Search
Close this search box.

Volveréis. Separarsi tornando a considerarsi

Jonás Trueba riscrive la commedia romantica lavorando sul metatestuale

E se le storie d’amore e i legami sentimentali si scrivessero al contrario? Se partissero dalla fine per ritrovarsi all’inizio? Non è una lettura per immagini in ordine anti-cronologico come quella di Ozon in 5×2, ma un approccio filosofico applicato alla vita e al cinema: questa è l’irriverente e spumeggiante visione del regista spagnolo Jonás Trueba, che con VolveréisUna storia d’amore quasi classica, in sala dal 12 giugno grazie a Wanted Cinema, sovverte gli stilemi della commedia romantica e conquista ampio consenso da parte della critica e dei circuiti festivalieri.

Alex (Vito Sanz) e Ale (Itsaso Arana), coppia nella vita e sul lavoro – regista e attore –  da quindici anni, decidono di separarsi e di organizzare una grande festa con parenti e amici per celebrare la separazione. Un’impresa che li esalta e li porta a confrontarsi con le reazioni di chi sta loro intorno oltre che a riconsiderare il proprio percorso e i propri desideri.

Volveréis

L’idea della festa nasce da una considerazione filosofica del padre di Ale (Fernando Trueba, padre del regista della pellicola) che sostiene che non si debbano celebrare le unioni perché non si sa dove porteranno, ma che, al contrario, vadano festeggiate le separazioni perché mettono un punto. Il concetto viene ossessivamente e compulsivamente ripetuto dai personaggi nello spiegare il loro intento, quasi come se loro stessi, così entusiasti, dovessero ancora metabolizzare il vero significato della scelta fatta.  Anche le contestazioni mosse dagli invitati rimangono omogeneamente in linea: Alex e Ale sono davvero convinti della loro decisione? Non stanno, forse, cercare un modo alternativo per rimanere uniti?
A questo punto, quando tutte le carte sono state scoperte, entrano in gioco la vera filosofia, il metatesto e il metacinema: Trueba mostra allo spettatore che il film che Ale sta finendo di montare ricalca perfettamente il suo vissuto con il compagno – a tratti cinema e finzione si compenetrano tanto da annullare ogni confine. In secondo luogo, alla protagonista vengono prestati due volumetti che, da mero oggetto ornamentale quale sembrerebbero essere, diventano chiavi di lettura interna ed esterna. Gli autori chiamati in causa sono Kierkegaard con La ripetizione e Stanley Cavell con Alla ricerca della felicità – La commedia hollywoodiana del rimatrimonio. L’indagine umana, sentimentale e linguistica, dunque, si infittisce aprendo nuove possibilità di riflessione sulla vicenda e sul cinema. L’amore della ripetizione per Kierkegaard è il solo felice perché si regge sulla sicurezza dell’istante e dunque porta al potersi riproporre senza lasciar spazio allo sbalzo e al cambiamento del nuovo e dell’estraneo che intacca la quotidianità. E sull’ordinaria amministrazione, sulle piccole cose da affrontare e decidere insieme, infatti, si basa la relazione di Alex e Ale nella porzione di vita che ci è dato conoscere: non solo organizzano la festa, ma parlano a parenti e amici, preparano gli scatoloni, visitano nuovi appartamenti da vivere singolarmente, e lo fanno rigorosamente in due, quasi a voler creare – come sostiene chi saggiamente ci vede lungo – un nuovo alfabeto di condivisione e di esperienzialità.
Di Cavell, Trueba interiorizza tanto l’idea che il cinema possa rendere migliori gli individui suscitando dubbi e domande, quanto la decostruzione del regolare andamento della narrazione classica da commedia romantica: il rimatrimonio è possibile nel momento in cui ci si allontana da ogni certezza e si riprende in mano la relazione da una nuova prospettiva. Il cinema diventa così veicolo di una nuova costruzione dei sentimenti. L’esasperata ripetitività verbosa a cui i personaggi si aggrappano straborda ed eccede fino a depotenziare il valore delle parole che non sono più dimostrazione di certezze, ma protezioni dietro cui ripararsi per autoconvincersi di star percorrendo la strada giusta, quella che farà davvero star bene tutti.  Giunti all’acme della ridondanza annullata, il dialogo ha una battuta d’arresto e si trasforma in riflessione interiore, lettura silenziosa del vissuto e del ricordo che non ha perso colore e pregnanza.

Volveréis

Volveréis è, dunque, una commedia profonda che guarda alla complessità delle relazioni come Allen e Baumbach, che omaggia i maestri del cinema europeo citandoli o poggiando fiori sulle loro lapidi – nel video, ricordo di una vacanza parigina, Alex e Ale lasciano una rosa sulla tomba di Truffaut –, creando una forte interconnessione tra arte e vita tanto da portarle alla fusione. Cinema e vita sono specchi che riflettono il positivo e il negativo del rapporto di coppia; si salta da un set – quello di Dieci capodanni di Sorogoyen – alla sala di montaggio con la stessa naturalezza con cui si frequentano i mercatini dell’usato o si accoglie in casa l’idraulico creando una continuità che anima e rafforza un’estetica dell’ordinario a due, poetica ed ispirata per giungere ad un finale che dà respiro senza imporre o concludere, suggerendo una crescita che denota maturità di sguardo.

categorie
menu