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Il proiettore spento. Viaggio tra le sale cinematografiche chiuse dal lockdown

Se c’è un’immagine che meglio delle altre sembra incarnare le inquietudini del cinema nel nuovo millennio, questa è senza dubbio la sequenza iniziale di The Canyons, la maltrattata pellicola diretta da Paul Schrader e scritta da Bret Easton Ellis che, al netto delle paturnie tossico-esistenziali della sua protagonista Tara/Lindsay Lohan, allestiva un mondo nel quale l’immagine viene moltiplicata dai dispositivi portatili fino alla nausée tecnica e le sale cinematografiche, come mostrato nella mortifera carrellata che apre il film, possono in ultima istanza essere chiuse e abbandonate, come un vecchio giocattolo.
Quello che Schrader lanciava nel 2013 era di fatto un grido d’allarme – accorato, da uomo di cinema di lunga data – rivolto a tutti coloro che da qualche tempo avevano iniziato a ritenere lo spazio fisico della sala come qualcosa di superfluo, un capriccio elitario nell’era delle piattaforme on demand. Nella morte dei cinema ripresi dal regista americano è insita, come incassata nel significante, la morte dell’immaginario, e con esso la messa in discussione delle regole del vivere individuale e comunitario. L’idea stessa di società.

Una metafora, si dirà. Eppure nei giorni del nuovo lockdown italiano mi è quasi impossibile scacciare questo pensiero mentre mi aggiro tra le sale cinematografiche di Milano, che hanno chiuso le saracinesche già con il DPCM del 25 ottobre, in anticipo sul resto degli altri settori dell’economia del paese. «Non ce lo aspettavamo, e non in quel momento» mi racconta Agata De Laurentiis, socio fondatore del Cinemino in via Seneca. «Come tutte le sale, avevamo fatto adeguamenti e investimenti non indifferenti. Abbiamo di fatto diminuito di due terzi la capienza della sala, limitando gli ingressi e il numero di film proiettati in una giornata per poter sanificare gli spazi, oltre a rinunciare alla parte che ci caratterizzava di più, quella degli incontri con gli autori. Quindi la chiusura è stata una doccia fredda».
Un arresto che è arrivato improvviso, mentre le sale tentavano una timida ripresa nei mesi del virus silente sotto gli ombrelloni delle spiagge italiane. «I dati ci dicono che nel periodo tra il 25 giugno e il 15 ottobre i cinema hanno contato oltre cinque milioni di presenze senza alcun contagio in sala» spiega Lionello Cerri, fondatore e amministratore delegato del Cinema Anteo in Piazza Venticinque Aprile. «Così come i teatri, i cinema sono luoghi che si sono dimostrati all’altezza di questa emergenza. Una sala è un presidio sociale e culturale, anche dal punto di vista dell’organizzazione dello spazio urbanistico. È un luogo di ritrovo, di socialità, di condivisione di ciò che vedi ma anche di ciò che fai, con persone che non conosci ma che hanno con te un interesse in comune. Sono dunque luoghi importanti anche per il benessere delle persone».

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Il Cinemino

Chiudere una sala significa ridurre gli spazi del vivere collettivamente gli spazi urbani, assottigliando la capacità di rielaborazione simbolica del reale e, con essa, la possibilità di immaginare la costruzione del futuro. «Non ti posso descrivere la tristezza di questi giorni» mi confessa Antonio Sancassani, da oltre 40 anni anima pulsante del Cinema Mexico di via Savona. «Mi capita di stare lì in ufficio, e ogni volta vado ad accendere le luci e a guardare la sala vuota. Quando gestisci una sala per decenni, ti ci affezioni: è importante che anche in questo momento rimanga viva la passione, è la ragione della mia vita. È il mestiere più bello del mondo. Quando entro nella sala vuota sento l’abbraccio del mio cinema. C’è tristezza, ma c’è anche tanta voglia di ripartire. La cosa più bella è incontrare la gente al supermercato, mi fermano e mi dicono “tenete duro”. Ci danno tanta energia, mi gonfiano il cuore».

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Cinema Mexico

La sala vuota incorpora l’immagine cristallina di un intero paese bloccato, che lotta per trovare le forze e le strategie per una ripartenza. «Vedere la sala chiusa è decisamente triste, perché nei mesi scorsi ci eravamo abituati ad incontrare il nostro pubblico» racconta Monica Naldi del Cinema Beltrade di via Oxilia. «In quei mesi ci era sembrato di essere tornati ad essere un’isola sicura e piena di cultura cinematografica. Vederla nuovamente vuota è stato un duro colpo. Domenica scorsa abbiamo organizzato una maratona online con altre trenta sale italiane, per la giornata europea del cinema d’essai: abbiamo deciso di mostrare le sale vuote prima dei cortometraggi d’autore. C’è la coscienza da parte di tutti che oggi è impostante esserci, con la consapevolezza che ci sono spettatori che aspettano di tornare in sala e per questo è nostro compito resistere».

Eppure il contraccolpo è pesante per le casse di un settore, quello dell’audiovisivo, che già viveva di grosse difficoltà. «Le perdite del comparto sono alte» prosegue Cerri. «Non possiamo pensare di andare avanti attraverso la cassa integrazione, che non risolve il problema delle persone che collaborano con noi, che per mesi hanno percepito stipendi ridotti. C’è molta gente che fatica, bisogna intervenire subito e meglio, anche se il Ministero dei Beni Culturali si sta muovendo con attenzione creando opportunità importanti. Oggi il problema è capire cosa vogliamo fare nel presente e nell’immediato futuro: se domani ci dicessero che possiamo riaprire, dobbiamo riconquistare il nostro pubblico, dar loro fiducia e darla al mercato. Si tratterebbe di una riapertura con certe condizioni, ristrettive o allargate, ma avendo garanzie che tutta la filiera dell’audiovisivo possa rimettersi in gioco. Nessuno ha la bacchetta magica, ma ora è importante valutare i diversi scenari dei prossimi mesi. Ben vengano i ristori, che vanno a coprire i mancati incassi, ma dobbiamo capire cosa prevede la ripartenza: la promozione, un rapporto col pubblico di maggiore garanzia, l’assicurazione che tutta la filiera del cinema possa riflettere. Credo dovremmo sederci tutti intorno a un tavolo per concertare, un po’ come accadde dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando è nato il neorealismo al cinema insieme a una varietà di formule di incentivo per questo settore».

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Cinema Anteo

Nella costellazione delle sale cinematografiche, ogni realtà ha esigenze diverse, e ogni ragionamento che si potrà intavolare in futuro dovrà tener conto di queste differenze strutturali. «Gli aiuti economici possono essere utili, ma ci sono dei distinguo da fare» precisa Agata De Laurentiis. «Noi ad esempio siamo una piccola realtà con una sola sala, e lavoriamo in una commistione di arti e saperi. Avremmo potuto continuare a lavorare anche se per un terzo rispetto allo scorso anno, perché il rapporto diretto con i nostri spettatori ci permetteva di andare avanti in qualche modo, con il lavoro garantito dai soci fondatori. Facendo soprattutto cinema d’essai, il contenuto non mancava: abbiamo lavorato bene con i distributori indipendenti e recuperato titoli persi durante il lockdown o andati in streaming, e abbiamo mantenuto stretto il legame col nostro pubblico con un dialogo quotidiano e una newsletter. Purtroppo, dopo il 25 ottobre il cinema è scomparso dal dibattito: i giornali non ne parlano, la TV ci ha dimenticati, ci si scorda che un intero settore dovrebbe continuare a vivere nonostante il lockdown».

Con le serrande abbassate, il nocciolo della questione diventa dunque la ricerca di soluzioni, inevitabilmente temporanee, per continuare a mantenere in vita il cinema e il suo comparto produttivo e distributivo. Tra le realtà più reattive, il Cinema Beltrade già a marzo aveva avviato il progetto “Beltrade sul sofà”, attraverso il quale gli spettatori possono scegliere quale film guardarsi accedendo al sito del cinema e acquistando un biglietto responsabile con diverse fasce di prezzo, oltre a una serie di incontri in streaming con autori e attori sui propri canali social. «In questa seconda fase abbiamo raccolto l’eredità della collaborazione con altri esercenti» spiega Monica Naldi. «Abbiamo creato una rubrica settimanale su Facebook chiamata “Lo strillo”, con le chiacchierate di Matteo Marelli di Film TV con Ivan Bellavista, insieme a varie sale d’Italia che incontriamo regolarmente su Zoom, sui film in uscita, i problemi delle sale e in generale lo stato del nostro settore. Inoltre abbiamo firmato una lettera aperta a favore del cinema indipendente (lasci.cloud) e ci siamo inventati proprio in questi giorni il “Beltrade in bottega”, una sezione del nostro sito nella quale è possibile acquistare magliette, taccuini e borse personalizzati».
Ma le strade del digitale sono infinite, e permettono diverse forme di fruizione. Il Cinema Mexico, ad esempio, ha aderito a Miocinema.it, la piattaforma della Lucky Red nella quale 150 sale nazionali propongono le proprie visioni, e dove proprio il cinema di Sancassani è al primo posto tra le visualizzazioni. Oppure il Cinema Anteo, che ha lanciato la piattaforma Iorestoinsala, formata da tante sale virtuali nelle quali ci si può ritrovare vedendosi un film o facendo incontri con registi e autori, un prolungamento digitale di ciò che il Palazzo del Cinema organizza materialmente, per mantenere il legame con il pubblico. E novità arriveranno presto anche dal Cinemino, che è al lavoro su due progetti che hanno a che fare con la cultura cinematografica anche distante dalle sale fisiche: non si tratta di proiezioni in streaming ma piuttosto di un’esperienza maggiormente innovativa.

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Cinema Beltrade

Concludo il mio viaggio nella Milano sbarrata. Poche persone si muovono tra il lavoro, la scuola, il porto sicuro delle mura domestiche. C’è davvero poco altro; un caffè d’asporto, un saluto fugace, il retrogusto sempre presente di un’assenza costante che ci accompagnerà ancora per un po’ di tempo. Le luci delle insegne dei cinema sono spente, ma le migliaia di persone che lavorano in questo settore sono più che mai attive, i progetti in stesura, i piani per il futuro – qualsiasi cosa ci dovesse riservare – sono in valutazione. Immersi in uno scenario in continua evoluzione, l’unica consapevolezza di queste donne e uomini che hanno fatto voto alle divinità della celluloide è che, in forme imprevedibili, il cinema non sarà più quello di prima. «Abbiamo l’occasione irripetibile di cambiare un processo disfunzionale all’interno del mercato dell’audiovisivo» conclude Cerri. «Dobbiamo dare la possibilità alle giovani generazioni di misurarsi, a livello artistico e imprenditoriale, con le nuove forme di questo mercato, realizzando che l’organizzazione culturale è al servizio di un progetto artistico, ma è anche uno stimolo rispetto a ciò che avviene attorno a quel progetto in una società dove c’è il cittadino, l’istituzione, e un senso comune che sempre più deve emergere».

L’attenzione sarà allora da spostare sul dialogo. «Il cinema uscirà cambiato, ci vorrà un legame con lo spettatore più profondo di quanto non sia stato ad oggi» spiega Agata De Laurentiis. «Dobbiamo valorizzare l’aspetto umano ed editoriale, sul quale una sala può lavorare molto conoscendo il proprio pubblico e plasmandosi sui suoi gusti. Dobbiamo uscire dall’ottica del far uscire un film in tante sale, ma piuttosto nelle sale più adatte a quel singolo prodotto, con maggiore attenzione al target di riferimento. È un lavoro di profondità, dobbiamo scavare nei titoli, far emergere le opere non solo americane ma anche di altri paesi, creando una nuova mitologia cinematografica». Consapevoli che la sfida è certo gravosa, ma oggi più che mai necessaria, come ricorda Monica Naldi: «Alcune sale in futuro potrebbero rischiare la chiusura. Però io credo che la sala non morirà mai: ha resistito a tanti problemi negli anni, ma la visione in sala è un’esperienza unica, che non si può replicare in uno schermo a casa. Bisogna resistere agli orientamenti politici che possono favorire le piattaforme e i meccanismi che minano la pluralità del lavoro che viene svolto in questi luoghi. Il cinema è un luogo fisico di condivisione, c’è uno scambio, un dialogo tra le persone, come in una biblioteca o una galleria d’arte. Sono spazi urbani nei quali si fa cultura in maniera condivisa, un aspetto del quale si sentirà sempre più bisogno in futuro».

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