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Comma 22

Megalomania in diretta Facebook. Intervista ad Andrea Quattrocchi



Quattro ore di attenzione: è questo che Debellis, stimato bancario milanese e punto di riferimento per la propria comunità, chiede agli ascoltatori della diretta Facebook durante la quale, apprendiamo fin dalle primissime pagine, confesserà un crimine commesso in giovinezza nel paese natale di Pietrarossa.
Il romanzo di esordio di Andrea Quattrocchi, edito dalla coraggiosa casa editrice Alcatraz, è l’ipnotica riproduzione di questa diretta. Un libro originalissimo che è valso al suo autore la menzione del Premio Calvino «per il magistrale ritratto di un personaggio ossessivo che forse trent’anni prima ha commesso un delitto attraverso la sua inaffidabile e delirante confessione su Facebook».

pescecane

Il pescecane è un romanzo in grado di coniugare temi universali e noti alla nostra tradizione (la ricerca del proprio posto nel mondo, il desiderio di attenzione, il rapporto tra vita reale e vita narrata) con elementi assolutamente contemporanei come la ricerca di attenzione che quotidianamente si manifesta sui social network. Se un romanzo nasce quando un’idea diventa ossessione, puoi raccontarci da quale ossessione sei partito?
È una bella domanda. Sono partito da una riflessione sui social e sul meccanismo che li rende così pervasivi: apparire interessanti, splendidi, speciali, mostrare il profilo migliore, sembra un gioco da ragazzi e che non richiede troppo impegno. Sembra, però, perché quando questa specialità non viene riconosciuta, o addirittura viene misconosciuta, si innesca un cortocircuito pericoloso. Perché non ricevo like, cuoricini, faccine sorridenti? Perché non vengo legittimamente osannato e nessuno mi capisce? Ed eccoci all’ossessione di partenza, alle ossessioni anzi: mostrare sempre il profilo migliore, condividere ogni momento della propria vita nella pretesa di essere interessanti, ed essere sulla scena quasi a ogni costo. In certi casi, a ogni costo.

Proprio la scelta di mettere in gioco i social network, e nella fattispecie di narrare la storia attraverso una diretta Facebook, del resto, finisce per mettere in dubbio l’intenzione che spinge Debellis a “confessare”: ha davvero a cuore la verità oppure il fine ultimo è la ricerca di attenzione e, potremmo osare, di ammirazione?
Direi certamente che Debellis è alla ricerca di un riconoscimento. È pronto a tutto per ottenere la sua medaglia. E la rappresentazione della sua versione dei fatti, l’unica che merita di essere menzionata e rivelata, è uno strumento per raggiungere l’obiettivo. Debellis è lucido abbastanza da comprendere che il suo è un castello di carta, per cui sceglie di eludere il contradditorio e si mimetizza fornendo informazioni e aneddoti che non possono essere verificati. Del resto chi, durante la diretta, potrà confutare il suo racconto?
Nelle mie intenzioni, comunque, la medaglia è il fine penultimo di Debellis, per così dire. L’ultimo è la vendetta. E qui mi fermo.

A proposito di “rappresentazione”, più volte Debellis ribadisce di essere il “protagonista” (interessante, tra l’altro, come a livello metaletterario questo sia innegabile). Fin dalle primissime pagine, anzi, chiarisce che il fatto di poter commentare non lo farà abdicare dal ruolo di regista e attore: riferimenti al mondo artistico che mi hanno colpita, perché si tratta di un mondo che continuamente ha a che fare con il rapporto tra finzione e realtà, e dove la riscrittura di una scena o di un’intera sceneggiatura sono fatto comune.
Sono, in effetti, dei riferimenti non casuali. Ho trovato ci fosse una certa coerenza sia con la natura del personaggio (o forse dovrei dire con il suo quadro clinico?), sia con la struttura del testo. Per rafforzare la sua posizione Debellis rimarca il suo ruolo e il tandem fiction-autofiction lo rende un personaggio ambiguo. Personalmente amo i personaggi ambigui in ambito narrativo, tanto quanto non li sopporto nella realtà. Trovo che mettere in scena un carattere di questo tipo sia una modalità per interagire con il lettore, un modo per condividere l’esperienza del racconto. Che cosa mi vuoi dire, autore? Perché mi racconti il tale episodio? 

Oltre al rapporto tra realtà e finzione ho trovato particolarmente interessanti altri due temi: quello della perfezione, che sembra ossessionare Debellis in tutti i suoi (a proposito di finzione) ruoli, e quello della punizione. Abbiamo già parlato dell’ossessione di “mostrare sempre il profilo migliore”, quindi mi soffermo su quest’ultimo. Il desiderio di punizione di Debellis diventa a un certo punto totalizzante: pensi, con Kafka, che la punizione preceda la colpa, e che dunque la grandezza dell’una possa determinare le dimensioni dell’altra?
È proprio così. La punizione è una patente, deve precedere la colpa, prepararla e determinarne l’ampiezza. Tanto maggiore sarà la punizione tanto più grande è l’impresa. Se la colpa è la medaglia di cui dicevamo prima, la punizione ne descrive la circonferenza. In quest’ottica, il fatto in sé è secondario, quasi estraneo.

Passiamo adesso, visto che Il pescecane si potrebbe definire un “romanzo di voce”, alle scelte stilistiche. Tematiche che in letteratura sono state veicolate da forme letterarie come la confessione o il memoriale, qui vengono sviluppate, abbiamo detto, attraverso l’attentissima riproduzione di una diretta Facebook (nel testo sono presenti, per esempio, divagazioni, autocorrezioni tipiche del parlato e slittamenti temporali), con tanto di risposte dell’oratore ai commenti. Puoi raccontarci come hai lavorato e se sei partito dall’ascolto e imitazione di altre dirette?
Costruire un testo di questo tipo, in effetti, non è stato agevolissimo. Sono stati necessari diversi esperimenti, studi, prove. Non è banale trasformare un contenuto progettato per durare pochi minuti, un video, in un contenuto progettato per durare ore, un testo. È stato necessario bilanciare, mischiare, dosare diversi espedienti retorici. Posso dirti però che una volta trovato il ritmo giusto – giusto dal mio punto di vista – è stato perfino divertente accompagnare il protagonista nella sua confessione. Per favore, però, sfatiamo la vulgata della trance creativa di chi “compone”, dell’ispirazione selvaggia e sregolata: certamente l’inventiva è molto importante, ma la scrittura è costanza, studio, esercizio, ordine.

Non potresti trovarmi più d’accordo di così. E a proposito di studio: dal punto di vista stilistico, al di là della contemporaneità della diretta Facebook, mi pare che i modelli più vicini al tuo testo siano Luigi Malerba, che d’altra parte citi in epigrafe, e Thomas Bernhard. Puoi raccontarci se ti riconosci nel loro modo di narrare e a quali altri autori ti sei eventualmente ispirato?
Sono stato e sono un lettore compulsivo, sia di Bernhard che di Malerba. Spesso ho letto anche più volte alcuni dei loro testi. Di Bernhard ammiro la tecnica, inarrivabile, la capacità di tenerti incollato alla pagina, di non ammettere dal lettore la minima distrazione: se perdi una virgola devi ricominciare da capo la frase e, come sai, stiamo parlando di periodi lunghi anche una pagina. Di Malerba, invece, adoro la capacità di giocare con il lettore, di disorientarlo. Ci sono alcuni testi, per esempio Salto Mortale, Il Protagonista, solo per citarne un paio, in cui hai l’impressione di essere preso in giro. La sua è una scrittura lucidissima. Altri autori, beh, la lista è lunga e in continua evoluzione. Diciamo che rimango colpito e ammirato, come tutti, dal alcuni tratti stilistici o di inventiva. Il senso del grottesco di Kafka, di Pirandello, la capacita introspettiva di Dostoevskij, la densità narrativa e il ritmo di Sciascia. Ho citato dei giganti, dei classici come si dice, ma trovo ci siano molte autrici e autori ancora vivi davvero notevoli.

Chiudo con la curiosità: lungo tutto il testo non viene mai rivelato il nome di Debellis; addirittura nei ringraziamenti fingi di volerlo confessare per poi cambiare idea. Sicuro di non voler cedere adesso?
Sì, sicurissimo. Anche perché è davvero raro nominare il proprio nome di battesimo parlando di sé, come fa Debellis. All’inizio del testo, comunque, il personaggio aveva un nome: adesso mi sfugge quale.


In copertina scatto di camilo jimenez su Unsplash