Comma 22

La Valle dei Fiori e il richiamo della morte in Groenlandia



La Valle dei Fiori di Niviaq Korneliussen (Iperborea, 2023, trad. dal danese di Francesca Turri) è un romanzo micidiale, di quelli che lasciano senza fiato, come dopo un pugno nello stomaco.
Anzi, La Valle dei Fiori è esattamente un pugno nello stomaco.
Poche penne hanno il poter di condurre il lettore in una spirale delirante e autodistruttiva. Korneliussen ci riesce davvero bene, confermandosi – citando il New Yorker – «l’inaspettata stella letteraria della Groenlandia».

Inaspettata, mica tanto. L’autrice aveva già esordito nel 2014 con HOMO sapienne, il ritratto generazionale della comunità LGBTQ+ di Nuuk, tradotto in dodici lingue. Nessuno mai nel suo paese aveva toccato argomenti del genere. Ma, in effetti, è con il romanzo dato alle stampe nel 2020 – il primo groenlandese ad aggiudicarsi il più alto riconoscimento letterario scandinavo, il Premio del Consiglio Nordico, nonché il Premio Bjørnson 2022 – che il successo è travolgente e meritatissimo.
Il libro racconta la discesa agli inferi di una giovane donna anonima, quindi universale. Korneliussen ha voluto creare un’archetipo, una qualunque groenlandese lesbica queer a disagio con se stessa e con gli altri, che, come tanti coetanei, lotta per trovare il proprio posto nel mondo, per sentirsi meno sbagliata.

«La Groenlandia è condannata a morte […]. È il corso della natura che un popolo che non sa come cavarsela a questo mondo venga spazzato via, è il survival of the fittest, e tu sei sopravvissuta. Sei una survivor, sei forte. Non c’è niente di sbagliato in te, sono loro a essere sbagliati.»

La valle dei fiori

Con un linguaggio contemporaneo, pieno di termini in groenlandese occidentale e inglesi, seguiamo la protagonista nel suo agognato trasferimento per studio in Danimarca (paese da cui tuttora la Groenlandia dipende politicamente). Le cose non vanno affatto come sperava. Alle spalle ha una famiglia che le vuole bene, nonostante incomprensioni reciproche, e una compagna che ama ma con la quale fatica ad aprirsi per paura di non essere compresa, dunque rifiutata. Il filo costante dell’intera storia è il timore dell’accettazione altrui. La convinzione di non meritare amore si unisce al rifiuto verso il proprio corpo e infine tracima in un malessere globale, incontrovertibile.
È fin troppo facile intuire che la protagonista finirà per togliersi la vita. Del resto i capitoli sono numerati inversamente dal 45 all’1, un crescendo di suicidi inascoltati che negli ultimi quarant’anni hanno reso la Groenlandia la nazione con il più alto tasso di suicidi al mondo.

Un destino inesorabile, come il ghiaccio sul Mar Glaciale che si spacca e si scioglie, spostandosi verso sud, la via che porta alla morte. «Il mio destino è lo stesso del ghiaccio, anch’io mi ritraggo e mi assottiglio. Sono in costante movimento, mia cara, mi sciolgo via via che mi sposto verso sud. Vado sempre più giù trascinando tutto con me».
Perché in Groenlandia è così forte il richiamo della morte? La protagonista se lo domanda spesso, cercando invano delle risposte.

«I ricercatori concludono che il fattore scatenante deve essere correlato alla luce estiva, ipotizzano che quella stessa luce che scongiura la depressione invernale possa portare al suicidio. I dati mostrano che il metabolismo della serotonina varia in base alla stagione e alla luce, e che potrebbe avere qualche influsso sui comportamenti impulsivi e aggressivi, e dunque su violenza e suicidi. Ma la luce non può essere il fattore decisivo: la luce c’è sempre stata, mentre i suicidi hanno subito un’impennata solo dopo l’epoca coloniale.»

Un paese di estremi, di buio e luce totali, di totale solitudine. Ma anche un paese che fatica a trovare la propria identità dopo essere andato incontro a un processo di “danesizzazione”. Un Paese che non è riuscito a cogliere i segnali della propria sofferenza, come i personaggi di questo libro.
Alla cerimonia di conferimento del Premio del Consiglio Nordico, Korneliussen ha pronunciato un toccante discorso (che Iperborea ha inserito in appendice), scegliendo di dedicare la vittoria a tutte quelle persone bisognose di un ascolto che il sistema continua a trascurare:

«A voi in cui il medico, il poliziotto, l’insegnante e il politico hanno smesso di credere. A voi che vivete nell’angoscia perché i vostri amici scompaiono, anche se la vostra vita è appena cominciata. A voi che venite cacciati dallo studentato dopo che avete tentato di togliervi la vita. A voi che vi sentite brutti, incapaci, un peso. A voi, che avete voglia di vivere, ma non ce la fate più».

Non stupisce che un titolo così potente sia stato inserito nel progetto BookRave, un festival diffuso che mette insieme librai, lettori e otto case editrici indipendenti (oltre a Iperborea, effequ, minimun fax, NN Editore, nottetempo, SUR, Quinto Quarto e il Saggiatore). Il primo tema dal 15 settembre al 15 dicembre 2023 è, appunto, Corpi. Il corpo della protagonista de La Valle dei Fiori è goffo, grosso, scuro, così dannatamente diverso dai compagni di università danesi, biondi e statuari: Korneliussen lo trasforma nello stigma di una colonizzazione mal riuscita. Come i nativi americani e mille altri popoli, i groenlandesi hanno sofferto di un lento, inconsapevole processo di emarginazione. La Valle dei Fiori restituisce giustizia e dignità a tutte quelle persone, giovani e adulte, che nel corso degli ultimi cinquant’anni in Groenlandia si sono abbandonate al richiamo della morte perché non avevano altra scelta.



Immagine di copertina: foto di Annie Spratt su Unsplash