Camera Obscura

Invisible Hand. Un film per dare voce al grido di Madre Terra

Certi argomenti, oltre a quella professionale, toccano la propria vita nella sua totalità. Anzi, certi argomenti non sono “argomenti”, ma l’interezza del sentire e, nel mio caso, della mia scrittura. Per noi che in questo “non” movimento abbiamo trovato il passaggio mancante per arrivare a un vero e nuovo modo di regolare i rapporti tra la Terra e la comunità umana, in questi ultimi decenni ci sono stati passaggi fondamentali per ritrovare la traccia verso la saggezza originale di ciò che la nostra specie, all’interno della grande comunità della Terra, dovrebbe tornare a essere.
In Italia si iniziò a parlarne con l’uscita del libro I Diritti della Natura. Wild Law di Cormac Cullinan, nel 2012 (Piano B Edizioni) e la prima conferenza internazionale tenutasi in Italia in quell’anno nel cuore del controverso mondo industriale da dove è partita la pandemia del 2020, Alzano Lombardo. Lì iniziammo a cercare sponda in diversi ambiti: giornalistici, giuridici, amministrativi, accademici, anche ambientalisti e la tiepida risposta dei suddetti ambiti confermò che il nervo era scoperto; l’antropocentrismo dogmatico, intoccabile, che regola le nostre società, derivante dal distorto pensiero di tradizione cartesiana, resta spalmato nel DNA di una cultura sociale che non sembra ancora pronta – anche dopo l’emergenza Covid-19, la risultante di un rapporto malato con la Terra e dunque con la percezione stessa del nostro ruolo su questo pianeta.

Invisible Hand

La rivoluzione giuridica conosciuta come “diritti della natura” però prosegue: in questo 2020 è uscito Invisible Hand, film documentario capace di spiegare, con pragmatismo e profonda poetica, cosa accade quando il nostro distacco da noi stessi (la natura, l’universo di cui siamo parte), conduce a una situazione denunciata da molte parti come insostenibile, a ogni livello. Il film, prodotto e narrato da Mark Ruffalo, realizzato da Joshua B. Pribanic e Melissa Troutman, è stato lanciato in streaming lo scorso 4 settembre e in 84 intensi minuti percorre il viaggio iniziato anni fa da diverse comunità rurali americane. Là dove la geografia è lontana dai riflettori, da decenni il patto sporco tra Stato e mondo Corporate consente di perpetrare sempre gli stessi soprusi, con la differenza che oggi si utilizzano le agenzie per l’ambiente come “regolatrici” di rapporti sbilanciati sempre a favore del capitalismo che ormai ha dichiaratamente fatto capire che gli esseri umani sono un intralcio sulla via del profitto.
Ma non è solo un film di denuncia, Invisible Hand: quest’opera è una visione a più strati, avvolta dall’idea più olistica che si lega alla consapevolezza di essere parte della Madre Terra. Non a caso, ad aprire e a chiudere la narrazione, vediamo-ascoltiamo la storia indigena raccontata da Degawëno:da’s (Colui Che Tuona) della Seneca Nation of Indians, che mentre scorre lungo il fiume con la sua canoa rappresenta la vita e ci ricorda il nostro “compito originario”. Il tema è dunque quello che chi conosce la tematica sa da sempre quando si parla di “diritti della natura”: come fare per inserire la saggezza indigena in un sistema legale? Il viaggio di Invisible Hand, come quello del libro di Cullinan, è lo stesso e va verso la meta comune: riconoscere il diritto di esistere all’ecosistema. Essendone noi parte, solo così davvero assicureremo alla specie umana la sopravvivenza. Va premesso questo, prima di vedere il film: secondo il Diritto vigente, che si rifà al ceppo comune del diritto romano, come essere umano sono giuridicamente considerato una persona. Un fiume, un albero, una specie animale, un ecosistema, è un “oggetto” – è proprietà di qualcuno o di qualcosa (uno Stato, ad esempio). Una corporation – una multinazionale – invece di essere un “oggetto” giuridico, è una “persona” giuridica e ciò provoca una serie di conseguenze che hanno portato alla situazione nella quale viviamo da ormai almeno un secolo.

Invisible Hand si muove dietro le quinte dell’economia globale e del turbocapitalismo e chiede a chi lo vede se davvero vogliamo soccombere a un sistema economico fondato sull’egoismo a beneficio di pochi o se finalmente vogliamo essere di nuovo ciò che siamo, ovvero natura. La natura prospera grazie alla cooperazione tra specie, è in qualche modo programmata per promuovere la vita. Noi, a differenza dei nostri “parenti” alberi, fiumi, animali, ecosistemi più o meno grandi, per sopravvivere ci siamo concessi di predare oltre il dovuto, di prendere senza restituire, di calpestare tutte quelle culture indigene che conoscevano bene il segreto della vita, l’equilibrio. Perso l’equilibrio, abbiamo smarrito il senso della misura e non è un caso se il film ci porta nel cuore di alcune comunità indigene degli Stati Uniti, a suo tempo calpestate, depredate e massacrate, come la storia degli Stati Uniti dimostra. La narrazione del film fa emergere chiaramente la necessità dei diritti alla natura e la guarigione dal tumore dell’antropocentrismo. Vediamo comunità che si uniscono e comprendono l’intimità e il senso di appartenenza a qualcosa di più grande. Le culture indigene di tutto il mondo ci avevano ammonito già due secoli fa: quello che state facendo a noi accadrà anche a voi e questa è la tremenda mano invisibile del “destino manifesto” che con il capitalismo ha scardinato l’equilibrio e ci ha fatto dimenticare quale è il nostro compito originario. In questa narrazione cinematografica, un personaggio chiave è la musica di Heavy Color, una straordinaria colonna sonora che tinteggia i passaggi in maniera imprevedibile, proprio come lo scorrere di un fiume, della vita – senza mai essere didascalica, sempre capace di unificare le storie, le emozioni, i pensieri, le informazioni, le immagini e le visioni suscitate (la colonna sonora è disponibile in cd e in digitale, sotto il titolo di Music for the film Invisible Hand).

Nell’autunno del 2014, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un ecosistema promosse una causa legale per difendersi e poter esigere “il diritto di esistere”. Accadde a Grant Township, Indiana County, Pennsylvania – 700 abitanti e circa 70 kmq di estensione territoriale. Per ritorsione, una corporation prima e il governo dello Stato della Pennsylvania poi, diedero inizio a una battaglia legale impari. Per gli abitanti della comunità, la causa era stata decisa per fermare un progetto scellerato, ma legale, a causa di regolamenti ambientali congegnati per dare via libera, legalmente, ad azioni devastanti per il territorio: la costruzione di un pozzo nel quale scaricare i residui tossici radioattivi proveniente dalla devastante attività di estrazione chiamata fracking. Un comune di 700 abitanti non può trovare nel paradigma legislativo vigente – congegnato per difendere gli interessi dei più forti e prepotenti – le risposte. Ma è altrettanto evidente che praticando la disobbedienza civile qualcosa poteva e doveva muoversi. E si è mosso: nello scorrere delle immagini, nelle interviste, nella forza morale dei protagonisti, nelle espressioni imbarazzate delle autorità, emerge con grande vividezza il senso delle cose. I semplici cittadini di Grant Township sanno di appartenere a quei fiumi e a quei boschi, sanno di farne parte; sanno che l’ultima possibilità per salvaguardare l’acqua e la salute di tutto l’ecosistema, dunque anche la loro salute, è quella di garantirne i diritti. E allora, con la consulenza di alcuni avvocati che negli USA si occupano di diritti della natura da anni, hanno deciso di portare in tribunale la provocazione: l’ecosistema vi fa causa e voi dovete rispondere del disastro che state per avvallare con leggi sbagliate, progettate per favorire le corporation, invece di salvaguardare il territorio.

Invisible Hand
Markie Miller e Tish O’Dell partecipano alle proteste a Toledo, Ohio. ©Toledoans for Safe Water

Il viaggio prosegue con il clamoroso caso della Carta dei Diritti del lago Erie (il tredicesimo per estensione al mondo) a Toledo, Ohio. Lì, un voto popolare ha sconvolto ogni previsione permettendo di riconoscere alle acque internazionali lo status legale di Persona. Siamo nella zona dei Grandi Laghi: il lago Erie vive grazie alle acque del fiume Detroit, in Michigan e ha come unico emissario il Niagara, che porta al lago Ontario, in Canada. La storia di questo Bill of Rights ha fatto molto discutere sui media perché per larga parte delle persone è inaccettabile pensare che un ecosistema abbia gli stessi diritti di un essere umano. Peccato che senza l’acqua pulita e senza inquinanti radioattivi (gli scarichi del fracking), l’essere umano non potrebbe vivere. È davvero così difficile capirlo? Siamo davvero così presuntuosi e narcisisti, con quello che ci sta accadendo, da credere di essere veramente l’ombelico dell’universo, noi bipedi?
Non poteva poi mancare il caso di Standing Rock in North Dakota, dove dal 2016 la stessa corporation che sta minacciando l’ecosistema di Grant Township ha iniziato a usare addirittura forze di polizia militarizzate contro le popolazioni indigene e i loro alleati, uniti per difendere i diritti di Madre Terra. Quanto è simbolico che ciò accada in North Dakota, dove le riserve nelle quali sono stati confinati i nativi americani ci hanno raccontato storie tremende che hanno attraversato per tutto il Novecento le cronache internazionali e i cui problemi sono ben lungi dall’essere risolti. Ma gli indigeni del mondo, che faremmo bene ad ascoltare, dall’Amazzonia all’Artico, conoscono molto bene il senso dell’espressione “una Terra, una madre”. Non è uno slogan per il green washing aziendale. Per loro è una storia lunga millenni. E così dovrebbe diventare per noi. Ma, a questa madre, serve riconoscere diritti pari ai nostri e smettere di vivere occupandoci solo della sua predazione, del suo stupro quotidiano. Ed è infine con la storia che ha visto, sul confine tra gli stati della Pennsylvania e New York, la Seneca Nation of Indians allearsi con le comunità del Triple Divide, che questa realtà viene riaffermata con forza. Lì, le persone si sono unite ancora una volta per fermare lo scarico del materiale di scarto proveniente dall’attività di fracking, che entra direttamente nelle acque del fiume Ohi:yo’. Lì, la lotta continua, con una consapevolezza crescente dell’appartenenza a qualcosa di più grande.

Invisible Hand è diverso da qualsiasi altro film dedicato ai temi ambientali: il film di Pribanick e Troutman è permeato da una visione evidente a chi, senza giudicare, volesse fermarsi a riflettere sul nostro ruolo e le nostre azioni. Si comprende come in gioco non ci sia solo la democrazia – già abbastanza in crisi a causa delle lobby che hanno condizionato, ovunque, le leggi sull’ambiente – ma quell’entità vivente, Gaia, Madre Terra, di cui tutti siamo parte. Comprendere i diritti della natura non è complicato: si basano su un principio semplicissimo, quello dell’appartenenza e del mutuo scambio, oltre che abdicando all’illusione dell’antropocentrismo. Madre Terra ci ha dato dei diritti e soprattutto dei doveri: ci siamo presi i primi e abbiamo deciso di fregarcene dei secondi, se non quando è strettamente necessario, ma nel breve periodo. Riconoscere questi diritti è un atto dovuto – anche a noi stessi. O si riconoscono i diritti di una Madre, oppure anche i suoi figli non potranno essere protetti. Questo ci consentirà di avere un futuro su questo pianeta che, è bene ricordare, andrà avanti anche senza di noi, rigenerandosi come fa di continuo, evolvendosi, modificandosi, al di là della nostra presenza. Se ci sembra normale che, al solo scopo di realizzare inconcepibili profitti, una corporation possa devastare una delle più grandi riserve di acqua dolce del Pianeta (lago Erie) piuttosto che promuovere il controllo totale delle risorse naturali, significa solo una cosa: la mano invisibile che ha guidato il capitalismo negli ultimi tre secoli continuerà ad agire indisturbata e noi, i malati, continueremo a essere convinti che la malattia è il nostro stato di salute accettabile.