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L’eredità del sangue. Prima di noi, di Giorgio Fontana

In un’epoca in cui domina l’autobiografia mascherata da autofiction, colpisce che uno scrittore abbia il coraggio di raccontare una storia dove nessuno dice io e le proiezioni personali sono praticamente assenti, dove i caratteri e gli sviluppi emotivi sono raccontati da gesti esatti e azioni più che da didascalie dell’animo. Colpisce in anni di narrazioni minimali e racconti lunghi vestiti da romanzo che uno scrittore trovi il coraggio e la dedizione di prendere un secolo di storia italiana per raccontarlo in un romanzo corale.
È quello che fa Giorgio Fontana con il suo ultimo lavoro Prima di noi (Sellerio). Un romanzo che possiamo legittimamente chiamare con questo nome perché ne ha tutte le caratteristiche. Il passo e il respiro prima di tutto. Lo si capisce fin dalle prime pagine, che si aprono con una scena rappresentata con la precisione di uno scatto fotografico e l’estro di un quadro di guerra: sono i giorni della caduta di Caporetto nell’alto Friuli, il fronte si è rotto, i soldati allo sbando scappano e festeggiano, un ponte viene fatto saltare, il fante Maurizio Sartori diserta. Sarà la prima di una fila di diserzioni, un testimone che si passano uomini e donne complicati, a volte coraggiosi a volte spauriti, umanissimi.

Già dalle prime pagine sentiamo che il tono è quello del romanzo di ampio respiro, dove la Storia è incrociata di sguincio, con personaggi laterali, che stanno ai margini dei grandi eventi e per questo a volte riescono a leggere meglio degli altri i tempi in cui sono immersi. Dalla caduta di Caporetto fino all’inizio degli anni Duemila, percorrendo un pezzo di geografia italiana ed europea: da una Udine di rogge e adunate fasciste, a un hinterland lombardo di fabbriche e lotte, fino alla Milano degli anni Ottanta e l’Irlanda degli studenti stranieri. Quattro generazioni di una famiglia, i Sartori, alle prese con i cambiamenti di un’epoca ma soprattutto con le complicazioni che scorrono nel loro sangue come un’eredità (quell’originaria diserzione) che si tramandano senza conoscerla veramente.

Prima di noi

Uno spazio e un tempo ampi quindi, che vanno a comporre quello che gli americani chiamerebbero uno state-of-the-nation novel. Prima di noi, a dispetto di quello che potrebbero far pensare le sue 882 pagine, scorre veloce e arioso, ma sotto la superficie sentiamo lavorare una mole non comune di studio di memorie, archivi, testimonianze. Se una città bombardata ci appare così materica e reale nella sua descrizione sulla carta, è perché alle spalle c’è una ricerca documentale arrivata fino a ritrovare la foto di quell’esatta casa per studiarne gli angoli dei muri crollati o il particolare di un lampadario rimasto magicamente appeso al soffitto. Se ci commuove il dettaglio degli operai che in un giorno di ghiaccio d’inizio inverno in fabbrica scaldano le castagne con gli arnesi da lavoro, è perché quel dettaglio riposava nascosto in una testimonianza minore che Fontana ha saputo scovare e riportare alla luce, lasciando che tutto il superfluo attorno cadesse e il dettaglio risplendesse. Se le inquietudini artistiche di un fotografo di talento hanno per noi corpo e verità e così anche quelle di uno studente spaesato che studia Wittgenstein ma pensa ai fumetti bevendo birra scura in pub irlandese, è perché al fondo di questi personaggi troviamo sempre un residuo di vita che poggia su pratiche personali, su testimonianze ascoltate, su migliaia di pagine studiate. Insomma, sulla letteratura e la vita.

Se è vero che i grandi romanzi ce li ricordiamo per i loro personaggi, questo è un romanzo che ci ricorderemo a lungo. Uomini e donne di quattro generazioni sono descritti nelle minute differenze che li rendono unici, e i personaggi secondari che li accompagnano sono secondari solo dal momento che compaiono meno sulla scena, non perché siano meno vividi. Così ci affezioniamo alla matriarca Nadia, con la sua tenace esortazione a Maurizio «troviamo un modo di volerci bene, biondino?», ma anche alla signorina capricciosa e infelice da cui va a servizio negli anni della guerra. All’inquieto Maurizio, e ai suoi figli così diversi: il letterato e religioso Gabriele, l’impetuoso Renzo, Domenico con la sua elementare santità, morto innocente in un campo di prigionia francese in Africa. E a tutti i nipoti a venire, ognuno con le proprie relazioni inseguite o disertate, e l’eterno slancio di rompere o riallacciare i fragili lacci che tengono insieme i Sartori.
Lacci indissolubili perché ad attraversare il romanzo è un sentimento poco di moda come la fedeltà. Non quella fuggevole e un po’ retorica che si spreca nei romanzi d’amore, ma la fedeltà a se stessi, o a un’ideale di se stessi a volte perso, spesso inseguito ma sempre difeso. Una sorta di etica della rettitudine e dell’autenticità che ha a che fare con la geografia di questo romanzo e con il suo rapporto con la memoria.
La memoria individuale che rimbalza continuamente in una dimensione collettiva (la testimonianza nel documento, il diario nell’archivio) senza però mai ridursi ad essa, dialogando con la Storia da una posizione minore, nel senso deleuziano di minoritario e quindi decisivo, rischioso. E la geografia. Che parte da un Friuli, dove gli uomini non hanno paura di bere un bicchiere in più perché pochi sono i segreti di cui non saprebbero rispondere a mente sgombra, e arriva alla Milano del lavoro e degli ideali di lotta, dando a tutti i diversissimi personaggi un tratto di schiettezza che li rende a volte incomprensibili a chi li ama, volitivi, scontrosi o chiusi, ma anche deboli e generosi, smarriti in un mondo che si muove più scaltro.

Prima di noi

Prima di noi segna un punto nel cammino del Fontana narratore. Dopo i primi romanzi animati dalla freschezza degli esordi e da un sicuro, inequivocabile dono narrativo, sono arrivati Per legge superiore e Morte di uno uomo felice, due libri in dialogo, in cui la vivacità degli inizi cedeva il passo a una dimensione esistenziale più complessa. Ma è con questo ultimo romanzo che Fontana sembra staccare la distanza. Un’opera che per mole e articolazione ha necessitato anni di gestazione, di ricerca e di scrittura. Anni in cui la cura è stata la parola d’ordine che ha guidato tutte le fasi di lavoro. Un romanzo ambizioso, a voler usare un aggettivo spesso caricato di una connotazione negativa ingiusta. Ambizioso perché non ha avuto paura di prendersi il suo tempo, di calarsi in una mole di ricerca infinita, di cercare ogni volta una voce per i suoi molti personaggi, tutti indimenticabili.
Il lavoro sulla voce, sulla lingua infine. Prima di noi è sicuramente stilisticamente il più maturo dei lavori di Fontana. La lingua scorre ariosa e felice, impercettibile, come quelle felicità benedette che si ottengono solo con molto lavoro. Scritture e riscritture. E al lettore non rimane che il limpido scorrere di una prosa sempre precisa e mai enfatica, sobria ma lavoratissima.
Una delle parti di cui si compone il romanzo porta il titolo Per amore, si diceva, e noi abbiamo l’impressione che a muovere la scrittura sia stato proprio questo, l’amore per questa storia e questi personaggi. L’amore per la letteratura.





Photo credit: Luciano Ricchetti, bozzeto per In ascolto, 1939

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