. Sono i sette personaggi protagonisti del romanzo Cuori di nebbia di Licia Giaquinto, riproposto dopo quindici anni dalla sua prima pubblicazione dall’editore pugliese TerraRossa edizioni. Da quella pianura padana esalano nebbie e squallori, si mischiano l’oscurità di radure desolate ai vizi e alle ossessioni degli esseri umani.

cuori di nebbia

A fine anni Novanta, Filippo scopre che la vita vissuta fino a quel momento non ha molto senso: fare il contadino ha, sì, i suoi benefici, ma il suo matrimonio potrebbe essere cancellato, ora che ha conosciuto Natascia. Natascia fa la prostituta, su quello stradone desolato frequentato solo da camionisti di passaggio (clienti, occorre dirlo, decisamente più gentili di altri). Mirella, la moglie di Filippo, è abbastanza astuta da aver subito intuito perché suo marito non è più insistente con lei, una volta a letto, cosa che la soddisfa sufficientemente: può vivere senza infliggersi rapporti che non desidera nella maniera più assoluta e può contare allo stesso tempo su un consorte appagato e sereno. Le prime tre “comparse” di questa storia a tinte fosche basterebbero, da sole, a tenere in pugno il lettore: sono così reali, e le loro espressioni così comuni, che parrebbe di poterli incontrare al mercato, una mattina, mentre si comprano frutta e verdura.

Questo senso di grande aderenza al reale – un reale poco roseo, va ammesso, ma pur sempre veritiero – accresce e si rimpingua con l’ingresso di altri volti, a loro volta alle prese con vizi e peccatucci con cui tentano di destreggiarsi nella quotidiana vita di provincia. Sembrerebbe incredibile quanta bruttezza può insidiarsi nei posti più desolati di questo mondo, ma è fatto universalmente riconosciuto che ogni comunità ha i suoi segreti. In questo spaccato, si stagliano allora Nicola lo spione («Dalle mie parti in pianura o spiavo le prostitute o non c’era niente da spiare»), Francesco, quello non solo obeso ma figlio a sua volta di una madre obesa che detesta, Patrizia, donna che si è votata all’eroina e alla morte, trovando senza sorprese dei «compagni» di viaggio, infine Mirco, che ogni giorno prega «il ragnetto rosso di costruire una ragnatela delle illusioni» perché ogni desiderio di sua madre diventasse realtà.

In questa grande patologia collettiva, dove si regolano i destini di persone disperate, Giaquinto ricorre alla coralità come strumento privilegiato a dar voce all’umanità intera. Per questo elegge ciascuna delle sue creature a voce narrante: ognuno è in grado, nel suo italiano talvolta sgangherato – come quello di Filippo, costretto suo malgrado a frequentare le scuole serali –, di raccontare cosa ha fatto e, soprattutto, cosa ha visto accadere in quella pianura. L’alternanza continua tra serio e faceto, stuzzicata da un linguaggio multiforme e vividissimo, rivitalizza le storie che sono destinate, come d’altronde si può immaginare dall’inizio, a incrociarsi. E, quando questi destini si incontreranno, il momento sarà fatale: nel suo apice narrativo, il lettore di Cuori di nebbia è pronto ad accogliere il triste epilogo di quegli esseri umani, così miseri e così belli.

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