You
Camera Obscura

La narrazione seriale dell’ossessione: You e la società contemporanea



Una porta si apre, il suono di un campanellino richiama l’attenzione dei presenti in sala, entra una ragazza bionda che si guarda intorno, si aggira tra gli scaffali di una libreria vintage. Gli occhi neri di un commesso rintanato tra gli scaffali si posano su di lei. Occhi rapiti, immobili, uno sguardo che si conficca in quella figura di ragazza giovane e bella. 
Lui si chiama Joe, lei Beck. È amore a prima vista, o forse sarebbe più corretto dire, ossessione al primo colpo d’occhio. 
La prima stagione di You, serie americana ideata da Sera Gamble, prodotta da Greg Berlanti e tratta dai romanzi di Caroline Kepnes, è uscita nel 2018, riscuotendo un grande successo di pubblico e tiepide recensioni dalla critica. Dato il riscontro positivo, la serie è stata subito rinnovata per altre due stagioni, incollando così diversi spettatori sparsi in tutto il mondo allo schermo, e garantendo loro la possibilità di assistere alle gesta di Joe Goldberg per tanti altri episodi. 
You si presenta come un prodotto semplice: Joe è un ragazzo comune, con una straordinaria passione per la lettura, è un giovane uomo solitario, in apparenza tranquillo e rilassato, un personaggio d’altri tempi che preferisce stare nel suo appartamento a leggere i romanzi di Fitzgerald invece di mescolarsi a una vita sociale in cui contano troppo le apparenze. 
Tuttavia, dietro alla sua maturità e alla sua saggezza, nasconde una personalità travagliata, violenta e pericolosa: uno stalker lucido, un killer freddo ed esperto, che possiede l’intelligenza necessaria ad attrarre le persone di cui si innamora all’interno della sua rete.
Il successo di You non è casuale: l’argomento può attirare molti spettatori e accendere la curiosità di un pubblico davvero eterogeneo, e nonostante il target prettamente commerciale è una serie intelligente, che racconta molto della società di cui tutti noi, purtroppo o per fortuna, facciamo parte. 

You

You si presenta come un prodotto che deve molto alle serie destinate agli adolescenti (l’attore protagonista, Penn Badgley, è stato uno dei protagonisti di Gossip Girl) arricchito però da un’estetica interessante, un uso sapiente della fotografia che, attraverso le luci sparate, le ombre e i grandangoli con i contorni dell’inquadratura volutamente fuori fuoco, restituisce allo spettatore la visione del protagonista: distorta, allucinata e spesso annebbiata
Joe Goldberg è un calcolatore che riesce a mantenere uno spirito romantico. La voce interiore, tanto letteraria e invasiva quanto efficace, racconta i suoi ragionamenti e i suoi impulsi, facendo entrare lo spettatore in quelli che sono tutti gli stati d’animo dello stalker, che spesso e volentieri è vittima di se stesso. 
Gli episodi scorrono veloci, la sceneggiatura è ritmata, a volte troppo macchinosa, ma comunque frizzante, perché descrive con chiarezza la parabola di un ragazzo con un passato oscuro, una persona con grandi carenze affettive e paure che si trasformano in furia cieca. 

Non si può provare empatia nei confronti di uno stalker, una figura ossessionata non tanto dall’amore, ma dall’idea dell’amore, un uomo che la fa franca, che non riesce a frenare i suoi istinti bestiali e che in qualche modo rappresenta un nemico.
Eppure, la serie propone una visione diversa. Per quanto noi, spettatori comuni e persone civili, aborriamo le azioni di Joe e non ci passa nemmeno per la testa di giustificare i suoi delitti, qualcosa dentro di noi ci spinge alla riflessione. 
Joe Goldberg è la rappresentazione del male? Un sociopatico da rinchiudere, oppure il prodotto di una società allo sbando, individualista e meschina? 
Gli sceneggiatori della serie sono abili: non puntano tanto ad attanagliare lo spettatore per fargli macinare altri episodi, ma lo provocano, punzecchiando il suo senso etico e morale, riuscendo a confonderlo nell’identificazione dei buoni e dei cattivi. Caratteristiche importanti, che aggiungono spessore a una serie che sembrava nascere come un prodotto puramente d’intrattenimento. 

You

La prima stagione, per contenuto e per ritmo, probabilmente rimane la migliore. Nonostante la seconda sia accattivante e introduca nuovi e inquietanti personaggi come Love e Forty, fratelli destinati a cambiare la vita del protagonista, rimane quasi un esercizio fine a se stesso. 
La serie funziona, si guarda tranquillamente, tuttavia alcune dinamiche sanno di già visto e alla lunga risultano un po’ forzate, difetti di cui risente anche la terza parte, una stagione che vede Joe non solo alle prese con un rapporto in crisi, ma anche con la paternità.
Questo terzo segmento risulta inferiore rispetto alle premesse scintillanti della prima stagione, ci sono troppe lungaggini, le linee psicologiche dei protagonisti sono pasticciate, subiscono cambi repentini che sanno di artefatto. 
Non mancano però le evoluzioni, i colpi di scena efficaci e una sottile critica a una società dell’apparenza spietata, rincoglionita da regole apprese nei manuali di auto aiuto e, soprattutto, drogata di Instagram.
Questo è il vero punto di forza della terza stagione: raccontare due criminali inseriti in una comunità in apparenza perfetta ma talmente assuefatta a sé da non accorgersi degli orribili fatti che avvengono al suo interno

Per i fan irriducibili resta uno spettacolo assicurato, ma nei riguardi di questa terza parte si sono anche levate le critiche maggiori.
Sicuramente You non è un capolavoro che entrerà di diritto nella storia della serialità, ma rimane comunque un prodotto interessante, che racconta molto di noi, delle nostre psicosi e delle nostre fragilità. Debolezze che spesso teniamo nascoste, ma che esistono. Una serie piacevole, che riesce a richiamare l’attenzione e che, stando alla conclusione della terza stagione, continuerà a riservarci delle sorprese.