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Le figure per dirlo: una storia sommersa delle illustratrici italiane

Un’opera di scavo, quella di Paola Pallottino, nota studiosa di illustrazione e paroliera per Lucio Dalla. Un’opera di scavo e soprattutto rivoluzionaria. Nessuno, infatti, prima di oggi, si era mai cimentato in un’impresa simile: ricostruire la storia delle illustratrici italiane, dal Seicento all’epoca odierna; un viaggio sotterraneo e affascinante attraverso tendenze culturali e artistiche, tecniche figurative differenti e idiosincrasie personalissime.
Il risultato di questa ricerca compilativa è Le figure per dirlo. Storia delle illustratrici italiane, edito da Treccani negli ultimi mesi del 2019. Ma lasciamo che sia l’autrice stessa a raccontarci della sua opera, e soprattutto di ciò che ha significato cimentarsi in un’impresa simile.

illustratrici
Luisa Fantini, «Lidel», n.6, anno XVI, Milano giugno 1934. Copertina a colori

Le figure per dirlo è un primo affascinante viaggio che vuole riscoprire e scolpire nella memoria collettiva figure che sono state emarginate due volte: in primis per il loro statuto generico di donne e in secondo luogo perché relegate a una branca dell’arte considerata di poco conto, cioè l’illustrazione. Lei, nel libro, parla anche di come «l’illustrazione femminile sia la storia di una cancellazione». In tempi recenti, però, pare che la situazione sia drasticamente cambiata: la presenza di donne illustratrici al centro dell’attenzione è incrementata, così come l’importanza stessa di quest’arte. Sembra quasi che le due cose vadano di pari passo.
In effetti il rapporto di 1 a 100 nel corso degli anni Novanta è andato ribaltandosi: il numero delle illustratrici era infatti superiore a quello degli uomini. Poi ci sono state crisi economiche e recessioni che hanno coinvolto anche il mondo editoriale e molti artisti sono andati o tornati all’illustrazione. Infatti, nella crisi complessiva dell’editoria, la branca che ha sofferto di meno è stata proprio quella dell’infanzia, per sua natura illustrata. C’è un tema che nessuno affronta, cioè l’importanza da un punto di vista storico, critico e teorico dell’illustrazione. Anche questo contribuisce a una maggiore attenzione al fenomeno.
È chiaro che nel tempo è aumentato l’interesse nei confronti dell’illustrazione. Io sono una contemporaneista, per anni ho insegnato storia dell’arte contemporanea all’università e venivo guardata con sospetto dai miei colleghi perché mi occupavo di illustrazione, ritenuta un’arte minore. Oggi però qualsiasi documento iconico è considerato importante alla stregua del documento scritto.

Com’è nata l’idea di realizzare una vera e propria Storia delle illustratrici?
Ero partita pensando di fare un dizionario delle illustratrici donne. Poi mi sono accorta che le prime donne che hanno firmato le loro illustrazioni, all’epoca calcografiche, incisioni su rame o zinco, appaiono nel Seicento. Dal Seicento a oggi il numero delle illustratrici si è talmente moltiplicato che io da sola ne ho potute mettere insieme almeno 3000, il che impediva di fare un dizionario con tremila citazioni. Per questo è nato questo libro, nella sua forma attuale. Io nomino tantissime artiste, ma di fatto ne mostro solo 115, alle quali allego una scheda più approfondita della loro opera. Con mio grande dispiacere ne rimangono fuori tante, con la lacerazione che molte sarebbero state meritevoli di venire citate. Quindi mi sono ripromessa di realizzare davvero un dizionario online in ordine alfabetico in cui le inserisco tutte. Sarà uno strumento utilissimo e in perenne aggiustamento.

Come ha detto prima, l’illustrazione è sempre stata considerata un’arte minore. Oggi però si può dire che la situazione sia radicalmente mutata, sia nella concezione comune che in senso accademico.
Dall’alto dei miei 80 anni vedo una squadra di giovani e valorosi studiosi che si fanno avanti e sempre più trova spazio in ambito accademico lo studio dell’illustrazione. Sono cadute una serie di barriere. Oggi nell’ambito del fumetto e dei libri di sole immagini assistiamo a fenomeni di qualità artistica strepitosa, e ovviamente la critica deve registrarlo. Si è democraticizzata la situazione sicuramente grazie a Internet, ma anche e soprattutto grazie ai nostri sforzi critici.
È stato un processo lungo, cui anche io ho dato il mio contributo. Per esempio, negli anni Settanta ho cominciato a pubblicare con Cappelli la collana Cento anni di illustratori, riservando all’illustratore lo stesso trattamento dedicato a quelli che all’epoca erano considerati gli unici veri artisti, ricostruendone la storia, cercando la bibliografia, studiando le opere realizzate. Volevo realizzare una differenza di approccio: ho analizzato gli illustratori in quanto artisti, ricercando tutti quegli aspetti che potevano illuminare il loro percorso e la loro personalità.

È anche interessante riflettere sull’evoluzione delle tecniche e delle stesse immagini nel corso del tempo, al di là delle influenze ideologiche e culturali. In questo senso, oggi dominano le immagini realizzate al computer.
È strano come il mezzo condizioni il contenuto. Penso alla xilografia, ovvero l’incisione sul legno, che era al servizio di immagini abbastanza severe e ieratiche, o alla calcografia, cioè l’incisione su rame, acciaio con successiva inchiostratura e stampa che favoriva la ricerca del particolare, la morbidezza dei panneggi; penso all’esplosione della litografia che era funzionale ai grandi manifesti, alle immagini a colori della prima diffusione dei giornali illustrati. Oggi l’immagine al computer favorisce un certo modo di esprimersi e questo va analizzato fino in fondo. Io nel libro ho inserito un’immagine di Olimpia Zagnoli, artista italiana con fama internazionale stabilitasi a New York, che non potrebbe essere realizzata altro che al computer.

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Olimpia Zagnoli in So You’re Not Desiderable…, «The New York Times», 16 maggio 2014. Illustrazione digitale

Nel suo viaggio attraverso l’illustrazione italiana femminile, compaiono una moltitudine di volti, di storie e di talenti. C’è qualche artista che l’ha colpita più delle altre? Perché?
La mia prediletta in assoluto da tempo immemorabile, anche perché ho avuto il privilegio di conoscerla, è Brunetta, Bruna Moretti Mateldi, che ha sposato il suo maestro Filiberto Mateldi. A lei sola dedico una doppia pagina, nel libro.
Ci sono state anche artiste che in un primo tempo avevo sottovalutato. Un esempio è quello della Contessa Gabriella Fabbricotti (1878-1943, ndr). In seguito, in una ricerca sul web, mi sono apparse tre immagini a colori relative a un libro di storie di santi del 1924. Erano interessantissime! Mi sono messa allora all’inseguimento di questo libro, che poi ho trovato e ho potuto comprare.  Le immagini erano di un realismo simbolico straordinario, ed è stato solo l’inizio. Ho scoperto un’artista e una vita incredibile. Devo dire che la Fabbricotti è stata una vera e propria scoperta.

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Brunetta Moretti Mateldi in Calze di seta, «Scena illustrata», n.12, anno LIII, Firenze dicembre 1938. Doppia pagina illustrata bicolore.

Lei stessa, oltre che paroliera e storica dell’arte, è stata, è una talentuosa illustratrice. Com’è nato questo amore per l’illustrazione? Qual è stato il suo percorso artistico?
Guardare le figure è sempre stato qualcosa di appassionante per me. Sono nata in una casa dove c’era una grande biblioteca, per cui i primi libri che ho visto contenevano le incisioni dei grandi illustratori. Chiaramente erano per adulti, ma mi affascinavano moltissimo.
In realtà, poi, ho illustrato molto poco. Mi è sempre piaciuta l’illustrazione naturalistica, per cui ho studiato a lungo l’illustrazione botanica e zoologica. Ho anche scoperto che si è prima affermata, a partire dal Cinquecento, l’illustrazione botanica, anche perché legata ai giardini dei semplici, e quella zoologica immediatamente dopo. Si è passati dal leggendario delle miniature a ricerche fatte sul campo, con una serie di convenzioni. Per esempio, un fiore a stelo lunghissimo non si poteva rendere in un’illustrazione tutta verticale e stretta. La convenzione voleva che venisse reciso il gambo e messa la parte recisa accanto per far capire che era un gambo molto lungo. I grandi illustratori, poi, raffiguravano gli animali sotto vari aspetti: al meglio della loro livrea (in genere il maschio), nella posizione caratteristica, scelti nella pienezza dell’individuo adulto, infine collocati nel loro habitat naturale con accenni paesaggistici.
Quindi ho iniziato con l’illustrazione scientifica. Ho disegnato per Zanichelli 600 animali; avevo 10 fonti per ognuno, poi però procedevo con una raffigurazione di pochi segni, perché per mostrare bene l’individuo bisognava selezionare e togliere delle informazioni inutili. Ho fatto sempre per Zanichelli altri libri a sfondo scientifico, poi ho collaborato a qualche giornale per bambini. Ho smesso alla fine, perché credo che o si studiano gli illustratori o si illustra. Per illustrare ci vuole un’attività a tempo pieno, che non potevo più permettermi. Ho quindi privilegiato il compito di analisi e critica.

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Gabriella Fabbricotti, Gerolamo, Il ruggito

Ritornando al progetto del dizionario: ci sta già lavorando o ha altri progetti in cantiere?
Non ancora. Intanto una cosa che mi sono ripromessa di fare sarebbe un libro sull’avventura di aver fatto questo libro, perché è stata una scoperta dietro l’altra. Vorrei anche inserire i buffi aneddoti che mi sono capitati durante l’opera di ricerca. Ho fatto appello a varie sedi, avevo messo anche online una sorta di questionario con una scheda a cui le varie artiste potevano iscriversi mandando notizie del loro lavoro e un’immagine rappresentativa. Le illustratrici che hanno risposto a questo appello sono state 340. Con molta sofferenza ho dovuto lasciarne fuori tante.
Ricevevo messaggi molto belli e divertenti. Per esempio: «Prof., sto riempiendo la scheda, ce la faccio per giovedì?». E allora a me veniva da ridere perché pensavo che sarebbero dovuti passare un’infinità di giovedì! Oppure: «Cara Prof., non so se posso registrarmi perché faccio la parrucchiera, però nel mio negozio ci sono una quantità di fotografie bellissime. Mi posso iscrivere?». O ancora: «Cara Prof., io ho riempito tutta la scheda, ma il mio profilo non viene fuori. Posso mandarle un memoriale con tutta l’attività della mia vita?»
È stato un rapporto molto appassionante e vivo e la cosa strepitosa è che sono emerse storie incredibili di queste donne, donne straordinarie.
Per quanto riguarda il dizionario, ora è assolutamente prematuro parlarne. L’avventura di questo libro non è ancora finita, anche a causa dell’emergenza Covid. Il mio book tour si è interrotto bruscamente per il contagio, avevo una serie di appuntamenti che sono stati cancellati. Spero di recuperare al più presto.



In copertina, Titina Rota in La leggenda del giglio della notte, «Noi e il Mondo»,
n.11, anno VI, Roma 1 novembre 1916. Illustrazione bicolore

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