Comma 22

Raccontare l’acquaticità dell’esistenza



Quando si ha in mano un nuovo libro si è soliti, per prima cosa, leggere la trama e la biografia delle bandelle. E così, prendendo il romanzo d’esordio di Kim de l’Horizon Perché sono da sempre un corso d’acqua (Il Saggiatore, 2023) , si è portati subito a domandarsi: ma chi è veramente? È anche – o solo –  un personaggio di fantasia? Dichiara, infatti, di essere nato nel 2666 a Gheten, il pianeta del famoso romanzo fantascientifico di Le Guin La mano sinistra delle tenebre, diventando così anche personaggio della sua prima opera di narrativa, con cui ha vinto sia il Deutscher Buchpreis che lo Schweizer Buchpreis.

kim de l'horizon
Copertina del romanzo di Kim de l’Horizon, il Saggiatore

In questa autofiction, Kim rivolgendosi a sua nonna cerca di conoscere la propria storia, partendo dalla costruzione del proprio albero genealogico, in cui si assiste al predominio di figure femminili, da sempre protagoniste della sua vita. Realizza così un quadro di donne che assumono tratti di streghe, per l’epoca da loro vissuta, legate da un elemento comune: il non riconoscersi nelle vite che sono state costrette a indossare e che poco rispecchiano la propria concezione di libertà. 

Sono due i concetti chiave della scrittura – e dunque della vita –  di Kim de l’Horizon: fluidità e libertà. E  si dimostrano in ogni dimensione, quindi nel corpo, nella sessualità, nella lingua e nei diversi generi che compongono questo romanzo.

«Ti scrivo perché: finché scrivo non parlo ma non sto neanche in silenzio»

Per riempire il silenzio, nella realtà da sé creata, Kim accompagna la nonna, che sarà la sua interlocutrice per tutto il testo, in una casa di cura per la demenza e da qui inizia a scavare nel suo passato, ma anche nel proprio di passato, riportando sé e chi legge nell’infanzia. 

La fluidità si manifesta anche nel tempo di questa opera, che tende ad andare oltre i meri confini di passato e presente, creando un corso d’acqua in cui le diverse storie ed epoche si mescolano cercando di dar loro un senso, provando a chiudere un cerchio. La nonna, Grossmeer, è quel personaggio necessario per scrivere questo romanzo: frammenti del passato si intersecano col presente e spesso si confondono. E ancora una volta si crea un mare in cui riconoscersi.

Infine c’è la madre, Meer, che rifiuta qualsiasi confine e limite, vista come colei che «porta dentro di sé tutte le donne del mondo. Le donne si insinuano in Meer attraverso la lettura».

Il fascino della scrittura di Kim de l’Horizon è concentrato soprattutto nella sua lingua, elemento in cui si ritrovano esperienze, vissuti, epoche, traumi, paure e sentimenti, sia individuali sia collettivi. La lingua che crea e in parte inventa viene detta “madre”, perché si ritrova all’interno l’eredità delle madri, ma soprattutto perché permette di parlare di sé in modo nuovo.

La fluidità è presente nel romanzo, infatti, anche a livello linguistico, sia nella stratificazione di registri diversi, sia nell’utilizzo di altre lingue, come il francese e l’inglese.  Kim de l’Horizon sceglie l’inglese come uno spazio proprio seppur scorretto: in inglese scrive, ad esempio, delle lettere indirizzate alla nonna che inserisce alla fine del romanzo. Le lettere sono scritte originariamente in inglese e poi la versione tedesca è stata ottenuta usando un traduttore automatico, per questo motivo contengono errori e imprecisioni che rispecchiano la conoscenza non perfetta che l’io narrante ha di questa lingua. Nella versione italiana, tradotta da Silvia Albesano, si sono mantenuti questi errori: il software ha, ad esempio, alternato spontaneamente maschile e femminile. 
La creatività e la ricchezza della lingua sta poi nel continuo passaggio dal dialetto bernese, inserito perché caratterizzante un membro della famiglia, a un tedesco alto e ricercato. 

È chiaro che nella ricerca linguistica Kim de l’Horizon non punti al rigore e alla perfezione. L’obiettivo è affermare, invece, la contaminazione e quanto questa possa essere affascinante in ogni dimensione, anche quella linguistica. 

In fondo è il mare e l’immaginario acquatico a dominare questo romanzo, che non a caso rappresenta al meglio anche la fluidità dell’identità di genere. Un’acquaticità dell’esistenza in cui non sembrano, e non dovrebbero esserci limiti, proprio come nell’immagine del mare, dove a stupire è il fluire delle onde e l’assenza di barriere.

«La mia lingua madre è il parlare. La mia lingua paterna è il silenzio. E la mia lingua è lingua, e la mia lingua è gocciolare, cadere, confondersi, scorrere, radicarsi, fluire».



Immagine di copertina: foto di Michael Olsen su Unsplash