Comma 22

Lirica della montagna. L’ora più fredda di Paolo Paci



Prosegue la collaborazione editoriale tra Limina e UNIMONT– Università della Montagna, polo d’Eccellenza dell’Università degli Studi di Milano a Edolo, nel cuore delle Alpi, specializzato nella promozione dello sviluppo delle montagne attraverso attività di formazione, ricerca e terza missione specifici per questi territori. A UNIMONT sono attivi il corso di laurea in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” volto a formare specialisti del sistema montano e il Centro di Ricerca Coordinata per la Gestione Sostenibile della Montagna (Ge.S.Di.Mont.), in cui lavorano attivamente numerosi giovani ricercatori per innovare e rendere competitivi i territori montani. Dal 2017, negli spazi di Unimont va inoltre in scena “RacCONTA LA MONTAGNA”, una rassegna letteraria dedicata alla saggistica e alla narrativa di montagna che vuole metterne in risalto il “potere” culturale ed evocativo.
Con l’obiettivo condiviso di raccontare la montagna, l’ambiente, la natura, le mutazioni del paesaggio e della società, i modelli economici sostenibili, i nuovi stili di vita e la crescente sensibilità green, la redazione di Limina e Unimont percorreranno insieme il lungo sentiero del racconto di un cambiamento nel quale è giunto il momento di essere protagonisti, interrogando le voci di studiosi, scrittori, docenti, pensatori e studenti riuniti nella consapevolezza che non sono più rinviabili un dibattito e una riflessione, letteraria, critica e formativa, sul futuro del pianeta e di chi lo abita.

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«Dallo zaino militare sono usciti l’astuccio di scuola e un quadernetto intonso. Martino l’ha aperto alla prima pagina, e con la Parker si è messo a scrivere. Una riga e ha già terminato. Gli vai alle spalle per leggere, quasi appoggi il mento sulla sua spalla. La data e poi “Corni di Canzo, 1373 metri, canale sud-ovest” Lo spazio bianco, sotto quella prima riga, è immenso. Di quali altri vertigini si riempirà?»

L’ora più fredda (Solferino, 2021) è il romanzo di esordio di Paolo Paci, giornalista, direttore di Meridiani e Montagne, scrittore e viaggiatore. «Negli anni in cui Buzzati dava vita alla grande poesia della montagna, mi sono innamorato dell’opera di un autore minore, Le mani dure di Rolly Marchi, un vero e proprio romanzo alpinistico. Ho quindi pensato che, a distanza di più di mezzo secolo, mancasse un romanzo che parlasse di alpinismo, con tutti quei tecnicismi di chi proprio l’alpinismo lo pratica».

E Paolo Paci, di montagna, se ne intende. Una passione che porta avanti da tanti anni e che non ha mai accantonato, grazie al suo lavoro di travel writer. Negli anni, ha realizzato reportage e compiuto salite sulle Ande, ha battuto palmo a palmo le Alpi, in estate e in inverno. «Ho cominciato giovanissimo. Questo mi accomuna al protagonista del mio romanzo, anche se non sono bravo quanto lui. Ma non è un romanzo autobiografico, anche se ho raccolto delle cose vere, successe a me, o amici, o amici di amici, per dare forma alla vita fittizia del protagonista».

Ora più fredda

Marco, figlio di una famiglia piccolo borghese, non è mai stato in montagna. Quando vive la sua prima notte stellata in alta quota, durante una gita organizzata dal carismatico professore di filosofia, viene rapito dal profumo del bosco e della roccia, delle stelle così vicine e da un senso di libertà mai provato prima. Una scoperta che continua grazie all’amicizia con Martino, compagno di classe e fervente scalatore. Un racconto che si sviluppa su uno sfondo politico non indifferente: siamo all’inizio degli anni Settanta, l’Italia è spazzata da venti di rivolta, da fervore culturale e introspezione sociale. «È il periodo in cui si diffonde una grande attenzione intellettuale sul mondo dell’arrampicata. Caposcuola di questo movimento è Reinhold Messner che, con la pubblicazione nel 1971 del suo libro Ritorno ai monti, sconfessa la letteratura alpinistica tradizionale e la figura dell’alpinista, fino a quel momento visto quasi come un supereroe, un superuomo, immagine influenzata dalle figure di Walter Bonatti, René Desmaison e Gaston Rébuffat» spiega Paci. «In questi anni di discussioni, di domande, di dubbi, ci si avvicina ad una visione molto più esistenziale dell’alpinismo, meno eroico. In una ricerca intima di introspezione, sensazioni e domande sul senso della vita si accompagnano al gesto alpinistico, diventando un tutt’uno».

Questo è il filo conduttore di tutto il romanzo, una ricerca che Paci sa descrivere con prosa fluida e con grande sensibilità, alternando i linguaggi e conoscenze tecniche dell’alpinismo a una narrazione intima, esistenzialistica. Il romanzo si sviluppa su un doppio binario che si divide non solo nella scelta dell’io narrante, ma anche tra passato e presente. La montagna è protagonista della narrazione, una presenza preponderante, quasi palpabile: al lettore sembra di poter toccare con mano la roccia, di percepirne la durezza, la superficie.

Ma L’ora più fredda parla soprattutto del mestiere di crescere: attraverso le passioni, la politica, i legami. E anche il dolore. «Nel gergo tecnico l’ora più fredda è il momento in cui, durante un’uscita alpinistica, si lascia il rifugio al mattino presto, tra le quattro e le cinque, momento in cui la temperatura tocca il suo picco più basso, ed è completamente buio. È il momento più difficile, ma che anticipa l’alba. Metaforicamente, quindi, l’ora più fredda è quella del cambiamento, dell’incertezza. È l’ora in cui ci si ritrova disorientati nel percorso, nella vita. Un dolore però necessario perché vuol dire che stai crescendo, e si sta scrivendo qualcosa che non sai».

E Marco, nel corso di tutta la narrazione, non smette mai di farsi domande, di cercare un senso. «Rimane impigliato nella miniera infinita dell’alpinismo, cercando un significato nel suo rapporto con le montagne, e poi con la filosofia. Ma non troverà mai una risposta definitiva, quasi arrabbiandosi con il proprio destino». Nel finale, dal retrogusto amaro, esiste però un accenno di una speranza, di una nuova alba. Realizzerà che non c’è nulla da capire, che il suo compito è continuare a far correre la macchina del corpo, la vita. Perché anche nell’ora più fredda è possibile trovare la forza di rinascere, un nuovo senso alle cose. «Alla fine, si sa, la montagna è uno sterile accumulo di sassi, roccia e neve. La montagna non dà risposte, siamo noi ad attribuirgli un significato».