Comma 22

Inquadrare Harlem con un grandangolo. Manifesto criminale di Colson Whitehead



Ray Carney è un giovane uomo innamorato della sua famiglia. Gestisce con fierezza il negozio di mobili che con fatica è riuscito ad avviare, tenendosi lontano dai guai grazie al lavoro. Oltre le mura di quel piccolo regno, gli anni Settanta infuriano tra lotte e corruzione, ma Ray vuole rimanere fuori da affari che tempo prima hanno fatto deragliare la sua vita. Anche se i soldi scarseggiano, Ray non cede. Tuttavia, l’amore per una figlia può far crollare ogni resistenza, specie se si tratta di realizzare un suo sogno: assistere a un concerto degli emergenti Jackson Five. I biglietti però sono introvabili, così Ray è costretto a rispolverare vecchi contatti che forse potrebbero dargli una mano a fare in modo che la figlia abbia la possibilità di partecipare al grande evento.

Manifesto criminale, edito da Mondadori, è il nuovo libro di Colson Whitehead, due volte premio Pulitzer e voce importante della letteratura americana contemporanea. Dopo Il ritmo di Harlem romanzo uscito nel 2021, l’autore torna a parlarci della comunità afroamericana di uno dei quartieri più famosi di New York, in quello che si può definire a tutti gli effetti un sequel. Ray Carney e i suoi compari erano infatti già comparsi nel libro precedente: caratteri sfaccettati, in perenne bilico tra bene e male, e con i quali l’autore, evidentemente, non aveva ancora chiuso i conti.

Manifesto criminale di Colson Whitehead

Il romanzo si presenta come un noir classico: un protagonista, un evento che gli cambia la vita, affari sporchi e codice d’onore. Le prime pagine scorrono incalzanti, poi quella che sembrava la linea narrativa principale si perde in un disegno più grande, pensato per abbracciare e descrivere non solo la storia di un uomo, ma quella di un’intera comunità. Sono grandi ambizioni quelle di Colson Whitehead, e miscelare la Storia con personaggi di fantasia è un’abilità che ci si aspetta da un maestro, titolo che Whitehead si è di fatto conquistato a suon di premi. Eppure, nel meccanismo di Manifesto criminale, qualcosa si inceppa. Lo scrittore purtroppo sembra perdere la bussola, non riuscendo più a districarsi nel dedalo narrativo che lui stesso ha creato. A risentirne è soprattutto l’emotività dei protagonisti e il conseguente coinvolgimento del lettore, perché nel procedere della lettura, il pathos a cui Whitehead ci ha abituato grazie ai suoi libri precedenti, e in particolare nel bellissimo La ferrovia sotterranea, perde d’intensità, facendo risultare quest’ultimo libro decisamente sottotono.

Certo, Ray e i suoi amici sono ben delineati e interessanti, in particolare “Zippo”, il piromane amico del protagonista e il detective Munson, corrotto poliziotto che reintroduce Ray all’interno di giri poco raccomandabili, ma a conti fatti, il vero punto di forza del libro risiede proprio nell’inquadramento storico in cui la vicenda si svolge: gli anni Settanta.

Per il cinema e la letteratura, la decade dei grandi moti politici rappresenta una miniera d’oro: sono tanti gli autori affascinati da quest’epoca oscura, sanguinaria e satura di utopie rivoluzionarie iniziate a metà anni Sessanta, quando cioè è arrivato l’inferno del Vietnam. Il conflitto ha cambiando gli equilibri sociali e politici di tutto il mondo, incendiando gli animi di migliaia e migliaia di ragazzi nelle grandi capitali di tutto l’Occidente, come appunto New York: città stratificata e multiforme che più di tutte, rappresenta l’anima dell’America.

Molti lettori e diversi spettatori sono abituati a identificare la Grande Mela solo come un reticolo di grattacieli scintillanti, dove spesso le piaghe del classismo, della violenza e della povertà vengono nascoste sotto fogne sigillate da tombini fumanti, o relegate nelle strade dei ghetti. Per analizzare la sua realtà, Colson Whitehead sceglie una lente diversa, simile al grandangolo adoperato dal primo Spike Lee. L’autore descrive con dovizia la lavorazione di pellicole Blaxploitation, termine contestato, con cui si indicava una corrente cinematografica dove abbondavano sangue e vendetta e che avevano come protagonisti attori afroamericani. Film come Coffy e Foxy Brown, entrambi diretti da Jack Hill, hanno raccolto nel corso degli anni alcuni estimatori, tra cui Quentin Tarantino, che ha omaggiato il sottogenere con il suo Jackie Brown, film che ha come interprete principale Pam Grier.

Ma lo scrittore non si accontenta di riproporre solo il cinema di genere, descrive anche il gruppo Black Panthers Party e il capitalismo rampante che avrebbe fatto evaporare i movimenti rivoluzionari negli imperialistici e scintillanti anni Ottanta, i cui semi prossimi al germoglio erano presenti già nel 1973, anno del completamento delle Torri Gemelle, edifici che «avrebbero oscurato il quartiere di Harlem». Molta carne al fuoco, dunque, ma nonostante la mole di argomenti, qualcosa rimane in sospeso, e il libro pare un affresco dai colori sicuramente accesi, ma che non possiede una dominante cromatica precisa.



Immagine di copertina: Harlem, foto di Flickr