Comma 22

#Gli ironici | Nostra Signora dei Sullivan



In un pezzo uscito su Altri Animali indagavo lo stato di salute del comico in Italia. Se guardiamo alla letteratura di genere non c’è storia: gialli, fantasy e romanzi rosa vanno per la maggiore. Hanno la capacità di catturare pubblico grazie a una grande visibilità – basti pensare che trovano spazio in autogrill, nei supermercati o in edicola – e di conseguenza vendono. La letteratura di genere vende, e lo fa bene. Ma la commedia? Purtroppo aleggia su di lei la stessa scarsa considerazione letteraria, ma allo stesso tempo non gode della medesima visibilità: a conti fatti scrivere commedie non è fare letteratura né sfornare best seller. Qual è il problema?Probabilmente manca qualcosa che renda riconoscibili i libri accomunati da una certa voce e prospettiva, come una collana. Pensate alla fortuna – recente, perché datata 1929 – dei Gialli Mondadori. Prima non esistevano, oggi definiscono un genere di grandissimo successo, di libri che non hanno bisogno neppure più del giallo in copertina per appartenere al giallo. Qualche collana comica è stata proposta, ma racchiudeva principalmente classici: sembra quasi che si possa dare attenzione al comico soltanto quando proviene da autori affermati, di quelli che si sono potuti permettere anche le commedie. E i contemporanei? Dobbiamo aspettare che passino a miglior vita?  Che tirino fuori il Grande Romanzo Italiano prima di dedicarci ai loro testi più leggeri, quelli che paiono privi di velleità letterarie? A me spaventa il vuoto cosmico degli addetti ai lavori quando qualcuno – dal lettore più sgamato a quello dell’ultima ora – chiede un testo che li faccia divertire.
Sorge un dubbio: ma il comico è davvero un genere? Forse lo è la commedia, intesa come forma narrativa dotata di una sua struttura, di personaggi e stratagemmi narrativi che si ripetono. Ma non tutto il comico è commedia, per cui potremmo ipotizzare si tratti piuttosto di un tono: il comico come stile, caratteristica che appartiene al testo in sé ma anche alla voce dell’autore, allo scrivere. Qualcosa che conduce all’ironia. Ironia e comicità sono connesse, ma forse la prima è più sottile, più ambigua, più allettante. Trovare un nuovo nome potrebbe cambiare le sorti di una certa letteratura. Le mie idee però valgono poco, anche perché sul comico è stato scritto tanto e da figure di maggior rilievo, per questa ragione nasce Ironici.
Gli ironici. Una cosa per ridere è una rubrica che si pone due obiettivi: chiedersi quali siano le possibili forme del comico e costruire una collana virtuale di testi ironici. Tutto questo combinando una recensione, un’intervista e una breve lista di consigli per gli acquisti. Per provare insieme a dare maggior voce al comico e trovare una risposta alla fatidica domanda: mi consiglia qualcosa che mi faccia divertire?

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“Non con l’ira ma col riso s’uccide.” 

[F. W. Nietzsche]

Il primo titolo di questa rubrica è Nostra Signora dei Sullivan di Gianfranco Mammi. La citazione nietzschiana non è casuale: nel romanzo di Mammi c’è molta morte, anzi, è proprio una strana morte a dare il via alla narrazione. In un paesino qualsiasi del sud degli USA c’è Sullivan, un uomo del tutto banale che non ha mai fatto niente di memorabile nella sua vita, che inizia a morire e non smette più. Letteralmente. E no, non è un novello Gesù Cristo che muore e risorge. Le salme tutte perfettamente uguali si moltiplicano, si accumulano nel piccolo cimitero cittadino e creano il pretesto perfetto per una storia. Un uomo normale e anonimo compie un gesto impossibile e memorabile: muore, muore di nuovo, muore ancora senza risorgere mai. Questa idea è quella che Cortázar o Piglia avrebbero considerato perfetta per un racconto: è un’idea forte, esplosiva, che per non perdersi si deve sviluppare in poche pagine. Mammi è bravo a non annacquarla compiendo una scelta di per sé comica: alla fine del primo paragrafo del primo capitolo, Sullivan è già morto tre volte e non ha pronunciato neppure una battuta. Quello che sembra essere il protagonista in realtà non diventa che lo sfondo della storia, l’elemento imprevisto che scardina gli equilibri di una cittadina che altrimenti avrebbe continuato a sopravvivere nel più totale anonimato. È la trama da thriller, lo svolgimento che sembra un poliziesco, l’impalcatura di genere ad aiutare l’autore a mantenere un ritmo elevato: questo grazie anche alla presenza di brevi paragrafi, quasi singole scene, montate una dopo l’altra senza momenti morti. È una storia che si costruisce sull’equivoco, sul paradosso, sulle continue morti di Sullivan che prima spaventano, poi fanno arrabbiare, quindi mostrano a tutti i personaggi infinite possibilità di redenzione, per qualcuno religiosa per qualcun altro economica. Questo perché l’autore, me l’ha confessato, scrive senza scaletta. C’era l’idea, c’era il contesto, poi tutto si è costruito passo passo, seguendo la tensione della storia, le opportunità che i personaggi fornivano. Questa strategia, che sia voluta o meno, ha permesso al testo di caricarsi di ironia. Ma in cos’altro si nasconde il comico di Mammi?

ironici

Abbiamo già detto del protagonista presentato morto, che è sicuramente una scelta comica, ma dobbiamo aggiungere che è comico anche il modo in cui gli altri personaggi reagiscono. In quell’egocentrismo di una cittadina che fa di tutto per restare normale nonostante la straordinarietà di ciò che accade: anche il coroner e i medici legali che si interessano alle salme del Sullivan non vogliono scoprire il mistero, ma pensano soltanto allo svolgersi del lavoro, ai problemi che Sullivan potrebbe comportare alle loro carriere. Ironico è l’uso costante dell’imperfetto, un po’ inusuale, che somiglia molto alla voce di qualcuno seduto tra le pagine e impegnato a raccontare. E ancora, è lo stile ad apparire comico, capace di scivolare anche nelle situazioni più grottesche, quelle vicine alla commedia nera, con qualche ripetizione e cacofonia che evidenza l’imbarazzo di alcune scene.

Nonostante la presenza di un forte simbolismo, il romanzo di Mammi non vuole spiegarci niente. L’autore non ironizza sulla religione, semplicemente ne descrive la politica. L’autore non ironizza sulla Politica, semplicemente ne descrive gli uomini. L’autore non ironizza sugli uomini, semplicemente descrive le loro azioni. Ed è proprio questo che ci fa ridere, che rende il testo interessante anche da un punto di vista letterario. Citando di nuovo Piglia, l’autore è stato capace di far ruotare tutto l’universo narrativo attorno a un segreto irrisolvibile. Perché Sullivan muore così tante volte e come può riuscirci? Mammi ci lascia senza risposta e segue gli altri personaggi mentre la stravaganzadi Sullivan si trasforma in un rumore di sottofondo così simile a quello dei jet che svolazzano nei cieli dell’anonima città. Così ripetuti e costanti da diventare silenziosi e invisibili per gli abitanti. Mi tornano in mente i miei nonni, quasi 50 anni vissuti a pochi metri dai binari, con treni che per tutto il giorno facevano tremare ogni cosa. Nonna, era il treno questo?, chiedevo. Quale treno?, mi rispondeva lei che aveva occhio soltanto per le crepe nell’intonaco dimenticando, a furia di averla nelle orecchie, la causa stessa delle crepe.

L’uomo che si interessa soltanto alle conseguenze pratiche è quanto di più umano e tragico al mondo: c’è il Sindaco che si preoccupa di rendere la città una meta turistica, ci sono i due fondatori del culto che vorrebbero ritirarsi in preghiera, ci sono gli addetti al cimitero che non sanno più dove metterele salme del povero Sullivan. In più, se è vero che la Morte soddisfa le sue esigenze grazie ai suicidi, agli omicidi e agli incidenti mortali del Sullivan esentando i concittadini dall’obbligo del trapasso, non per questo mancano altri disastri, altro sangue, altra miseria. Quindi un contesto potremmo dire tragico – un uomo che si sacrificaper gli altri – in una storia che però possiede tutte le caratteristiche di un testo comico. Questo è possibile perché ogni commedia ha in sé la tragedia, mentre per la tragedia non è possibile avvalersi del comico. L’ironia per realizzarsi ha bisogno di una certa sospensione emotiva: per ridere, scriveva Bergson, non bisogna emozionarsi. Questa è a tutti gli effetti una tragedia – c’è un uomo che muore di continuo e senza spiegazione apparente – eppure non siamo turbati. Siamo divertiti. Caccame, nel rivedere alcune idee di Bergson e Ramachandran, dice che il gioco comico avviene seguendo tre frasi: c’è bisogno di un paradigma, una condizione assodata e nota, che deve poi essere fratturata, rotta, da qualcosa di insolito, da un imprevisto e, in ultima analisi, deve essere poi ricucita dal cervello. Nel caso del Sullivanil paradigma è la consapevolezza che tutti dobbiamo morire, ma una volta sola, e la frattura sono proprio le ripetute e inspiegabili morti del personaggio: nel non riuscire a ricucire logicamente questo evento si nasconde l’ironia, il divertimento.

Mammi in un’altra intervista ha dichiarato «scrivo per il puro e semplice piacere di scrivere» e si vede. Possiamo notarlo anche in alcune scelte narrative: il romanzo è ben 335 pagine, suddivise in 56 capitoli – numeri che avrebbero fatto svenire qualsiasi editor. Invece è un testo che si lascia leggere, che appare ben più breve di quel che è, perché è una storia che accade, non una storia che si pensa. Procede a ritmo spedito rubando alle serie TV americane non solo i personaggi, dal Sindaco, all’FBI, passando per preti, vescovi e suore, ma anche la velocità narrativa e le ambientazioni. A proposito dell’ambientazione: Mammi non è mai stato negli USA e questo contraddice la regola #1 di qualsiasi corso di scrittura. Scrivi di quel che conosci, se sei di Modena perché ambientare la storia nel sud degli Stati Uniti? Mammi se ne frega e fa bene. Invia una mail all’indirizzo della casa editrice Nutrimenti e qualche mese dopo è già in libreria. Non trovate che tutto questo sia già ironico?

Nelle pagine di Nostra Signora dei Sullivan ho potuto apprezzare alcuni aspetti riconducibili a un autore che amo molto, e che è per l’appunto statunitense. C. Moore in molti dei suoi romanzi gioca con l’argomento religioso (Il vangelo secondo Biff), usa la morte come pretesto comico e narrativo (Un lavoro sporco) e caratterizza i suoi testi con un humor nero simile a quello del Sullivan. Una narrazione, quella di Moore, molto veloce, diretta, capace di giocare con i paradossi della società statunitense proprio come fa Mammi. Infatti gli USA sono l’unico contesto adatto a una storia come questa: ambientarla in Italia avrebbe provocato troppe difficoltà, sarebbe stata una storia incredibile. Invece gli Stati Uniti sono l’ideale, rendono la storia plausibile: è davvero possibile creare un culto in poche semplici mosse, così come fanno gli adepti di Sullivan. Un autore che ha provato a scherzarecon la religione ambientando le sue storie in Italia è stato J. Masini (Santi Numi): per forza di cose ha dovuto però giocare con l’agiografia, la visione cristiano cattolica e le vite dei Santi. La scelta di Mammi non è stata esoticaper capriccio, ma l’unica possibile per ottenere un romanzo plausibile: «che poi i fatti» scrive «fanno una certa fatica a non apparire reali». Gli Stati Uniti mi fanno pensare anche a un secondo autore, J. R. Lansdale: questi inserisce spesso delle componenti comiche, ironiche, grottesche, paradossali nei suoi thriller; mentre potremmo dire che Mammi inserisce una struttura da thriller in un romanzo comico, ironico, grottesco e paradossale. Lo stesso meccanismo a dosi invertite. Ultimo nome è R. Baldini, anche lui corregionale dell’autore come Masini, anche lui poeta come il primo Mammi che si è avvicinato alla scrittura proprio con la poesia. In un certo Baldini, come in Pronto!Pronto! ad esempio, ho riconosciuto la stessa carica ironica, la volontà di intaccare il quotidiano con un elemento imprevisto portato alle estreme conseguenze, senza che però venga mai affrontato.
Come al solito credo di aver scritto troppo, quindi lascio spazio alla voce dell’autore. 

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Ciao Gianfranco, benvenuto tra gli ironici. Iniziamo con te e andiamo subito al dunque: come definiresti il comico e perché l’hai scelto?
Non ho una preparazione teoretica su cosa sia il comico, anche se ho letto alcuni lavori interessanti in materia (Dialogo sulla comicità di Gianni Celati e le notissime opere di Pirandello e Bergson sull’umorismo e sul riso che non sto neanche a citare). Comico è ciò che ci fa ridere? Può darsi, anche se è una definizione estremamente semplicistica. E ciò che fa sorridere, che cos’è? Un suo sottogenere? Ma una stessa frase può far ridere una persona e solo sorridere un’altra – senza contare che un terzo lettore potrebbe non trovarvi nulla di divertente, anzi potrebbe persino risentirsi. Céline, per esempio, è comico, è ironico, è tragico, è fascista? Tutto quanto insieme? Prendiamo Kafka; pare assodato che, mentre leggeva le proprie opere agli amici, si facesse delle pazze risate. Si riteneva comico? È molto probabile. Parlando di generi, bisognerebbe inoltre distinguere ciò che fa ridere da ciò che vorrebbe far ridere; penso a certi film di terza categoria che nulla hanno a che fare con un Keaton, per esempio. Eppure anche queste opere circolano sotto l’etichetta del comico, della commedia, dell’umoristico. Mi verrebbe da dire che la comicità è una condizione di spirito (del creatore e del fruitore dell’opera), ma poi non so come definire questa condizione. Di conseguenza, non sono in grado di specificare le ragioni della mia scelta; o meglio, posso dichiarare  che non riesco a scrivere se non mi diverto. Sempre tenendo presente che uno potrebbe divertirsi moltissimo a scrivere delle tragedie…

Se la comicità ha tante forme, quale preferisci?
Qui si torna al dilemma posto dalla prima domanda; dal momento che ignoro che cosa sia di preciso la comicità, faccio fatica a distinguerne un tipo dall’altro. In generale, per quanto riguarda la letteratura, preferisco comunque le opere che hanno una certa modulazione ironica. Salvo che poi bisognerebbe definire adeguatamente l’ironia, per intendersi in modo compiuto.

E se ti svegliassi curatore di una collana umoristica, quale titolo le daresti?
Una collana del genere avrebbe senso se riuscisse a dare visibilità a opere che attualmente sono prese un po’ sottogamba o addirittura ignorate perché, pur essendo valide, non vengono considerate degne (di attenzione, di passaparola, di diventare trendy). Non so se, nell’Italia di oggi, sia un progetto realizzabile. La vedo dura, ma si può provare. Nella prima metà del Novecento un mio concittadino, il modenese Formiggini, ha dato vita a una collana intitolata I classici del ridere, che ha visto l’uscita di ben centocinque numeri nel corso di venticinque anni; tra le opere c’era un po’ di tutto (le Lettere persiane di Montesquieu, il Satyricon di Petronio, il Decamerone, tutte le commedie di Machiavelli, Il fantasma di Canterville di Wilde, Il nipote di Rameau di Diderot, L’assassinio come una delle belle arti di De Quincey…); come si vede, anche Formiggini aveva una concezione piuttosto relativa della comicità. Comunque andava sul sicuro – tutti autori affermati e morti da tempo. Ecco, la collana – pur dando voce ad autori contemporanei – potrebbe intitolarsi I morti (nel senso di morti dal ridere, ovviamente).

Come promesso, prima di chiudere, lascio spazio ad alcuni consigli per gli acquisti. I miei suggerimenti li trovate sparpagliati nella recensione: se vi è piaciuto Nostra Signora dei Sullivan provate anche quelli; se al contrario li avete già letti e apprezzati, allora è il momento di scoprire il romanzo di Mammi. Ecco i suoi consigli di lettura:

  1. Daniele Benati è un autore notevolissimo ma non molto conosciuto. Tutti i suoi libri sono pervasi da una potente vena ironica, ma le Opere complete di Learco Pignagnoli sono una vera esplosione di comicità;
  2. Il romanzo d’esordio di Paolo Colagrande, Fideg (cioè “fegato” in piacentino) è un intreccio di profonda cultura e spericolata ironia; o, viceversa, di spericolata cultura e profonda ironia;
  3. Raffaello Baldini ha scritto numerose raccolte di poesie e un paio di opere teatrali nel dialetto di Sant’Arcangelo di Romagna – tutte corredate da ottime traduzioni in italiano e tutte di alto livello: la raccolta intitolata Intercity è un gioiellino di intelligentissima verve.

Nota a margine.
Ulteriore elemento ironico: questa recensione è stata scritta tre volte. La prima non avevo salvato il file e a metà il computer si è scaricato. La seconda ho involontariamente cancellato il documento e mai più ritrovato neanche con un backup del disco. La terza è quella buona – anche se resto convinto che le prime due versioni fossero migliori, ma quello è sempre così. È l’ironia della vita.




Photo credit
Illustrazione in copertina di Federico Arrigoni