Comma 22

Al cuore di ogni crudeltà. Il libro di X di Sarah Rose Etter



Oscilliamo nella vita tra fatti e sogni, esistiamo in un’intercapedine tra quello che è – numeri, date, conoscenze – e improvvisazioni a occhi aperti. In questo spazio ogni giorno è un’attesa logorante e solitaria.

Il libro di X di Sarah Rose Etter (Pidgin, traduzione di Stefano Pirone) esplora questo spazio, la vita interiore di una ragazza in un paese che può essere qualsiasi paese – come racconta la stessa autrice, una parte della lavorazione si è svolta durante una residenza in Islanda, e qualcosa di quel paesaggio nudo e inimitabile è filtrato tra le pagine.
Etter è qui al suo esordio, dopo aver pubblicato principalmente racconti e collaborato con numerose riviste; si muove tra horror e weird fiction, in una storia che rifiuta nettamente redenzioni preconfezionate ma scarta di continuo da qualsiasi modello. La sperimentazione passa attraverso ampi spazi bianchi, restituendo una narrazione frammentata che si giostra tra l’invenzione pura e l’asetticità di alcune nozioni sparse per il romanzo.

Cassie è nata con un nodo sotto lo sterno, come sua madre e sua nonna. Suo fratello non è annodato, suo padre nemmeno: durante il giorno lavorano alla cava di carne, mentre lei e la madre, i nodi nascosti sotto ampie maglie, strofinano le pareti della casa con il limone. Aleggia un senso di allucinazione tra le macabre venature del marmo rosso della cava, e il bianco acido dei muri; è raccapricciante il modo in cui la carne viene estratta, ancora pulsante, insanguinata: ma la vita di Cassie trova le sue ombre a scuola, tra il fastidio della percezione del proprio corpo, le infatuazioni che le rimandano immagini disgustose di se stessa. E poi la monotonia del lavoro, il giogo del risparmio.
Dalla realtà si distacca fantasticando un corpo diverso, che richiami le riviste che sua madre le propone ossessivamente, e che i medici di volta in volta promettono.

Il libro di X, Sarah Rose Etter

In un mondo surreale dove la carne si estrae dalla terra, non sono distorti invece gli orrori di fondo: il corpo femminile è sempre additato, valutato in base a determinati canoni. A Cassie non è permesso considerare il proprio nodo in alcun modo che non sia quello che le viene riferito da chi ha intorno, e non può sottrarsi allo sguardo morboso delle altre persone. Pur condividendo questa condizione con la madre, cerca di fuggirle, di rompere questa sorta di alleanza; l’eredità pesante che corre lungo la loro linea genetica non incita la solidarietà, non è come passarsi un bene materiale – non è come per suo fratello, a cui dovrebbero essere destinati i terreni del padre e la cava. La preminenza del passaggio tra le generazioni di determinate caratteristiche, che siano doni o condanne, accresce l’ineluttabilità del destino di ognuno: non abbiamo a che fare con una storia solo individuale, ma partecipata, dove il singolo può cambiare eventualmente qualcosa per sé, ma non andrà a sollevare dal fardello chiunque si possa identificare.

Il romanzo di Etter è davvero un oggetto formidabile: si fa carico di un dolore immenso, che sa somministrare alle giuste dosi, lasciando spazio anche a momenti lirici che si innalzano dalla cupezza di tante situazioni, come a concedere un po’ sollievo a chi legge, pur rimanendo spietato nelle sue premesse – ogni volta che un personaggio outsider prova a esistere in un mondo insieme agli altri non possono mancare le frizioni, spiega l’autrice in un’intervista pubblicata su Craft; la nostra società, ragiona, non lo accoglierebbe mai a braccia aperte. La durezza della vita quotidiana è bilanciata dalle Visioni di Cassie, che inventano finali lieti, storie d’amore colme di tenerezza dove invece c’è violenza e giudizio. Di contro, le pagine di dati e informazioni di cosiddetta cultura generale interrompono il flusso onirico, ancorandoci nuovamente alla realtà, e al bisogno di capire, di sviscerare quello che non afferriamo pienamente, e da cui non si può fuggire in ogni caso.

«Sulle strade mi confondo nella popolazione, mi mescolo tra le facce.
Qui nessuno nota il mio nodo a meno che non si avvicini troppo. Non si rendono neanche conto che c’è una pozza di sudore nella fessura più grande, nella quale si potrebbe persino lanciare un piccolissimo sassolino e provocare delle increspature.
[…]
Sparisco velocemente, col nodo che pulsa forte, nella macchia dei volti della città.»

Per quante magnifiche invenzioni Etter possa inserire nel suo testo, il peso di Cassie possiamo sentircelo addosso, lo riconosciamo come lo stessimo leggendo in un articolo di cronaca. In lei si concretizza come un fatto genetico che impatta sul suo aspetto, dandole una forma non accettata, ma può incarnarsi in qualsiasi condizione che isoli chi la vive dal resto della società. Per la stessa Etter poteva essere l’ansia, o la depressione; può essere ogni possibile manifestazione del corpo, cicatrici visibili o invisibili. É un romanzo crudele, di tristissima bellezza e sfacciata onestà.
Non ci può essere un vero riscatto in questo contesto: tra le scosse sottili che vengono dal Libro di X, questa è quella che saetta dritta nel cervello, più affilata.




L’immagine di copertina è Granny Carolina, di Carol Rama – la citazione in esergo a Il libro di X è della stessa Rama: «Qualcuno vive in un inferno? Che cerchi di sfruttarlo al massimo»
© Archivio Carol Rama, Turin. Collection Fondazione CRT per l’Arte Moderna e Contemporanea and GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Turin. Courtesy Fondazione Torino Musei.
Photo: Studio Gonella